la società

Africa, integralismo e integrazione

Dialogo sull’Africa

INTEGRALISMO e INTEGRAZIONE

“…cupio dissolvi…”
desidero ardentemente dissolvermi, morire

 

Ventenni che esplodono tra la folla, ebbri del numero di vittime che hanno falciato a colpi di mitra. Auto e camion impazziti su famiglie ignare. Giovani certi di andare a morire…

Riemerge il ricordo di un lontano liceo, quando nell’ora di filosofia si analizzava la patristica latina e in classe si dibatteva il significato di questa espressione. La lettura testuale dell’epistola di San Paolo ai Filippesi sembra esprimere una tentazione al suicidio per coloro che, sconfortati dalla vita, sono incapaci di cercare una rivincita e non sopportano la sconfitta. L’interpretazione letterale porta a considerare il desiderio di annientamento come senso di liberazione per chi è preso da un insopportabile sconforto, il cui epilogo può soltanto portare alla morte, all’annullamento di se stessi.

La questione è stata molto dibattuta dai teologi medioevali, poi è giustamente prevalsa l’interpretazione simbolica, un invito cioè al distacco dalle esigenze del corpo materiale per il desiderio di una vita più ascetica e spirituale. Una identificazione, per “esse cum Christo”.

Gli ultimi, tragici avvenimenti sembrano annunciare una lunga scia di sangue nelle certezze del nostro distratto occidente, e ci riportano, stupefatti, a chiederci come dei giovani, alla soglia della vita, possano coltivare, oggi, questo desiderio che nega il desiderio stesso, un’avversione del divenire, la volontà del nulla, il rifiuto della vi ta.

Giovani cresciuti in mezzo a noi, che hanno frequentato le nostre scuole, che godono del nostro confortevole consumismo, figli di seconda, terza generazione, lontani da quei primi, affamati disperati della prima immigrazione.
Vittime sedotte dall’integralismo, che non si sono integrate.

 

GUERRA DI RELIGIONE: No , la maggior parte delle vittime sono islamiche, non cristiane. Se è guerra di religione è all’interno dell’Islam. Gli sciiti sono perseguitati in medio oriente, Afghanistan e Pakistan. Altro focolaio inter-religioso in Yemen, una guerra che non trova molto spazio sui nostri giornali. Il Papa nega che si tratti di guerra di religione, ma la religione diventa una giustificazione, spiega e dà un senso alle morti in sensate di giovani scriteriati, che massacrano innocenti e muoiono non per rischio prevedibile in un atto di guerra, ma cercando una soluzione programmata. Giovani che ignorano il senso vero del Corano, ma ne gridano pochi versetti stereotipati, per i quali una fede, da loro neppur troppo praticata, diventa appartenenza, e dà un’identità a ragazzi sbandati, soli ed insignificanti, che si esaltano in Internet scaricando le immagini perverse che i taglia-gole spacciano per guerra santa. Si citano i sacri testi, profeti e verità rivelate, come sempre è avvenuto nei secoli passati. Se nel Medio Evo gli interessi politici ed economici degli stati europei nel Mediterraneo non avessero avuto l’imperativo proclamato dall’altare “Dio lo vuole”, nessuno avrebbe rischi ato la vita nelle Crociate! E ancora nel 1900 l’Europa è stata percossa dagli stivali della Wermacht: sul loro cinturone i soldati portavano la scritta “Gott mit uns” Dio è con noi.

 

INTEGRALISMO E INTEGRAZIONE: due termini che sembrano contrapporsi rimbalzano con insistenza nella cronaca quotidiana, ma sorprendentemente hanno la stessa etimologia: integratio in latino, integrar in spagnolo e portoghese, intégrerin francese integration in inglese.

Ma cosa vuol dire integrarsi?

Sembra evidente che noi occidentali abbiamo valutato soltanto il tempo di permanenza in Europa degli immigrati come misura della loro integrazione, e rimarchiamo che li abbiamo ammessi alle scuole, alla sanità, a tutti i nostri servizi, ma in cambio, senza affermarlo apertamente, pretendiamo un loro totale adeguamento al nostro modo di vivere.

Un concetto di “integrazione” che sembra ricordare molto quello di “tolleranza”, il punto di arrivo più avanzato, nella storia dei secoli scorsi, al termine di sanguinose persecuzioni religiose. Il sovrano più illuminato era quello che smetteva di accanirsi su chi professava fedi diverse (valdesi, protestanti, ebrei…), ma li tollerava, richiudendoli, per meglio sorvegliarli, in spazi limitati e controllabili.

Se oggi si stima che nel mondo siano in movimento 130, 150 milioni di migranti, alla ricerca di migliori condizioni di vita, il termine “integrazione” meriterebbe una diversa lettura, riportandolo al vero significato di reciproca conoscenza.

Cosa possono conoscere della nostra cultura gli emigrati da paesi lontani, con un patrimonio culturale che proviene da un passato diverso dal nostro? E cosa ne sappiamo noi di loro?

