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Bando all’ipocrisia

 

Bando all’ipocrisia

I no dei sindaci spinti dai comitati nimby, le paure dei burocrati riottosi alla responsabilità di firmare atti, le accortezze dei parlamentari, le inchieste delle procure, la rotta ondivaga del governo, l’emotività del referendum, le suggestioni politiche dei presidenti regionali. Così l’Italia in pochi mesi si è fatta sfuggire fra le dita più di 10 miliardi di investimenti internazionali e nazionali nel settore minerario del petrolio e del metano. È la stessa Italia che a parole cerca di attrarre investimenti ma continua a scacciarne, che a parole vuole fare a meno del petrolio e del gas ma continua a consumarne sempre più furiosamente, la stessa Italia che invoca l’energia rinnovabile ma viene bloccata da sindaci e comitati nimby fino a far crollare la produzione verde nazionale e a costringere le imprese italiane dell’energia pulita a investire all’estero.Bando all’ipocrisia

 

Così inizia un articolo pubblicato oggi da IlSole24Ore, nel quale si analizza in termini numerici la situazione italiana in merito agli argomenti che saranno di attualità nel prossimo referendum del 17 aprile e del quale citeremo alcuni passi significativi.
Trattandosi dell’organo di stampa della Confindustria, credo che l’articolo nel suo insieme debba essere preso con le dovute cautele e non per la veridicità delle cifre in esso esposte quanto per i necessari approfondimenti sulle tematiche ambientali date le possibili omissioni dovute alla necessità di, come si suol dire, “mettere l’asino dove vuole il padrone”. Un altro aspetto non trattato, sul quale credo sia necessario andare a fondo è quello della redditività delle concessioni usualmente attribuite, nel nostro Paese, a prezzi, diciamo, molto convenienti.

 

Da definire integralmente anche la questione dell’inquinamento della Val d’Agri, al centro dei problemi evidenziati dalla telefonata dell’ex ministra Guidi al suo compagno che ha portato alle dimissioni della Guidi ed alle fibrillazioni politiche di questi giorni. Su tutta la faccenda, sulla quale la Magistratura ha in corso un’inchiesta già da circa due anni, non abbiamo dati certi se non, l’aumento delle diagnosi tumorali nelle persone che abitano quelle zone. C’è da aggiungere, peraltro, che di tutti i pozzi già aperti e di quelli di cui si progetta la perforazione, solo una piccola parte di essi prevedono l’estrazione del petrolio, agente inquinante ormai certificato, mentre sulle estrazioni di gas metano, nonostante numerose ricerche sulla qualità dell’acqua e della flora e fauna marina in prossimità delle piattaforme esistenti, non si sono avuti riscontri tali da certificare la loro pericolosità in termini di inquinamento ambientale; nel contempo fonti autorevoli hanno denunciato la pericolosità di chiudere i pozzi senza averne esaurite le riserve (cosa che inevitabilmente accadrebbe se il Referendum portasse al non rinnovo delle concessioni già attive). Bando all’ipocrisia

 

Detto tutto questo credo che sia necessario prendere atto del fatto che, nel momento in cui diciamo “no” alle trivellazioni (vecchie e nuove), diciamo “no” ad uno sviluppo in larga scala del fotovoltaico domestico, e diciamo, infine “no” ad una drastica riduzione dei consumi energetici, ci rendiamo colpevoli di una serie talmente intricata di contraddizioni da farci ridere dietro dal resto del mondo (cosa alla quale, peraltro, siamo abituati da decenni). Bando all’ipocrisia

Nell’approccio alla giornata referendaria, che ognuno esprima la sua posizione, andando o no a votare, oppure votando secondo la propria sensibilità, ma facciamo anche in modo che questa non sia l’ennesima occasione persa nell’affrontare in modo serio e coerente lo sviluppo energetico del Paese perchè “no” a tutto, non si può più dire, soprattutto sapendo in partenza che, in ogni caso, sono migliaia i posti di lavoro persi, sia quelli nell’industria delle energie alternative, sia nel campo dell’estrazione di idrocarburi. E mentre lasciamo ipocritamente che l’inquinamento e le malattie vadano a colpire popolazioni lontane da noi per poterci permettere una vita con una serie di comodità che altrimenti non avremmo per niente (dalla luce elettrica nelle case, al riscaldamento, per finire con la benzina per l’automobile), apriamo una buona volta gli occhi e guardiamoci con onestà allo specchio per decidere cosa vorremo fare da grandi. Bando all’ipocrisia

 

Dopo le scoperte di giacimenti enormi vicino a Cipro, in Israele e in Egitto, le compagnie pronosticano altri ritrovamenti giganti in Italia: nel mare a nord-ovest della Sardegna, nel canale di Sicilia verso la Tunisia, nel mare Ionio dal quale era stata fatta scappare la Shell. Le stime di questi giacimenti ancora da scoprire fanno pensare a riserve per oltre 700 milioni di tonnellate fra petrolio e metano (Strategia energetica nazionale 2012). A titolo di confronto, l’Italia consuma fra i 50 e i 60 milioni di tonnellate di petrolio l’anno. In via teorica, 700 milioni di tonnellate italiane significherebbe una dozzina d’anni di totale autonomia dell’Italia dalle importazioni, nemmeno una petroliera nei nostri mari, neanche un euro a califfati e oligarchi.Bando all’ipocrisia

