Qualcosa sul fronte dei movimenti antagonisti si sta muovendo. E i fatti di Firenze e Bologna ne segnalano le inquietanti avvisaglie.

Giuste o sbagliate che siano le sue motivazioni (ognuno di noi ha un grado di informazione più o meno dettagliato del tema e delle sue implicazioni sociali, economiche e politiche) il movimento No-Tav si compone attualmente di tre anime. Quella più consistente è rappresentata dalla popolazione residente in Val Susa a cui, a vario titolo, si sono uniti intellettuali, studiosi e simpatizzanti che hanno partecipato (numerosi) alla stesura di una vasta documentazione che dimostrerebbe la totale inutilità di questa opera (“questa” intesa unicamente come linea ferroviaria ad alta velocità/capacità Torino-Lyon senza allargamenti su alcun altro fronte: impegno e avversione focalizzato e localizzato in valle), proponendosi in eventi di propaganda illustrativa.
Tale ala del movimento (maggioritaria) ha una connotazione di dissenso pacifico, limitandosi ad una attività legata a manifestazioni non violente, di presidio del territorio e di controinformazione. Alcuni, rassegnati all’ineluttabilità dell’opera – la cui realizzazione è pervicacemente perseguita da tutti i governi degli ultimi venti anni – riversano le ultime speranze nell’esaurimento delle energie economiche disponibili, a fronte dei costi e dei tempi che quasi certamente (secondo il parere di molti studiosi) diventeranno insostenibili in un prossimo futuro, con il conseguente suo abbandono. Essi si dissociano dalle frange estreme e di provenienza “esterna e dubbia”, frange che stanno attualmente sviluppando strategie già sperimentate in passato, con gli esiti che sappiamo.

Una seconda componente, direi di “attivisti”, abbastanza numerosa che, con il consenso della prima, si spinge oltre, in attività di presidio del cantiere Tav, di occupazioni di strade ed autostrade con blocchi del traffico, di azioni e reazioni che eccedono la semplice opposizione e il dissenso.
Le sue espressioni di “difesa attiva” del territorio sono ben raccontate dal film-documentario al quale stanno lavorando Carlo Bachschmidt, Stefano Barabino e Michele Ruvioli dal marzo del 2012. Tale progetto è stato presentato a Genova il 6 aprile del corrente anno ed è in fase di ultimazione.
Il regista Carlo Augusto Bachschmidt è noto nel circuito mediatico alternativo per il suo impegno nel “raccontare il territorio” per immagini e suoni, attraverso testimonianze di fatti e descrizioni di luoghi, raccolte direttamente dai protagonisti degli eventi narrati. Nel 2011 ha presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il film “Black Block” sui fatti di Genova del 2001, in particolare sulle violenze della polizia alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto.
Il docu-film sul movimento No-Tav mostra, dalle immagini visionate nella fase di pre-montaggio da parte di chi ha partecipato alla presentazione, una vasta area di una valle pedemontana, la Val di Susa – già attraversata da diverse opere di viabilità stradale (alcune imponenti come la A32 del Frejus) e ferroviaria – violata da un progetto abnorme, forzando qualunque analisi e programmazione tecnico-economica, progetto a cui la popolazione locale ha reagito immediatamente con fermezza e con pacifica opposizione, forte di una ampia documentazione tecnica ed economica contraria.
Un progetto che non ha avuto, da parte delle istituzioni, la minima preparazione sul territorio, necessaria quando si interviene con opere di tale invasiva dimensione (sia in termini temporali che di occupazione fisica).
A tale dissenso militante si è dato risposta con l’occupazione militare della media valle, sede del cantiere preliminare, innescando una spirale di conflittualità che, nel tempo, si è esasperata e su cui si sono aggiunte, speculando in modo opportunistico, componenti politiche prima (si pensi all’enorme consenso che il M5S ha riscosso alle recenti elezioni politiche a livello locale) e successivamente, con strategie avventuristiche, soggetti estranei, non residenti e non direttamente riconducibili alla lotta locale.

Ed è a questo punto che si deve citare la cosiddetta “terza anima” del Movimento No-Tav. Quella terza anima da cui, colpevolmente e non giustificatamente, le altre due, in particolare la seconda , non hanno saputo prendere le distanze, isolandola e denunciandone gli evidenti intenti di provocazione sociale e politica volti a snaturare i propositi di una lotta civile.
Non basta dire: “qui si stanno vedendo facce nuove che non appartengono alla valle, che non si sono mai viste prima…” per sottrarsi alle proprie responsabilità di gestione politica del movimento.
Occorre stabilire una cesura definitiva con gli operatori dell’eversione programmata: il “cui prodest” non è uno slogan semplificatorio recente ma la sintesi di un processo analitico i cui risultati si sono ampiamente evidenziati, in passato, proprio a seguito di analoghe dissennate strategie, anche se conseguenti a fenomeni di dimensioni molto più consistenti.