Certamente è più facile soltanto tollerarli tra noi, meno impegnativo. Il pensiero preconcetto diventa “anche se sei diverso ti sopporto, perché sono buono.

Dopo la strage del Bataclan, un’insegnante aveva proposto alla propria classe di osservare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime. Un’allieva mussulmana si è rifiutata di partecipare, asserendo che nessuno commemorava i morti degli attentati e dei bombardamenti in Medio Oriente.
Suscitando la sdegnata protesta di molti commentatori.

Penso che l’insegnate abbia perso la grande occasione di poter fare della vera integrazione. Prontamente avrebbe dovuto elogiare la sua alunna davanti alla classe, rimarcando che è molto facile dimenticarsi degli “altri” e, ringraziandola per la sua esortazione, proporre il giorno dopo una riflessione per tutte le vittime.

La ragazza avrebbe forse portato a casa l’idea del vero significato di integrazione.

Per inciso, ma aprirebbe un altro infinito capitolo, cosa possono pensare i cittadini di Aleppo, una città rasa al suolo dalle bombe di una coalizione di nazioni che teoricamente combattono l’Isis, ma nella quale in realtà ogni alleato persegue finalità diverse?… Stati che hanno rimandato la destituzione del dittatore, e lo tollerano finché concede le basi ai loro bombardieri!

 

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Tra le macerie delle loro case, i morti smembrati e i loro beni dispersi, questi siriani, pur oppressi dagli integralisti, potranno ora amare gli occidentali?

In Francia, dopo gli ultimi sanguinosi attentati, tutti si sono stupiti che gli autori fossero figli di immigrati residenti da decenni, che avessero frequentato le scuole pubbliche e che quindi, per la lunga permanenza famigliare, avrebbero ben dovuto assimilare la cultura francese.

Così non è stato. La massiccia immigrazione dalle ex colonie ha concentrato grandi masse di nordafricani nelle periferie, le “banlieue”, che so no diventate enclavi nelle città. Qui, la conformità culturale e religiosa, la prosecuzione delle modalità e dei costumi tradizionali fanno da collante di riferimento per la difesa della loro identità e han no creato una barriera all’integrazione, chiudendo la possibilità di amalgamare le diverse culture. Occorre invece evitare la ghettizzazione in aree popolate esclusivamente da immigrati: un gruppo omogeneo troppo numeroso difende ad oltranza la propria diversità e questo ostacola l’integrazione ma favorisce l’estremismo. Il credo religioso, se vissuto come difesa del gruppo, diventa simbolo di appartenenza da proteggere con una rigorosa ortodossia: ne può derivare il fondamentalismo, con tutti le sanguinose conseguenze. Una più capillare distribuzione sul territorio permette di integrare gli immigrati nella nostra società, significa inserimento sociale, insegnare la lingua, le nostre regole, le leggi, la nostra costituzione.

La conoscenza dell’altro, delle sue tradizioni, la sua cultura, la sua religione ci obbliga al reciproco rispetto. Anche la storia andrebbe affrontata con più coraggio, offrendo agli emigrati dalle colonie, libici, algerini, marocchini, tunisini, il risarcimento che pensano di meritare, dovuto loro per l’occupazione coloniale. Un riconoscimento ufficiale, come per gli ebrei deportati, taglierebbe le radici di una storia lontana che genera ancora odio e rivendicazioni.

 

EUROPA

Nasce da una lunga scia di sangue, conflitti di potere e di conquista sotto la scusante delle guerre di religione, dominate da una intolleranza che oggi ci spaventa vedere in altre culture e religioni. Poi, complice una cultura più relativistica, ha generato la democrazia, intesa come coesistenza di più fedi e verità, la propria fede praticata per scelta, non imposta dal dominante. Oggi è minacciata da preoccupanti ritorni di fiamma di prepotenza ed intolleranza. Noi europei, orgogliosi della nostra indipendenza e del nostro diffuso benessere, dobbiamo chiederci quale merito abbiamo di essere nati in nazioni libere, affrancate dalle tirannie medioevali e dalle dittature dell’ultimo secolo, consapevoli oggi che l’ideale di democrazia è il frutto del fiume di sangue sparso nella nostra storia. La democrazia, un concetto di uguaglianza, o almeno dell’equivalenza di tutte le persone, un’idea consolidata e sbandierata, anche se non sempre applicata nei nostri comportamenti quotidiani.

Oggi la frigida burocrazia di Strasburgo si dimostra poco preoccupata dei valori che i padri fondatori dell’Unione Europea avevano ipotizzato e sembra più preoccupata delle regole amministrative che degli obiettivi sociali, favorendo in Europa un nazionalismo esasperato e una strisciante sfiducia nella democrazia, incertezza che genera e dà spazio al razzismo, al totalitarismo , all’antisemitismo.

Il populismo produce la paura del nemico, l’odio, lo scontro, bisogna ripartire da ideali e da riforme comunitarie: la ricerca e l’apertura alle altre culture, nel confronto delle loro peculiarità ma con la fierezza e la difesa dei nostri valori.

