la società

“Un angelo di Natale” di Walter Benjamin

Un Angelo di Natale

(Traduzione Redazione Modus)

 

Nel testo “Un Angelo di Natale,” il bambino, in solidarietà con i poveri abitanti dei cortili, si sente vicino solo all’albero del Natale, quando giace nel cortile senza aghi o decorazioni; nella sua “gloria” gli era una realtà estranea. E il Gesù bambino, il cui ritorno viene invocato in un canto natalizio, nasconde la venuta dell’angelo che potrebbe transformar la storia. Sotto lo sguardo anarchico del bambino ciò che è socialmente sanzionato appare come negativo, ciò che viene disprezzato e dimenticato, come portatore di speranza.

 Bernd Witte
Walter Benjamin: Una biografia intelletuale

 

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Un Angelo di Natale

“Iniziò con gli abeti (di natale in vendita). Una mattina, lungo il nostro cammino a scuola, li trovammo piazzati lì ad ogni angolo di strada – ovunque si guardasse, dei sigilli di verde che sembravano assicurare la città come un’enorme confezione natalizia. Poi un bel giorno questi scoppiarono con fuoriuscita di giocattoli, noci, paglia e ornamenti per l’albero: era il mercatino di Natale. Insieme a queste cose, qualcos’altro venne alla ribalta: la povertà.
Proprio come mele e noci potrebbero apparire su di un piatto natalizio con un po’ di carta dorata accanto al marzapane, così alla povera gente, con i loro orpelli e candele colorate, era permesso entrare nei quartieri migliori. I ricchi avrebbero mandato i loro figli a comprare le pelli di daino dai figli dei poveri, o per distribuire le elemosine che loro stessi si vergognavano di mettergli in mano.
Nella veranda, nel frattempo, era visibilmente verticale l’albero che mia madre aveva precedentemente acquistato in segreto e predisposto per essere trasportato su per le scale in casa dalla porta di servizio. E più meraviglioso di tutta la luce di candela che avrebbe illuminato l’albero, era il modo in cui l’avvicinarsi della festa si sarebbe profondamente intrecciato nei suoi rami, ogni giorno in maniera più fitta. Nei cortili, gli organetti avrebbero cominciato a riempire il tempo interveniente con canti corali.
Ma alla fine l’attesa sarebbe terminata, ed eccolo ancora una volta, uno di quei giorni, di cui qui ricordo il primo.

 

Aspettai nella mia stanza finché le sei si degnassero d’arrivare. Nessuna festività in più tarda età conosce quest’ora che vibra come una freccia nel cuore della giornata. Era già buio, eppure io non accesi la lampada, non volendo perdere la mia visuale delle finestre dall’altra parte del cortile, attraverso le quali si potevano ora scorgere le prime candele. Di tutti i momenti della vita dell’albero di Natale, questo è il più ansioso, quello in cui sacrifica al buio aghi e rami per diventare niente più che una costellazione – vicina, ma inavvicinabile – nella finestra non illuminata di un’abitazione sul retro. E così come questa costellazione avrebbe ogni tanto graziato una delle finestre nude di fronte, mentre molte altre rimanevano allo scuro, e altre, ancora più tristi, languivano nella luce a gas di prima serata, mi sembrò che queste finestre di Natale nascondessero solitudine, vecchiaia, privazioni – tutto ciò di cui la povera gente tace. Poi, ancora una volta, mi ricordai dei regali che i miei genitori erano occupati a preparare. Ma dal poco che allontanai lo sguardo dalla finestra, il mio cuore ora pesante, come solo l’imminenza di una felicità assicurata può renderlo, percepii una strana presenza nella stanza. Non era altro che un vento, tale che le parole che mi si stavano formando sulle labbra erano come le increspature che si formano su una vela  sventata che si gonfia improvvisamente in una brezza rinfrescante:
“Il giorno della sua nascita / Torna il Cristo Bambino / Giù in basso in terra / In mezzo a noi uomini.”
L’angelo che cominciò a formarsi in quelle parole sparì con loro. Non rimasi più nella stanza vuota. Mi chiamavano dalla stanza accanto, dove ora l’albero era entrato nella pienezza della sua gloria – un qualcosa che mi estraniò da esso, fino al momento in cui, privato del suo basamento, e per metà sepolto nella neve o luccicante sotto la pioggia, finiva il festival dove un organetto l’aveva cominciato”.

 

Walter Benjamin
Infanzia berlinese
Intorno al millenovecento”

 

 

 

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