Inevitabile, dunque, che la parte più conservatrice della compagine di Governo, unitamente ai media che ne rappresentano e ne sostengono le istanze legate alle politiche economiche di grandi gruppi imprenditoriali (non sempre di specchiata e trasparente operatività, come i recentissimi – ma non nuovi – fatti romani hanno mostrato), abbiano colto al volo l’occasione per connotare in senso “terroristico” l’intero movimento.
Operazione che si sta compiendo proprio in queste ore.
Da sempre il Potere (con il sussidio dei media compiacenti) tacita e azzera (tenta di azzerare) qualunque dissenso ed opposizione, confinandola in blocco nell’area della inaccettabile illegalità del terrorismo, utilizzandone opportunisticamente le frange estreme e violente che, quasi sempre, nulla hanno da spartire con gli intenti originari della contestazione.
Vero è che gli slittamenti progressivi di tutti i movimenti di contestazione organizzata verso l’uso indiscriminato della “azione forte” – slittamenti che hanno dato origine al “terrorismo” in senso proprio – si rendono evidenti quando ormai il tempo della loro percezione e i tentativi per la loro neutralizzazione preliminare sono tardivi ed inutili.
Proprio per questo è insensato connotare in modo qualunquistico e superficiale azioni che, allo stato delle cose, non sono configurabili nell’area di quegli eccessi che ebbero, in un passato ancora oscuro, ben altre mire ed effetti.
Nondimeno è necessario ora conservare una autorevole e lucida capacità di giudizio da parte delle istituzioni ed esercitare una corretta attività di presidio affiancandola ad una chiara esortazione verso questo movimento perché, responsabilmente, si affranchi da qualunque infiltrazione da parte di coloro il cui unico intento è la destabilizzazione delle istituzioni.
Difficile ma non impossibile.

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28 comments

  1. Genesis 29 dicembre, 2014 at 06:59

    Mah, io, signori, sono un po’ scettico sulle relazioni dettagliate di studiosi di parte: non per via dei calcoli – la matematica non è un’opinione – ma per via di ciò che in altri stati europei, magari con tecnici italiani, stanno progettando. Mi riferisco non solo alle nuove normative per la riduzione dell’inquinamento atmosferico dovuto alla circolazione su gomma, ma anche a quanto si sta facendo sull’alta velocità su “ferro” (sarebbe meglio parlare di traferro…) in Germania. Treni ad altissima velocità (600km/h) non vengono costruiti per ferrovie di breve percorso, bensì per fare in modo che si soppiantino gli obsoleti mezzi di trasporto per tratte lunghe.
    Si è capito che l’idrogeno è un ottimo comburente per i motori ad impatto quasi nullo (vorrei vedere e toccare…), ma inutile su mezzi di trasporto merci. Gli studi effettuati da noi sono che un autobus cittadino ad idrogeno (quindi ad impatto zero), contenente quaranta persone, “smuove” tante PM10 quante 45 auto euro zero…le smuove, è vero, non le produce…ma ancora non si è trovato il modo di “pulire efficacemente quelle PM10” dal manto stradale.

    Il futuro, finché il teletrasporto non diverrà del tutto efficace, è la ferrovia su rotaia magnetica. Germania, Giappone, Francia, USA, Russia e altri paesi ne stanno studiando i prototipi, testimoniando statisticamente quanto inquinamento da gas di scarico si riuscirà a ridurre…quale sarà il beneficio?
    Lo sapranno i nostri nipoti…noi siamo più legati ad un volante ed il controllo della pressione delle gomme…

    • M.Ludi 29 dicembre, 2014 at 10:18

      Qui non si sta disquisendo su quale sia il miglior mezzo di trasporto merci, ma solo ed esclusivamente sull’economicità di “quella” tratta inserita in un contesto ormai abbandonato da altri. Non v’è dubbio che il trasporto su ferro (non solo di merci) sia più efficiente ed a minor impatto; tanto vale destinare le enormi risorse che saranno necessarie per fare la TAV Torino Lione all’ammodernamento dell’attuale, pessima, rete ferroviaria italiana.

      • Genesis 29 dicembre, 2014 at 13:28

        Non lo so, Ludi, ma credo che quando si parla di “rinnovamento” o “innovazione” la spesa per produrla deve necessariamente essere sostenuta, valutandone i meriti e gli anni di ammortizzamento. Secondo i calcoli a spanne che ho fatto sotto se con la TAV completa risparmiassimo annualmente anche solo un decimo delle tonnellate di gasolio da auto trazione europeo (non solo quello italiano di cui ai dati da me esposti), probabilmente l’umanità tutta ne gioverebbe.
        È chiaramente da sostenere una spesa equa e non “all’italiana”, quindi controllata in tutti i sensi…

        • M.Ludi 29 dicembre, 2014 at 15:03

          I dubbi che hai sono stati abbondantemente chiariti negli studi sin qui fatti: la TAV è giustificata per un volume di merci trasportate (cito a spanne) circa 10 volte superiore a quello previsto attualmente e gli scambi tra i due Paesi, già da tempo, sono in flessione. Gli altri Paesi che sono coinvolti sul famoso corridoio 5 sono da tempo tornati sui loro passi e la commissione governativa francese che ha fatto l’ultimo studio (sulla base del quale la Francia ha già fatto più di un passo indietro) ha concluso che persino le tratte esistenti dell’Alta Velocità francese, sono anti-economiche. Bugiardi loro, bugiardo io.