Una comparazione paritetica, che superi le colpe e le rivendicazioni del passato, nella ricerca di quanto invece può collegare gli uomini di oggi a l futuro.

Si alzano muri. Calais, Balcani, Ungheria… Emergono nazionalismi che pensavamo superati dalla metà del ‘900, oggi invece sono la sono la re azione a due minacce, i mercati globalizzati dal potere della speculazione transnazionale ed il massiccio afflusso dei diseredati, dei “dannati della terra”. Si rialzano i confini e le frontiere, il segno visibile del limite spaziale della propria identità culturale, contro tutti gli altri. Lo “ius soli” attribuisce il diritto del suolo, la proprietà del luogo di nascita.

 

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L’appartenenza è il confine tra noi e gli altri. L’ “altro” ha due volti, quello del derelitto in fuga dalla fame, miseria e guerre, e quello, la stessa persona, lo straniero minaccioso di cui abbiamo paura e respingiamo.

Ma quali sarebbero i nostri riferimenti ideali, se avessimo la pelle nera, gialla o olivastra, fossimo nati in una foresta equatoriale o tra le sabbie del deserto, cresciuti fra idolatri animisti, o credenti mussulmani, o taoisti, oppure educati in una sinagoga?…

Qualche anno fa, pochi decenni, quando era ancora possibile percorrere l’Africa per scoprirvi le nostre origini, mi stupivo nel trovare in posti così distanti da noi una spiritualità profondamente vissuta, ricca di sorprendenti similitudini.

Mi poteva commuovere, in pieno deserto, vedere un mussulmano delimitare con un cerchio tracciato nella sabbia il posto sacro in cui pregare rivolto alla Mecca, e sacrificare, per le abluzioni rituali, un po’ della sua preziosa acqua, o offrirla ad una sepoltura, una semplice pietra drizzata nella sabbia accanto alla pista…

O sentire da un anziano Dogon la storia della creazione del mondo in nove giorni.

Produrre una società multietnica, multirazziale e multireligiosa necessita di politiche nazionali in grado di armonizzare le diverse culture. Una filosofia dell’accoglienza e del rispetto dell’uomo, dell’altro.

Principi ovvi, presenti nelle dichiarazioni, sviscerati nei dibattiti, linguaggio quotidiano dei discorsi ufficiali.

«Passare un ponte, traversare un fiume, varcare una frontiera, è lasciare lo spazio intimo e familiare ove si è a casa propria per penetrare in un orizzonte differente, uno spazio estraneo, incognito, ove si rischia – confrontati a ciò che è altro – di scoprirsi senza “luogo proprio”, senza identità. Polarità dunque dello spazio umano, fatto di un dentro e di un fuori. Questo “dentro” rassicurante, turrito, stabile, e questo “fuori” in quietante, aperto, mobile, i Greci antichi hanno espresso sotto la forma di una coppia di divinità u nite e opposte: Hestia e Hermes. Hestia è la dea del focolare, nel cuore della casa. Tanto Hestia è sedentaria, vigilante sugli esseri umani e le ricchezze che protegge, altrettanto Hermes è nomade, vagabondo: passa incessantemente da un luogo all’altro, incurante delle frontiere, delle chiusure, delle barriere. Maestro degli scambi, dei contatti, è il dio delle strade ove guida il viaggiatore, quanto Hestia mette al riparo tesori nei segreti penetrali delle case. Divinità che si oppongono, certo, e che pure sono indissociabili. È infatti all’altare della dea, nel cuore delle dimore private e degli edifici pubblici che sono, secondo il rito, accolti, nutriti, ospitati gli stranieri venuti di lontano. Perché ci sia veramente un “dentro”, bisogna che possa aprirsi su un “fuori”, per accoglierlo in sé. Così ogni individuo umano deve assumere la parte di Hestia e la parte di Hermes. Tra le rive del Medesimo e dell’Altro, l’uomo è un ponte».

 

Sono queste le parole, scritte sulla lapide del ponte che collega Strasburgo a Kehl, che il grande studioso di cultura greca antica Jean-Pierre Vernant, morto recentemente, scriveva nel 1999 per il cinquantesimo anniversario del Consiglio d’Europa. Esse mettevano in guardia, anche noi credenti in Cristo e nel suo Vangelo, dalla egoistica tentazione di limitare l’esercizio della nostra fede alla difesa della nostra identità e della nostra cultura. E oggi?

Oggi l’aumento degli sbarchi, la chiusura dei confini di molti paesi europei e la permanenza troppo prolungata nei centri di accoglienza, creano difficoltà a gestire i flussi in arrivo e generano proteste. C’è l’urgenza di un corretto piano di integrazione, che non lasci spazi alle troppe speculazioni politiche ed economiche di chi dall’insicurezza trae beneficio. In alternativa si amplificherà il disagio, l’insofferenza e l’intolleranza, con la conseguenza di dare motivazioni e spazio all’integralismo.

