le storie

La falena e il fuoco

L’immagine del focolare domestico acceso per cuocere il pasto serale, intorno al quale la famiglia si riunisce nell’occasione, con la cena, di stare insieme prima di andare a dormire, e delle falene che, attratte dalla luce, iniziano a volare vicino al fuoco, rimanda a vecchissime foto sbiadite nella memoria dei pochi che, ormai, sono sopravvissuti (per età) a quei momenti ormai lontani nel tempo.
Il fuoco nelle case non si accende quasi più, se non per il vezzo di avere il camino con il ciocco che sfavilla; troppo dispersivo il calore, troppo laborioso accatastare la legna e pulire la cenere, poco tempo e troppe cose da fare. Poi c’è il gas, la luce elettrica,….perchè perdere tempo e non godere della facilità indotta dalle comodità odierne?
Il fatto è che con il fuoco che non c’è più, pian piano si è spento anche quell’aspetto conviviale della riunione al suo caldo abbraccio, quel raccontarsi i fatti della giornata, i pensieri più semplici; in fondo, solo storie.
Adesso c’è la televisione, l’ultima puntata della “fiction” da seguire, l’ennesimo vuoto mentale del “reality” in voga; non c’è più tempo per queste banalità e, con il tempo, è venuta a mancare la voglia di parlare, di raccontarsi e raccontare altro che non siano le ultime amenità dette dall’ennesimo “tronista” o improbabile “naufrago” (più o meno famoso).
Ecco, deve essere questa la molla interiore che ha animato persone come George Dawes Green, poeta e narratore, a fondare, insieme ad altri, un movimento e ridare vita a quella forma di espressione che è il raccontare storie.
La nascita di “The Moth” (la Falena) si data orientativamente verso la fine degli anni ’90 e non poteva che avvenire in una città come New York dove le persone vivono schiave di molte cose (dalla frenesia al traffico), ma non certo succubi di consuetudini, credenze, e abitudini che rendono difficile raccontare qualcosa di sè in posti dove tutti ti conoscono e ti giudicano per come vivi, per come ti vesti, per le tue idee.
Ben presto, da piccoli locali della grande mela, il movimento si è diffuso in tutti gli Stati Uniti ed oltre, adesso anche in Europa; ogni sera, in qualche parte del mondo, ci sono persone, talvolta attori, poeti e scrittori, altre volte persone del tutto estranee al mondo dello spettacolo, che salgono sul palco davanti a decine, talvolta centinaia di persone, per raccontare una storia. E lo fanno a braccio, senza una traccia scritta da seguire, talvolta parlando di sè e altre volte raccontando cose inventate, ma sempre in un lasso di tempo limitato (10 – 15 minuti massimo) e con il solo ed unico scopo di creare, su quella storia, quel clima di empatia, quel magnetismo coinvolgente, che ha animato per secoli i focolari a giro per il mondo.
In quelle serate, ci sono padri che raccontano di figli malati di cancro, omosessuali che narrano della difficoltà di parlare della loro vita con i genitori, ma anche donne ormai anziane che ricordano un vecchio fugace incontro d’amore. Talvolta si ha la sensazione che il mestiere abbia influito notevolmente, ma altre volte si intuisce la genuinità del gesto, la spensieratezza ed il piacere di raccontare fuori da ogni costruzione schematica, e la gente seduta in sala percepisce e ascolta con trasporto; già, perchè vanno là e stanno seduti per ascoltare e non per criticare o prendere in giro: chissà se in Italia sarebbe possibile fare altrettanto?

 

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