    • Scan 28 dicembre, 2014 at 22:47

      ho letto, non tutto, blue. e non posso dire di aver potuto interpretare tutto. solo due osservazioni: 1) tutti gli studi sono del sig. federici. 2) non si fa riferimento a paragoni, sull’impatto ambientale, tra aereo, auto e treno: su percorsi come milano-roma o milano-napoli sarebbe indispensabile raffrontare i benefici della ferrovia (specie ad alta velocità) con quelli dell’aviovia che sono i diretti concorrenti nel traffico quotidiano

      • Blue 28 dicembre, 2014 at 23:01

        Vero. Questa è la documentazione che ho a disposizione nell’archivio e fa riferimento, ovviamente al tema Tav. Come avrai notato è desunta dal sito dei notavtorino. Le tesi del dott. Federici (ricercatore dell’Università di Siena) sono state comunque oggetto di riconoscimenti internazionali, come scritto in fondo alle slides. E mai confutate da alcuno. Sono argomentate scientificamente e non sarebbe giusto accusarle di “partigianeria”. Cercherò altre fonti che possano completare il quadro comparativo che auspichi. Eventualmente ne farò un post specifico in altra sede. Mi pare che per quanto attiene a questo blog, quanto dettagliato possa bastare.

    • Scan 28 dicembre, 2014 at 23:04

      un’altra osservazione, blue. i calcoli fatti da federici sono a legislazione italiana invariata. se vi fossero delle limitazioni al traffico su gomma (dettate da misure anti-inquinamento), come nella vicina svizzera, le percentuali di trasporto su ferro sarebbero notevolmente superiori e renderebbero il trasporto ferroviario molto più conveniente. era l’oggetto del mio primo commento: impatto futuro

    • Genesis 29 dicembre, 2014 at 08:57

      L’analisi del dott. Federici è puntuale! E’ chiaro, come ho scritto sopra, che se si considera l’impatto immediato di qualsiasi infrastruttura, se ne distrugge il possibile merito…ma andiamo oltre…anzi, forse, torniamo indietro…
      Se vi fosse la possibilità di scelta, da parte di un tecnico, anche poco informato, di un mezzo di trasporto, questa dovrebbe essere decisamente direzionata verso una macchina elettrica, per via dei rendimenti energetici, oltre che per inquinamenti ambientali.
      A banco, un motore elettrico ha un rendimento che si avvicina al 90%. Un motore termico (per ipotesi prendiamo esempio quelli più tecnicamente avanzati delle F1) ha un rendimento di quasi il 10%. A questi rendimenti bisogna togliere le varie resistenze meccaniche quali quelle dello strisciamento, aria, e chi più ne ha più ne metta. Ne risulta che un mezzo “su gomma” generalmente ha un rendimento totale che si avvicina al 2%, mentre un mezzo elettrico su rotaia si attesta intorno al 60%. A parità di carburante per la produzione di energia, quindi, si dovrebbe scegliere il “mezzo” che offre un rendimento più alto, anche solo per via dei costi d’esercizio.
      Dati 2013
      Il consumo in Italia di gasolio per autotrazione si è attestato a 22.320.000 tonnellate. Tenendo conto di quel 2% significa che se ne sono sfruttate pienamente 446.400 ton. Tenendo conto di quel 60%, invece, se ne sarebbero sfruttate pienamente 13.400.000 ton.
      A parte le cifre macroscopiche (anche per gli introiti erariali), si nota quanto il trasporto su rotaia sia ben più conveniente per via di tutti i suoi risparmi.

  2. Blue 28 dicembre, 2014 at 14:39

    Per Genesis e per tutti coloro che leggono qui. (Dopodiché mi taccio).
    Non avrei voluto entrare nel merito della validità o meno del progetto Tav (intendendo, ripeto, solo l’unicum della linea Lione-Torino, unicum date le connotazioni che ha assunto e sviluppato) per restare sull’argomento più generale della capacità di uno Stato di portare a compimento, autorevolmente, un importante progetto. Ma vedo che non se ne può fare a meno.

    Nessuno di noi, immagino, vuole giustificare l’opposizione violenta. Al contrario. Lo spirito è anzi quello di spingere il dissenso militante verso altre strategie e cercare di estromettere ed isolare queste frange estreme e violente.
    Detto questo il problema riguarda (come sempre in tema di trasporti) l’analisi del rapporto costi/benefici. Nel caso specifico della linea Lyon-Torino sono state redatte montagne di documenti che dimostrano l’inequivocabile inutilità di questa opera, o, quantomeno, un valore del rapporto citato molto ma molto sfavorevole. E non sto parlando di autori “anarco-insurrezionalisti” ma di docenti del Politecnico di Milano e Torino, di studiosi e di tecnici di economia dei trasporti. Se avrete la pazienza di leggere anche solo la minima parte di questa documentazione (di cui ho dato qui solo un piccolo contributo e la cui maggior parte si trova in rete) ci si potrà rendere conto delle questioni fondamentali del tema.
    Alcune delle osservazioni più pertinenti e recenti:

    1. Il famoso “corridoio 5 Kiev- Lisbona” che viene citato è già morto sul nascere. Tutte le nazioni del versante orientale vi hanno rinunciato. Su quello occidentale Portogallo, Spagna hanno dichiarato di non essere in grado di fare fronte al colossale impegno economico anche a seguito di valutazioni in merito al citato rapporto costi/benefici, viste anche le mutate cifre afferenti ai volumi di traffico che portarono al progetto originario molti anni fa.
    2. La Francia, analogamente, sta ripensando al suo impegno preso nei confronti dell’Italia (e dell’Europa): si legga il rapporto sulla “mobilità 21″(commissionato dall’allora primo ministro Ayrault) in cui si delinea il programma di sviluppo delle infrastrutture dei trasporti per il prossimo trentennio per la nazione francese. La linea Lyon-Turin non è considerata una priorità, per motivi analoghi a quelli di Spagna e Portogallo. Se ne riparlerà dopo il 2030. Per ora ci si limiterà alle gallerie preliminari.
    3. Gli amministratori della media Valle di Susa (area coinvolta dalla Tav) hanno presentato in tempi recenti alla Procura di Torino un esposto in cui denunciano: spese anomale per la predisposizione del cantiere della Maddalena (cantiere Tav attivo, oggetto degli scontri e delle manifestazioni), fino a 250 volte il prezziario nazionale per opere consimili; infiltrazioni mafiose nel cantiere (accertate dalla magistratura a seguito di intercettazioni; si veda il rapporto Ros). Reiterati tentativi ad opera della criminalità organizzata di creare “teste di ponte” per infiltrare i cantieri dell’opera.

    La coerenza non è la cieca determinazione nel perseguire obiettivi che, nel tempo, si possono rivelare non adeguati e non più rispondenti alle mutate esigenze della collettività. La coerenza può essere anche la revisione di piani di sviluppo non più congrui. Può essere l’ammissione di aver sbagliato. Ma, come dice M.Ludi, per fare ciò sarebbe necessaria la presenza di uomini di Stato.
    Al momento, non se ne intravede la presenza.
    E la sindrome Nimby non c’entra nulla.

    • Genesis 28 dicembre, 2014 at 14:59

      Io non sono nessuno di fronte al Politecnico…ragiono solamente su quanto leggo e vedo.
      È desolante indicare un’opera inutile alla collettività per via delle “sicure” infiltrazioni mafiose. Non siamo in grado di contrastare la mafia? Non facciamo più nulla…! Così succede per le discariche, per gli appalti pubblici ecc ecc…

      Se negli anni ottanta si è vista l’utilità di questa tratta, non vedo perché oggi non sia più proponibile…per via della crisi economica mondiale?? Visto che c’è crisi (esempio stupido) produciamo meno corrente elettrica, tanto le aziende e le famiglie che la usano sono di meno…per superare la crisi c’è bisogno di ristrutturare non solo l’Italia, ma l’Europa tutta.

      • Kokab 28 dicembre, 2014 at 16:28

        condivido che l’italia, senza l’europa, non va da nessuna parte, ma questo non significa che non dobbiamo tentare di risolvere i nostri piccoli problemi, quando se ne presenta la possibilità.
        il problema della tav a me pare semplice: o ha un rapporto costi benefici a saldo positivo, oppure no; se la risposta è no, non ha senso proseguire nella sua costruzione, e a questa domanda c’è sicuramente una risposta tecnica e non ideologica, anche se magari io sarò l’ultimo a conoscerla.
        le eventuali infiltrazioni mafiose e altri simili effetti collaterali sono un altro tipo di problema.

        • Genesis 28 dicembre, 2014 at 16:59

          Giusto, Kobab…l’unico problema è che se si costruissero, senza il senno di poi, infrastrutture considerando nell’attuale l’analisi dei costi~benefici, non avremmo mai fatto nulla.
          Se ci pensiamo bene, spesso nella valutazione costi-benefici si eliminano, nel calcolo, le problematiche dell’attuale. Un esempio ben calzante furono le nostre centrali nucleari: costi elevatissimi ma con benefici immediati (a produzione avviata) di risparmio energetico…non sono stati calcolati tutti i costi, quelli del “poi”… Altro esempio sono le discariche: costi immediati minimi con beneficio immediato ed enorme…peccato che del poi ne stiamo soffrendo tutti con costi decisamente esponenziali.
          In sostanza penso questo: finché l’asse ferroviario oves est non vi sarà, non capirò mai la sua utilità, ma ne leggerò solamente i costi.

          • Scan 28 dicembre, 2014 at 19:07

            a proposito di costi che, in futuro, si dovranno pagare, c’è qualcuno fra voi amici che possa quantificare, anche grossolanamente, la differenza di impatto ambientale, sia per l’inquinamento diretto sia per il consumo energetico, che comporta il trasporto di mille persone per rotaia nei confronti di quello per via aerea o in automobile? ho detto mille ma potrebbe essere un milione, etc.