La generica paura del diverso, inculcata strumentalmente nella difficoltà di una perdurante crisi economica, può facilmente cercare capri espia tori, ai quali attribuire le colpe, dimenticando che oggi l’economia mondiale non si basa più essenzialmente sulla produzione, ma sulla speculazione finanziaria, con un perverso gioco delle borse sempre a danno dei più deboli.

Il pregiudizio non è mai innocente, ma sempre legato al potere politico o economico.
(Franca Ongaro moglie di Franco Basaglia)

 

EMERGONO LE PAURE:

La disoccupazione aumenta: perché, nella concorrenza del mercato globale, l’azienda occidentale delocalizza gli impianti dove la manodopera costa meno: si sono persi posti di lavoro, ma questi non sono stati presi da un operaio di colore. L’immigrato si accontenta di mansioni marginali, o incombenze che nessun europeo si sente di fare! Sfruttato a pochi euro al giorno.

 

Hanno la scabbia e i pidocchi: timori già diffusi negli anni ’50, ‘60 quando dal Sud, arrivavano con la valigia di cartone gli “e-migranti” nostri. Problemi risolvibili con pochi giorni di banali trattamenti cutanei, come ben sanno i nostri scolari ad ogni apertura dell’anno scolastico!

 

Aumentano le malattie: curiose affermazioni di molte famiglie che, a fronte di ipotetici e non dimostrati rischi non vaccinano i loro figli, esponendoli, loro sì, a grandi pericoli!

 

La delinquenza è aumentata: la percezione di comportamenti illegali è oggetto di scontro tra le diversi opinioni. Chi sostiene un evidente aumento, chi invece ne dimostra una riduzione. Certamente occorrerebbe valutare meglio quanti illeciti non sono denunciati. Se effettivamente c’è un aumento di criminalità, bisogna valutare in che percentuale ne è responsabile l’immigrazione, vista la naturale propensione al crimine dei nostri concittadini. Sull’argomento sarebbe poi necessaria una accurata indagine sui guadagni che certi soggetti delegati a gestire l’accoglienza riescono a realizzare, dilatando per anni i tempi di permanenza. È evidente che due anni per la verifica dell’idoneità all’ingresso sono un tempo spropositato. In due anni un giovane potrebbe imparare un mestiere e la lingua, studiare, lavorare e rendersi autonomo. Integrarsi. Chiuso in un centro, con due euro al giorno a disposizione, non può certamente nutrire sentimenti di riconoscenza, ma , al massimo cercare di non cadere nelle rivendicazioni dell’integralismo. Se esce dal centro diventa clandestino, per sopravvivere si deve arrangiare, diventando una facile pedina e un complice della criminalità.

 

La difesa della nostra razza: la presunta diversità razziale è stata usata negli ultimi secoli, per lo sfruttamento e la sopraffazione, le perverse ideologie razziali hanno sostenuto orribili genocidi e crudeli devastazioni. Il nostro DNA dimostra che la grande mobilità storica dell’uomo ha incrociato e mescolato gruppi diversi, chi si erge oggi a difesa di una ipotetica “razza pura” dovrebbe pensare che nei nostri cromosomi sono presenti geni che provengono da indoeuropei, etruschi, unni, visigoti, normanni, longobardi, saraceni arabi spagnoli, turchi…

Gli ultimi studi di genetica evidenziano che le nostre differenze genetiche sono minime, e risultano dalla selezione di alcune caratteristiche che si sono dimostrate necessarie per la sopravvivenza in ambienti diversi. Il meticciamento ha reso tutti diversi ma simili, la differenza sta nel diverso quantitativo di melanina delle nostre cellule?

Il nome dei nostri paesi conferma le nostre lontane origini. Toponimi prelatini come Benevagenna, Burio, Acqui ricordano tribù gallo celtiche (i Vagenni, gli Eburiati, gli Stazielli , feroci avversari dei Romani, che aiutarono Annibale nella battaglia del Trebbia il 18 dicembre 218 a.C., (seconda guerra punica). Nomi longobardi: Bra da braida (campagna, podere), latini: Alba (Alba Pompeia), Acqui (Aquae Statiellae), Torino (Julia Augusta Taurinorum), Aosta (Augusta Praetoria), Bologna (Bononia dalla tribù gallo-celtica dei Boi ) Terzo (ad tertium lapidem), Vesime (ad vigesimum lapidem). Il suffisso asco indica l’ origine etrusco-ligure-celtica nell’Italia nordoccidentale (ad es., Bogliasco (Ge), Bergamasco, Frossasco, Cassinasco, Moasca, Bossolasco.

 

La difesa delle radici cristiane dell’Europa : affermazione ridicola, ancora più amara se pronunciata da europei che sono molto distanti dalle quotidiane frequentazioni religiose, ma diventati improvvisamente depositari di quell’ortodossia che hanno accantonato da tempo. Quanto ascoltano Papa Francesco questi cristiani, quando inchioda questo continente all’accusa di pensare più alle banche, inseguire il guadagno in borsa piuttosto che tendere una mano a chi muore in mare.