        • Blue 28 dicembre, 2014 at 16:59

          “le infiltrazioni mafiose ed effetti collaterali sono un altro tipo di problema”. Verissimo. Ma sono anche il sintomo della patologia di quanto “interessanti” siano (per alcuni…) le grandi opere e, se vogliamo, anche della “strana” pervicacia con cui si cerca in tutti i modi di perseguirne il compimento. Guarda caso anche il ponte sullo stretto di Messina sembra ritornare in attualità…anche se sotto ricatto:
          http://www.huffingtonpost.it/2014/09/19/ponte-sullo-stretto-di-messina-renzi-ci-pensa_n_5850986.html

  3. Blue 28 dicembre, 2014 at 09:51

    L’argomento che ho proposto (e che conosco bene per tanti motivi che è superfluo elencare) costituisce in realtà l’occasione per affrontare quello più generale: la forza (meglio, l’autorevolezza) con cui uno Stato riesce a portare a compimento il progetto di un’opera che ritiene molto importante nella convinzione che sia di utilità pubblica, nazionale e non solo.
    Al di là di qualunque considerazione specifica (se questo progetto sia o no fondamentale per lo sviluppo di un territorio, quanto sia inserito in un disegno internazionale di programmazione dei trasporti, quali modelli economici e tecnici lo rendano ancora attuale – ricordo che si cominciò a definire una ipotesi di progetto agli inizi degli anni ottanta, con ben altre condizioni al contorno) sarebbe interessante trarre dalla questione alcune indicazioni circa la capacità che ha avuto il Governo (tutti i Governi che si sono succeduti) nel gestire l’operazione Tav.
    È (anche) da questo che si può valutare il grado di “qualità” di una nazione, del funzionamento democratico delle istituzioni di un Paese.
    Medesimo quesito si pone, utilizzando emblematicamente proprio il progetto della Lione-Torino, Daniel Ibanez nel suo “Trafics en tous genres” (http://lyonturin.eu/)
    Certamente gli interessi in gioco sono colossali
    La questione della linea Lyon-Turin travalica le Alpi. Innumerevoli sono i documenti, gli studi tecnici ed economici al riguardo. Italiani e francesi.
    A titolo di esempio vi allego questo filmato che spiega abbastanza bene il tema, sintetizzandolo. Anche per chi non conosce il francese è possibile capire, a grandi linee, gli argomenti che vengono esposti.
    “Lione-Torino, ad ogni costo?”: http://vimeo.com/64201772

    La capacità di gestione di operazioni di questa portata non è disgiunta dal complesso di funzioni richieste ai soggetti che occupano le istituzioni e che ne definiscono il “senso dello Stato”. Quello stesso “senso dello Stato” che i medesimi soggetti pretendono dai loro cittadini ma che, parimenti, sono i primi ad eludere. Inutile poi meravigliarsi se “gli slittamenti progressivi” di cui parlavo aprono la strada all’illegalità e agli avventurismi irresponsabili che finiscono con l’indirizzare in direzione esattamente opposta le rivendicazioni della contestazione. Leggere, in merito, alcune considerazioni di Curzio Maltese sul suo blog in HP: http://www.huffingtonpost.it/curzio-maltese/danneggiato-attentati-treni-movimento-no-tav_b_6376730.html

    In conclusione, a proposito di responsabile risposta su “senso dello Stato” (di funzionari e di cittadini) trattando del nostro amato (ahimè) Paese, si potrebbe chiosare, visti i trascorsi, “molto difficile, praticamente impossibile”

    • M.Ludi 28 dicembre, 2014 at 13:15

      Statista è quel politico che non si limita ad amministrare il contingente seguendo il corso degli eventi a soli fini elettoralistici, e, soprattutto, gli errori di chi lo ha preceduto, nell’errata convinzione che certe “macchine” una volta messe in moto, non si possono più fermare. Statista è colui che immagina il suo Paese in proiezione futura a lungo termine e cerca di anticipare gli eventi in modo tale che ciò che viene progettato oggi, sia pienamente godibile nel momento in cui sarà realizzato. Per fare ciò è necessario, oltre alla persona che incarna questa ideale pulsione, un apparato che supporti a livello di ricerca e progettazione l’idea futuribile. Ovviamente non stiamo parlando dell’Italia la quale di statisti ne ha avuti ma nel lontano passato e non abbastanza in gamba da preparare la crescita di una classe dirigente che seguisse l’opera in futuro perchè, morto uno statista, bisognerebbe trovarne subito un altro. Premesso che la carenza di simili figure (statisti appunto) dequalifica di default anche lo Stato (e che quindi, una discussione come quella che solleciti nel tuo intervento, per me è impossibile da affrontare), forse più modestamente dovremmo accontentarci di un piano “B”, una via d’uscita da questa situazione, che parta dal presupposto, ormai acclarato, che la linea ad Alta Velocità (e soprattutto ad Alta Capacità) Torino-Lione, ormai non serve più a niente se non ad alimentare rivoli di denaro dall’andamento carsico che, sappiamo già per consolidata esperienza, poco hanno a che vedere con la crescita del PIL. Ma per fare questo servirebbe uno statista e…….siamo punto e accapo