Anche una lettura superficiale della storia evidenza che il concetto di democrazia, (Platone, Aristotele), è nata nelle polis dell’antica Grecia, contemporaneamente allo sviluppo del pensiero matematico, della filosofia, della logica e ai primi progressi nella conoscenza della natura: per arrivare alle prime democrazie moderne sono passati un paio di millenni e, più della metà di questo lungo periodo, l’Europa è stata quasi esclusivamente dominata da regimi assolutistici od oligarchici cristiani, i cui re, imperatori e papi si sono spesso scambievolmente incoronati e riconosciuti.

La storia ci segnala che il concetto attuale di democrazia ci è stato tramesso dai frutti del Umanesimo rinascimentale, dall’Illuminismo, che ha finalmente separato la scienza dalla religione e dalle rivoluzioni del diciottesimo secolo. Che solo nel tardo medioevo, nonostante i divieti della Chiesa, sono state studiate le opere di Aristotele, scoperte attraverso la traduzione in latino di quelle versioni in arabo degli originali testi greci che gli studiosi arabi avevano tradotto, conservato e commentato. Senza parlare degli ostacoli che molti pensatori e scienziati hanno subito per le loro teorie, basti pensare a Giordano Bruno, Galileo Galilei, Cartesio, Spinoza e, non ultimo, Darwin.

Senza parlare delle Crociate, delle guerre alle altre religioni, dei conquistadores spagnoli in America, dello schiavismo, del colonialismo, della Santa inquisizione, della persecuzione degli ebrei…

Forse soltanto adesso, con gli ultimi Papi, la Chiesa cattolica ha riscoperto i valori di un Cristianesimo “ideale” e “vissuto” e lo ha sovrapposto a quello “reale” e ”dichiarato” del medioevo, avvicinandosi ai valori comuni, ideali, del Socialismo, dell’Islam, dell’Ebraismo e delle altre religioni.

Già il 15 maggio 1931 Pio XI accusava “l’imperialismo internazionale del denaro” nell’Enciclica Quadragesimo Anno.
…“Non abbiate paura” è l’invito di papa Wojtyla.

Oggi Papa Francesco accusa che l’autonomia assoluta della speculazione finanziaria e dei mercati creano l’iniquità. È la bancarotta dell’umanità: ”…si salvano le banche e non si salvano le vite degli esseri umani”.

E ad Auschwitz “Dov’è Dio se nel mondo c’è il male, se ci sono uo mini affamati, assetati, senza tetto, profughi, rifugiati…quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre?”

Il Cardinale Scola: “la storia non ci domanda il permesso di innescare i processi. Ci chiede però di intervenire per orientarli

 

Velo, burka, burkini: sempre più frequentemente ci imbattiamo in donne velate, qualcuna col volto completamente coperto. Per ultima è arrivata la polemica sul “burkini”, che ha scatenato una ennesima controversia tra le opposte posizioni.

Quest’estate David Lisnard, primo cittadino di Cannes ha firmato un’ordinanza di divieto, motivandola perché «è un abbigliamento da spiaggia che manifesta ostinatamente la propria appartenenze religiosa» e per questo potrebbe accendere tensioni.

La questione dovrebbe semplicemente ridursi al rispetto delle nostri codici di ordine pubblico, che vietano ogni impedimento all’identificazione personale. È quindi proibito anche l’uso improprio di caschi integrali nelle manifestazioni di piazza, norma che la cronaca ci dimostra ampiamente disattesa.

La proibizione si potrebbe estendere anche alle maschere di carnevale, e non è detto che la nuova realtà ci obblighi a questa scelta.

Le nostre leggi vietano soltanto il velo integrale. Non c’era alcun problema quando le nostre contadine nascondevano i capelli mettendosi in testa un fazzolettone colorato, o le nostre suore circolavano coperte dalla testa ai piedi, con artistici copricapi inamidati. E circolavano foto un po’ galeotte quando, al mare si immergevano coperte da tuniche che nulla lasciavano vedere!

Simboli religiosi, come la lunga veste nera e la chierica nei capelli per i preti, la tunica arancione di un buddista, il distintivo di un partito, o la testa rasata di un neonazista. Segni di appartenenza, come le uniformi dei soldati.

 

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Velo, tonaca, burka, kippah kefia, zuccotto, tiara, berretta, cappelli militari, stellette, mostrine, tutti emblemi di una funzione, di gruppo, di identificazione Affermazioni di un’identità che vanno scemando in ambito religioso, ma che aumentano in quello sociale, con l’esibizione di capi firmati. Oggi i sacerdoti vestono il clergymen e le suore hanno raccorciato la gonna ed il velo sui capelli, mentre i nostri giovani si riempiono di tatuaggi, di piercing, e sfoggiano pantaloni sformati e capigliature sempre più fantasiose, che danno loro la sicurezza di identificarsi nel gruppo, imitandone i modelli di appartenenza. Una nuova religione?