  4. Genesis 28 dicembre, 2014 at 09:09

    Gli italiani non sono abituati al fare comune, ma al fare proprio: se un’opera avesse utilità per me, che ne vedo la costruzione affacciato alla finestra di casa, allora non mi opporrei, anzi…
    Tempo fa, gli uffici della mia azienda erano posti parallelamente alla linea ferroviaria del Brennero. Ogni ora transitavano convogli in direzione nord-sud di decine e decine di container, o veri e propri TIR: era speciale la vista di file di camion in retromarcia sfrecciare verso Trento… Voi non avete idea di quante merci circolano nella direzione Nord-Sud e poco viceversa. Si dice “c’è crisi”…ma le merci circolano comunque.
    Ecco, è proprio questo! Io val susino (non so se si dice così, perdonatemi) che vedo la mia splendida valle deturpata da cento cantieri, non ci sto…mi oppongo. Io, autoctono di quella valle, che per lavoro faccio il camionista, mi oppongo…è tutto questo ci sta!…ma…
    …se per opporsi si pensa che l’unica maniera a disposizione sia la violenza, la distruzione di mezzi, di cantieri…non lo trovo giusto.
    “Eh, ma se non facciamo così, nessuno ci ascolta…”…forse vuol dire che le motivazioni portate non hanno base.
    BlackBloc…si, si…poverini…come se io, imprenditore, andassi assieme ai miei colleghi a Bruxelles a lanciare uova contro la commissione che ha votato leggi e normative (soprattutto queste sono fatte ad hoc per qualche grande impresa nordeuropea con bandiera a strisce…orizzontali) insulse su questo o quello…verrei arrestato, magari manganellato…ma dolcemente…quasi senza volere…già…ma in Italia, come ho premesso, si fa così…visto che da sempre i nostri cantieri sono stati prova di malaffare e connubi vari…già, visto che è così, meglio che qualcuno c’invada…

    • Gennaro Olivieri 28 dicembre, 2014 at 10:42

      Mi pare sia opportuna una precisazione che può chiarire l’importanza (o l’inutilità) della Tav Torino-Lione. Genesis parla dell’intensità di traffico merci, sia stradale che ferroviario, sulla importantissima direttrice del Brennero, e resta giustamente impressionato dalla quantità dei treni-container che sfrecciano tra Italia e Nord Europa. Ricordo che i container viaggiano da e per porti marittimi. Anche se essi possono avere come stazioni intermedie delle aree intermodali, il loro percorso comincia e finisce sempre da un porto di mare. Nel caso della linea del Brennero, i porti di partenza e di ritorno possono essere Genova, ma più spesso (e sempre più spesso) Trieste e Ravenna. Le spedizioni di merci che viaggiano su container vengono programmate (e prenotate) con mesi di anticipo: il viaggio stesso durerà mesi di navigazione, da o per l’Asia o le Americhe. Nel caso di spedizione via mare (quindi via container), la velocità non è importante. Le aziende speditrici e destinarie sanno inoltre che la stessa nave-container attende settimane o adirittura mesi in porto, per essere scaricata e poi ricaricata. Ricapitolando: il traffico container ha bassa urgenza, bassa velocità, alta programmazione. In altre parole: il fattore tempo conta pochissimo.
      Discorso opposto vale per il normale traffico su gomma. Il trasporto su camion viaggia direttamente da azienda ad azienda, segue le necessità giornaliere del lavoro ed è ormai da un ventennio condizionato dalla rinuncia delle aziende a fare “magazzino”. Qui le esigenze sono quelle della massima velocità e della massima flessibilità del trasporto: esigenze che possono essere appunto soddisfatte solo dal camion, l’unico mezzo che può viaggiare senza alcuna programmazione e senza prenotazione anticipata.
      La zona di Lione e, come sapete, gli hinterland di Milano e Torino sono tutt’oggi aree di produzione manifatturiera, e sopratutto le metropoli del nord-ovest d’Italia, sono grandi ricevitrici di merci di ogni tipo. E’ certamente vero che esiste un traffico consistente di merci tra il Lionese e Piemonte e Lombardia. Il problema, o meglio, la caratteristica di questo traffico, è che si tratta di una tratta breve, e non ci sono mari da attraversare. Su una distanza di 300 km (TO-Lione) o di 400 km (MI-Lione), il treno sarà sempre inadeguato alle esigenze delle aziende moderne; un destinatario Lionese pretenderà sempre dal suo fornitore milanese la consegna immediata (c.d. richiesta/consegna oggi per domani). IL trasporto su gomma è perfettamente in grado di soddisfare questa esigenza: il treno, no. La conseguenza è evidente: un collegamento ferroviario rapido fra Torino/Milano e Lione è del tutto inutile. Al contrario, è di fondamentale importanza il potenziamento delle linee ferroviarie che collegano Torino e Milano al porto di Genova.

      • Genesis 28 dicembre, 2014 at 12:27

        Vabbè…come tralasciare qualcosa per far intendere altro…non è un problema…basta capirsi! …comunque…

        Il tratto TAV incriminato è una minima parte del cosiddetto “corridoio 5”. Hai ragione Gennaro, le merci viaggiano nelle tratte Nord-sud e viceversa in cerca dei porti…(**non è proprio così, ma facciamo conto di si…)…cos’è questo corridoio? Basta guardare la cartina dell’Europa…manca una tratta est-ovest o ovest-est che collegherebbe tutte le tratte nord-sud per poter deviare TUTTO il traffico di merci su gomma per evitare gran parte dell’inquinamento dovuto ai veicoli. Il corridoio 5 altri non è che il collegamento Lisbona-Kiev che di fatto taglia l’Europa in due parti…
        **delle aziende che leggevo, sfreccianti su quei treni sono: la Berger Logistick e un’altra, la Gruber Logistick, che consegnano in tre giorni in qualsiasi città Europea fino a dieci metri cubi di materiale, 15 Ton. Funziona così: la fabbrica tedesca richiede una spedizione verso Canicattì…arriva il tir che carica. Questi compie il viaggio fabbrica-stazione intermodale. Caricano il rimorchio. Il treno lo porta alla stazione più vicina a Canicattì, dove c’è un’altra motrice che attende. Quest’ultima motrice porta a destinazione la merce. Tempo tecnico tre giorni, ma generalmente sono meno. Evitati duemila chilometri d’asfalto…
        Se la fabbrica dovesse consegnare a Leningrado, invece, deve necessariamente affidarsi al trasporto su gomma, perché le tratte ferroviarie ovest-est sono a velocità ridotta…
        Così è come spiegassi a mio figlio…

        Ma va bene! Ogni progetto che implica il dare noia a qualcuno, non va bene. È necessaria e giustificabile l’opposizione violenta…si, si. Alzo le mani!

        • Gennaro Olivieri 28 dicembre, 2014 at 12:56

          Tralasciando l’approssimazione dell’esempio e gli scenari fanatasiosi sull’importanza del corridoio Lisbona-Kiev: dove leggi, nei commenti miei e di chiunque altro qui, che l’opposizione violenta è necessaria e giustificabile? Io ho usato solo gli aggettivi “ingiustificabile” e “riprovevole”.

          • Genesis 28 dicembre, 2014 at 14:40

            È un gioco di parole Gennaro.
            Dire che la violenza è ingiustificabile quanto l’azione dello stato nei confronti della Val di Susa, o mantenere depenalizzati atti terroristici quali la distruzione delle macchine o dei cantieri…è un gioco che non mi piace.

            Gli esempi che porto sono di certo fantasiosi, fattostà che allorquando si ricerchi una consegna celere in un cantiere nell’est europa, bisogna far carico solamente al trasporto su gomma se non quello aereo: ho avuto cantieri in Repubblica Ceca, in Lituania ed in Estonia, come li ho avuti in Calabria ed in Spagna…non scrivo “a vanvera”.

  5. Gennaro Olivieri 27 dicembre, 2014 at 19:47

    Succede spesso, e non solo in Italia, che la realizzazione di opere pubbliche importanti (ma anche la costruzione di edifici o strutture ad uso privato) venga osteggiata da movimenti più o meno spontanei e partecipati. Il caso dell’opposizione alla Tav Torino-Lione, per la sua durata negli anni, per la sua imponenza, per la sua politicizzazione, e per l’entità della risposta poliziesca e giudiziaria da parte dello Stato, si è configurato come un unicum, le cui implicazioni hanno da tempo travalicato i limiti della protesta locale.
    Mi pare che onestà richieda innanzitutto una presa d’atto da parte delle autorità. Una protesta che si è estesa a tutta Italia ed è divenuta cavallo di battaglia di quell’area “antagonista” descritta da Blue; che si esprime in termini spesso violenti, ma gode comunque del sostanziale appoggio di gran parte della popolazione della Val si Susa; che ha condotto alla militarizzazione della valle e a risposte delle Procure poco giustificabili secondo diritto (vedi la sconfitta in giudizio della Procura di Torino che ha scelto di giocare la carta dell’aggravante di terrorismo); tutto ciò ormai dimostra che i costi economici e sociali della Tav sono già ora incommensurabilmente superiori alla sua futura e dubbia utilità.
    Qualificare e trattare come terrorismo le azioni (ovviamente ingiustificabili) di danneggiamento alle linee ferroviarie e gli eccessi, ugualmente riprovevoli, compiuti durante le manifestazioni di protesta, come hanno fatto certe Procure e certi politici, significa dare un segno di debolezza da parte dello Stato. Trattamenti speciali come la pesante militarizzazione di una valle, e, passo ulteriore che per ora vede l’opposizione della magistratura giudicante, l’applicazione delle leggi antiterrorismo per fronteggiare manifestazioni e episodi di danneggiamento, dimostrano che non si hanno più l’intelligenza, la pazienza nè le capacità di usare tutti gli amplissimi strumenti ordinari che uno Stato democratico ha a sua disposizione.
    Se quindi la scelta è tra andare avanti ad ogni costo con la realizzazione della Tav, usando anche mezzi coercitivi e repressivi straordinari contro gli oppositori, o invece ripensare in maniera partecipata ai costi economici, sociali, ambientali dell’opera, non può esserci dubbio su quale deve essere la scelta di istituzioni veramente democratiche.