E, ad una osservazione estetica, senza pregiudizi, le arabe che incontriamo nelle nostre città con un velo colorato sui capelli, non assomigliano alle immagini delle tante Madonne effigiate nelle nostre chiese?

Qualche anno fa era impensabile accedere scollacciati in chiesa, le donne con un velo coprivano i capelli. Oggi i cartelli invitano al rispetto del luogo sacro, con scarsi risultati, viste quante minigonne e pantaloncini vi entrano indifferenti. Ignorando un elementare concetto di rispetto, da riservare in ugual misura a tutti i simboli religiosi, se questi sono scelti liberamente e non imposti ed esibiti come depositari dell’unico e vero verbo.

 

QUALE RELIGIONE? 1

Tutte le religioni hanno un fondamento comune. Con l’idea del sovrannaturale l’uomo ha dato risposta alle domande sempre irrisolte sull’origine del mondo, ha riempito il salto concettuale insito nel microcosmo tra la più piccola particella dell’atomo ed il nulla, o, nel macrocosmo, tra il vuoto e l’infinito dell’universo. Lo stesso salto concettuale che in matematica separa lo zero dall’uno, o dalla più piccola frazione infinitesimale che si possa immaginare. Per il credente questa antinomia è superata con l’idea di un dio creatore, che tutte le religioni hanno in comune.

E nelle loro dottrine tutte contengono le regole delle relazioni umane, leggi morali per vivere in armonia nella società civile.

Le prime religioni attribuivano a un intervento sovrannaturale gli inspiegabili fenomeni della natura, il fuoco, il vento, la tempesta, il tuono, il fulmine, poi le divinità hanno personificato anc he le caratteristiche dell’uomo, la saggezza, la bellezza, la forza, il coraggio, l’amore, la salute, la
fecondità…, con le stesse analogie in ogni regione della terra.
Il politeismo ha poi dato la possibilità di inserir e le nuove deità provenienti dalle terre conquistate o dai commerci con popolazioni lontane. Ne è esempio l’affollato pantheon romano. Ma quando a Roma si è affacciata una religione monoteista, un solo dio che escludeva di colpo la presenza di tutti gli altri, il collaudato sistema di assimilare le altre divinità è andato in crisi ed è iniziata la persecuzione. Poi, per un bizzarro voltafaccia delle storia, nei secoli successivi, lo stesso cristianesimo è diventato persecutorio delle altre religioni…

La forza delle religioni monoteistiche sta nella convinzione di avere fede nell’unico, vero Dio, ma questa sicurezza le pone in conflitto con le altre fedi per la loro reciproca, perenne contrapposizione.
Le peggiori stragi della storia sono state compiute in nome di Dio.

Già nel marzo 2004, il governo francese, forte dell a sua consolidata laicità, aveva proibito di indossare veli, kippah, o vistose croci cristiane nelle scuole elementari e medie in Francia. Oggi, visto l’attuale rapido rimescolamento di culture differenti, sarebbe forse auspicabile, in Europa, che l’ora di religione, adesso facoltativa a scuola, si cambiasse in studio obbligatorio delle diverse religioni, in modo di fornire a tutti gli studenti la possibilità di comprenderne gli elementi fondamentali e la possibilità di valutare tutti quegli elementi comuni che ne possono permettere una serena convivenza. Quello che unisce, non quello che divide.

Invitando gli studenti a confrontarsi e riflettere sulle contraddizioni:
RELIGIONE – RELIGIOSITA’, INTEGRAZIONE – INTEGRALISMO,
MORALISMO – MORALITA’.

 

 

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QUALI SOLUZIONI

La risposta è molto difficile, soltanto molti politici dichiarano soluzioni che appaiono più indirizzate a rassicurare la loro base elettorale che alla vera comprensione del problema, destra e sinistra si confrontano, ma le soluzioni latitano, al pari dell’Europa che si tiene molto distante dalle nostre coste.

Intanto quelli che sono riusciti ad arrivare alle nostre coste vivono nel limbo dei sepolti vivi nei centri di accoglienza. Invisibili ed esclusi, come i disoccupati nelle periferie, i barboni, i senza patria, in teoria simili a noi, solo in teoria, ma diversi, quindi pericolosi .

Diversi, pericolosi, inferiori, ma potenzialmente criminali, l’antitesi della nostra identità fittizia: noi compatti, tutti ipercattolici fieri delle radici cristiane dell’Europa! Sono la facile comparazione tra il nostro sudato benessere e la loro povertà, e diventano il capro espiatorio del nostro inconsapevole senso di superiorità, la colpevolizzazione del povero perché povero e deve vergognarsi della sua povertà: il povero è pigro e di fibra moralmente debole.

Sono profughi in attesa di un’identità, schiavi di un sistema che li rinchiude nei centri per lunghi anni, nell’attesa di un’assurda verifica di un diritto d i asilo, come se ci fosse differenza tra la fame di chi scappa da una guerra e da chi fugge dalla povertà. Anni sprecati nel vuoto di un cortile, tempo prezioso per formare un giovane al lavoro, insegnargli la lingua, le leggi.

Integrarlo.

Prigionieri di una distinzione bizantina e tartufesca che discrimina chi non ha nulla.

Schiavi inerti della speculazione di chi lucra sui tempi lunghi dell’accoglienza, con cifre da capogiro che sono emerse dalle prime, tardive indagini fiscali, che però poco o nulla hanno velocizzato il sistema, se guardiamo al moltiplicarsi di quanti nuovi soggetti si propongono per l’accoglienza, quante neonate cooperative sociali registrano statuti ridondanti di frasi di solidarietà.

Se, esasperati dall’attesa, fuggono dai centri inizia per loro un’altra odissea, con la fuga sono automaticamente diventati clandestini, devono diventare invisibili.

In esilio: ex solum, fuori della terra, esuli che vivono la pena dell’esclusione, l’allontanamento dal proprio contesto sociale e lo sradicamento dalla propria identità culturale, costretti ogni giorno a sopravvivere, mangiare, dormire, vestirsi, con il sogno di raggiungere parenti in altre parti d’Europa, o semplicemente stabilirsi qui. La nostalgia. 2

Ci stupisce che in questo cocktail di emarginazione, di esclusione e di fame possa aumentare la microcriminalità, o che nella rabbia e nella disperazione di chi è senza prospettive si facciano strada le seduzioni dell’integralismo?

In questa epoca di società liquida , come la definiva Umberto Eco, il quotidiano aumento degli sbarchi suggerisce a nostri maestri del pensiero la semplicistica soluzione di rispedirli a casa loro. Qualcuno arriva ad ipotizzare progetti di cooperazione con i governi dei loro paesi di origine. Ma entrambe le soluzioni sono molto difficili da realizzare.

 

Rimandarli a casa loro

Per la prima occorrerebbe sapere qual è il paese, ma di solito il migrante non ha documenti. In gran parte dell’Africa non ci sono registri dell’anagrafe. Oppure i documenti li aveva, ma li ha buttati proprio per evitare il rimpatrio. Ma, ammesso che si possa riportarlo a casa, lo si condannerebbe a un destino ancora peggiore. Per affrontare il viaggio la sua famiglia ha venduto tutto ed è anche diventata ostaggio in una pesante schiavitù da debito con i possidenti locali. Nei villaggi sono rimasti solo vecchi, troppo stanchi per il viaggio.3

Per quelli che vengono dalla fascia sub-sahariana il viaggio è durato uno, due anni. Tutti i migranti riferiscono che ai primi controlli sono stati rapinati di tutto il contante. Poliziotti, gendarmi, doganieri milizia, esercito, chiunque dotato di una divisa o di qualche potere pretende un contributo per concedere la tappa successiva. Quindi il viaggio si trasforma in una serie di soste obbligate, dove bisogna trovare qualche lavoro per pagare il passaggio alla meta successiva, cercando un passeur affidabile, che non li abbandoni dietro una duna senza cibo ne acqua. E così via, 3, 4.000 chilometri di deserto, fame, sete, angherie, violenze e rapine.

La migrazione è diventata un grande motore dell’economia di quei paesi. Intere città, Agadez, Niamey, Tamanrasset, Ghat, Sebha, Ghadames sono piene pick-up di trasportatori, di punti di raccolta, di mediatori che formano i gruppi per i camion. Girano soldi, un mucchio di soldi, diventare passeur è un professione molto redditizia, e tutti ne approfittano. Si aprono negozi, c’è anche il commercio dei bambini, meglio se storpi, portati da false madri a mendicare in qualche ricco paese arabo.

Poi, superato il deserto, i barconi fatiscenti nel cimitero del Mediterraneo. E, sbarcati, occorre diventare invisibili, per cercare ancora qualche autotrasportatore che li nasconda nella cella frigorifera di un camion verso il Nord dell’Europa. Ancora soldi, dopo aver raccolto per pochi euro quintali di pomodori o di arance agli ordini di un altro caporalato crudele. Cercando di non essere catturati e, clandestini, essere nuovamente rinchiusi in attesa di un’altra verifica, o di aver un foglio di espulsione, che non ha alcun valore per l’impossibilità di rispettarlo.

 

Progetti di cooperazione

Aiutarli a casa loro, è l’idea che apparentemente potrebbe risolvere il fenomeno dell’immigrazione selvaggia e potrebbe anche rappresentare un risarcimento per i torti del colonialismo. Si potrebbe pensare che, se le condizioni in Africa fossero meno disperate, gli africani non avrebbero bisogno di indebitarsi e rischiare la vita per arrivare in Europa. Un idea utopistica, purtroppo ben lontana da una possibile realizzazione.

Soltanto un ente internazionale riconosciuto, una sorta di ONU economico, potrebbe indurre i dittatori africani a collaborare a progetti di cooperazione e sviluppo siglati tra stati partner che si impegnino alla crescita sociale di quelle popolazioni.