  6. M.Ludi 27 dicembre, 2014 at 19:03

    Negli ultimi anni il quotidiano Le Monde ha ripetutamente aggiornato i proprio lettori in merito alla questione “collegamento TAV Torino-Lione (anzi, Lione-Torino)”. Nei mesi passati ho letto alcuni di questi articoli e, specialmente gli ultimi di cui ho preso visione (salvo ulteriori aggiornamenti che mi possano essere sfuggiti) parlavano di un complessivo ridimensionamento dell’Alta Velocità in Francia alla luce della non confortevole considerazione che costa moltissimo e rende, diciamo, non abbastanza. In uno degliultimi articoli redatto dopo le conclusioni di un’apposita commissione governativa che ha inesorabilmente bocciato l’opera, veniva pubblicata una carta della rete ferroviaria francese al 2030 (se la memoria non mi fa difetto): tra Torino e Lione non risulta alcuna linea ferroviaria.
    Poichè mi sforzo disperatamente di mantenere viva la mia parte razionale (prepotentemente minacciata da quella emotiva), mi limiterò alla elementare considerazione che l’opera in atto in Val di Susa, in assenza di una corrispondenza al di là delle Alpi (ove mi risulta che si stiano scavando solo gallerie per depositare materiali di risulta: terra e rocce di scavo o scorie radioattive dalle numerosi centrali elettriche atomiche?), è demenziale. Preso atto che del corridoio 5 non risultano attivi tratti significativi che non siano già parte integrante di percorsi finalizzati ad altre mete, non sarebbe il caso di discuterne seremante?
    Difficile ma non impossibile

  7. Kokab 27 dicembre, 2014 at 16:33

    non ho alcuna competenza specifica, e neppure una adeguata informazione, per esprimermi con cognizione di causa sul progetto della tav, e quindi dovrei tacere.
    credo però che nella mia identica condizione si trovino la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, praticamente tutti quelli che non abitano nelle zone interessate dai lavori, e provo quindi ad esprimere il punto di vista, e soprattutto i dubbi, di chi si fa delle domande senza trovare adeguate risposte.
    in italia le grandi opere non sono quasi mai state sinonimo di sviluppo, o perlomeno di uno sviluppo razionale, centrato sugli interessi della collettività, avendo quasi sempre privilegiato gli interessi di una parte, o addirittura di un ristretto gruppo di persone, e finendo quasi sempre col diventare, per buona misura, occasione di clientelismo o di corruzione.
    oggi, di fronte alla chiara scelta politica di portare a termine la realizzazione dell’opera, assistiamo a prese di posizione sempre più frequenti e autorevoli, che ne mettono in discussione l’effettiva utilità e funzionalità, oltre che la sostenibilità dei costi futuri; a me personalmente riesce difficile immaginare che nei prossimi decenni un collegamento interno all’europa possa essere un decisivo vettore di sviluppo economico, in un mondo dove il vecchio continente è sempre più periferia: può essere che sbagli, ma non ho sentito i governi spiegare in modo puntuale perché ciò dovrebbe essere, con precise tabelle che evidenzino il rapporto costi/benefici, e non con l’ineluttabilità delle scelte già operate, magari in un momento in cui le condizioni socioeconomiche erano completamente diverse, e trovo questa cosa sospetta e molto disturbante.
    credo che di fronte a situazioni così complesse e conflittuali, chi governa dovrebbe sentire il dovere di spiegare e argomentare, anche cento volte, il perché si e il perché no, rispondendo nel merito ad ogni rilievo e ad ogni contestazione, perché solo in questo modo è possibile ricondurre il dissenso nei limiti della convivenza civile, applicando un principio di autorevolezza, e non uno di autorità; se questo non avviene, o non avviene in modo adeguato, non ci si può poi stupire se in mezzo al dissenso e alla protesta civile saltano fuori i blackblock di turno che provano a far saltare il banco della democrazia, perché questo è evidentemente nel dna del nostro paese e della sua incompiuta maturità.
    certo, le prime due anime del dissenso organizzato alla tav devono saper individuare e isolare la terza, ma siccome la terza è essenzialmente un problema di ordine pubblico, e non di civile confronto, il problema può essere risolto solo da uno stato autorevole che presidia i nodi sensibili della democrazia e dei diritti, con provvedimenti che non possono essere solo militari.
    difficile ma non impossibile; forse servirebbe un altro ministro dell’interno …

  8. nemo 27 dicembre, 2014 at 16:30

    Già, caro Blue, a chi giova ? Alle popolazioni che manifestano il loro dissenzo, o a coloro che di questo dissenzo se ne fanno forti per arrivare ad altri e più importanti, per loro, risultati ? La militarizzazione che lamenti è avvenuta prima o dopo i primi episodi di “opposizione attiva” ? Sappiamo , e tu onestamente devi ammetterlo, sappiamo che nel nostro Paese una qualsiasi opera che si mette in campo riceve l’opposizione di qualcuno. Oggi nelle mia zona dovrebbero edificare una centralina per la distribuzione della energia elettrica, un quartiere che si sta formando, e ci sono già “comitati” del no. Il più eclatante caso di non è quello della immondizia , il no è tout court, niente immodizia sotto casa mia, si sente reclamare, ma dove? Possibilmente sotto casa dell’altro ! Ebbene credo che la domanda cui prodest alla fine si possa essere comprendere nel cercare, e trovare, chi dalla, inevitabile anarchia che ne consegue, ne trarrà i benefici maggiori.

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