Oggi l’economia mondiale è in mano ai grandi gruppi multinazionali, costituite di azionisti di tutto il mondo, che mirano soltanto a ricavare utili per i loro investitori, non certo disponibili a collaborare a progetti di sviluppo, se non marginalmente con scopi propagandistici. Sono i loro delegati che propongono ai despoti africani i contratti per le materie prime e che permettono loro di inserirsi nell’elenco dei più ricchi al mondo, con capitali inimmaginabili depositati nelle sicure banche svizzere e inglesi. Del tutto indifferenti se il loro popolo soffre la fame o non ha un lavoro per sopravvivere. Anzi, più le notizie di denutrizione e povertà girano sui notiziari, più arrivano aiuti umanitari, il più delle volte ampiamente dirottati nell’acquisto di armi o nelle casse personali dei vari funzionari.

L’idea poi che l’economia di una nazione sia direttamente legata alla presenza di investimenti trova grandi obiezioni in molti economisti. Peter T. Bauer, (1915-2002) affermava che la crescita economica è direttamente legata alla realtà delle istituzioni: forma di governo, diritto alla proprietà, libertà degli scambi, la burocrazia. Per B. non sono fondamentali gli aiuti stranieri per lo sviluppo del terzo mondo. Gli aiuti, stanziati in grande quantità dai Paesi occidentali nel corso degli ultimi cinquant’anni, si siano rivelati spesso non solo inutili, ma dannosi: per lo sviluppo economico, la qualità della vita pubblica, il rispetto dei diritti fondamentali nei Paesi “beneficiari ”. Secondo B “possedere il denaro è il risultato dell’attività economica, non la sua precondizione”: il capitale non è la primaria esigenza per creare sviluppo, se sono presenti le condizioni di libertà e democrazia. Il capitale necessario si autogenera, o si può ottenere con le normali contrattazioni di mercato. Il denaro erogato può essere controproducente. Angus Deaton, premio Nobel per l’Economia nel 2015 definisce “aid illusion” “l’errata convinzione che la povertà del mondo potrebbe essere eliminata solo se i ricchi o i paesi ricchi dessero più soldi ai poveri o ai paesi poveri” . Afferma che si finisce di consolidare regimi liberticidi, o determinare con indebite intrusioni le priorità delle scelte necessarie. Sarebbe dunque prioritario pretendere dagli stati la dimostrazione che le risorse creino benefici alla popolazione.

Ma il mercato è manovrato dal perverso gioco economico dalle multinazionali, che poco seguono regole etiche e che, complice il nazionalismo economico, addirittura alzano barriere sull’importazione di quei prodotti africani che sono il frutto di progetti di sviluppo!

Negli stati africani continua immutabile il concetto tribale di democrazia piramidale, una vera cooperazione sarà possibile soltanto quando sarà consolidata l’idea di democrazia orizzontale, l’equivalenza cioè di tutti gli individui. Pensiero che l’Europa si illudeva di riscontrare nelle recenti “primavere arabe”, ma che invece si sono risolte soltanto nei tentativi di sostituzione dei vertici dominanti.

 

Dicembre 2016

1 Religione etimo: religio: re (frequenza) lègere (scegliere) cercare, guadare con attenzione
Secondo Cicerone: relegere (rileggere con attenzione il culto degli dei « Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti ad un essere superiore la cui natura definiamo divina » De inventione Lattanzio: Re- ligare unire insieme (gli uomini nello stesso culto) l’idea primitiva di ‘ciò che lega’ di fronte agli dei”: unire insieme
Sant’Agostino d’Ippona : religĕre composto dal prefisso re-, intensivo + ēlĭgĕre = scegliere:
Cicerone. qui autem omnia quae ad cultum deorum pertinerent diligenter retractarent et tamquam relegerent, sunt dicti religiosi ex relegendo, ut elegantes ex eligendo, diligendo diligentes, ex intelligendo intelligentes; his enim in verbis omnibus inest vis legendi eadem quae in religioso. Coloro, invece, che diligentemente riesaminassero e, tanto quanto, osservassero tutto ciò che fosse pe rtinente il culto degli dei sono detti religiosi (che deriva) da relegere, come eleganti (deriva) da eligere, diligenti (deriva) da diligere, intelligenti (deriva) da intelligere; infatti, in tutte queste parole è contenuto il valore di legere, lo stesso che in religioso.
2 Nostos: nostalgia del ritorno, ritorno a casa o in patria, andata, tragitto, viaggio
3 Lidia Catalano La Stampa 25 settembre 2016: in Nigeria: Boko Haram 20.000 persone uccise in sette anni, due milioni e mezzo costretti a fuggire. In Niger, Chad e Camerun 86 attentati da minori obbligati a diventare kamikaze. 244.000 bambini in grave stato di denutrizione. in Centrafrica: due milioni e mezzo senza mezzi di sostentamento, 10.000 bambini-soldato. In Sud Sudan: 10.000 vittime del conflitto interetnico. Due milioni di sfollati in fuga verso l’Uganda. 4 milioni alla fame.

Fotografie dalla rete web.

 

 

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La redazione

Damnatio memoriae
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