 

Questo è quello che i ricercatori italiani ipotizzano si possa scoprire e se si nutrono dei dubbi sulle loro capacità, si sappia che “…pochi mesi fa l’Eni ha scoperto nel mare davanti al delta del Nilo un giacimento di metano, chiamato Zohr, con dimensioni così grandi da far cambiare il rating della società di San Donato Milanese e l’asse della geopolitica energetica mondiale. Ebbene, su quel giacimento erano passati gli scienziati delle compagnie petrolifere più grandi al mondo e nessuno ne aveva intuito l’esistenza finché non è stato studiato dal centro di calcolo dell’Università di Bologna.Bando all’ipocrisia

Facciamo tutte le nostre riflessioni, facciamolo in modo serio ed arriviamo a delle scelte per poi assumere, una volta tanto, comportamenti coerenti.

                                                      Bando all’ipocrisia

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28 comments

  1. Scan 15 aprile, 2016 at 14:43

    “Referendum trivelle, dalle acque costiere solo poche migliaia di barili”: questo è un titolo di repubblica economia&finanza, che conferma le notizie della prima ora: le riserve vicino a costa possono coprire il fabbisogno italiano per poche settimane, pochi mesi al massimo. e allora perché insistere con queste piattaforme che così poco producono? e qui viene fuori, finalmente, il vero motivo delle proroghe alle concessioni: le spese di chiusura degli impianti e del loro smantellamento che, con le proroghe, verrebbero rinviate all’infinito. i petrolieri ringraziano…

  2. Scan 15 aprile, 2016 at 14:43

    “Referendum trivelle, dalle acque costiere solo poche migliaia di barili”: questo è un titolo di repubblica economia&finanza, che conferma le notizie della prima ora: le riserve vicino a costa possono coprire il fabbisogno italiano per poche settimane, pochi mesi al massimo. e allora perché insistere con queste piattaforme che così poco producono? e qui viene fuori, finalmente, il vero motivo delle proroghe alle concessioni: le spese di chiusura degli impianti e del loro smantellamento che, con le proroghe, verrebbero rinviate all’infinito. i petrolieri ringraziano…

  3. Scan 12 aprile, 2016 at 00:03

    @m.ludi: se vince il si le concessionarie saranno obbligate, che siano o no esauriti i giacimenti, a mettere in sicurezza gli impianti di estrazione al termine della concessione. per questo motivo (anche per garantire maggiore sicurezza) saranno spinti a esaurire i giacimenti. con una maggiore redditività da parte della comunità

  4. Scan 12 aprile, 2016 at 00:03

    @m.ludi: se vince il si le concessionarie saranno obbligate, che siano o no esauriti i giacimenti, a mettere in sicurezza gli impianti di estrazione al termine della concessione. per questo motivo (anche per garantire maggiore sicurezza) saranno spinti a esaurire i giacimenti. con una maggiore redditività da parte della comunità

  5. Scan 11 aprile, 2016 at 14:48

    ho fatto un rapido giro tra le leggi che regolano le concessioni di estrazioni di gas e petrolio nel territorio italiano, in mare o in terraferma scoprendo che esiste una sorta di franchigia sulle royalties (pare tra le più basse nel mondo) che le compagnie concessionarie devono versare allo stato italiano sulla quantità estrattiva annua. tenendo bene a mente che il referendum non dice “trivelle si” o “trivelle no” (ipocrisia o disinformazione?) ma riguarda l’abrogazione di un recente emendamento alla legislazione attuale che prevede, l’emendamento, la proroga della concessione fino all’esaurimento del giacimento, mi viene, naturale, questo ragionamento: cosa impedirebbe alla concessionaria, non più vincolata a un termine temporale, di gestire la propria attività estrattiva in modo da essere (sempre o in base al prezzo attuale dell’estratto) al di sotto del termine di franchigia? e , quindi, non pagare una beneamata…allo stato italiano? questo il primo, brutale, pensiero. a seguire una considerazione, più pregnante riguardo ai diritti del cittadino: perché demandare all’interesse di un privato, italiano o straniero, la possibilità di sfruttare, a suo piacimento, senza vincoli temporali, un bene pubblico? riguardo al paragone, che molti (soprattutto i fautori del no) fanno con il referendum sul nucleare (al quale ho votato – ebbene si – no) faccio presente che il risultato di quella votazione ha provocato, immediatamente, la chiusura e la dismissione (ancora un corso) di centrali altrettanto sicure (come minimo) di quelle da cui ci approvvigioniamo a pagamento; e al cui rischio di incidente siamo ugualmente esposti

      • M.Ludi 11 aprile, 2016 at 21:55

        Scan le tue osservazioni sono quanto di più sensato ho letto sul referendum e bene avrebbero fatto tutti (Governo in primis) a concentrarsi solamente su questi aspetti legati alla redditività di un’attività con ottimi ritorni ma per la quale lo Stato introita ben poco. Il tuo ragionamento però non mi convince del tutto (nel senso che non comprendo perchè le aziende che trivellano dovrebbero ridurre a livelli molto bassi le estrazioni per non pagare le royalty allo Stato, o meglio, non ho trovato modo di fare verifiche in tal senso) per cui permane in me la convinzione che, dal momento che le trivellazioni sono in atto e che il pericolo inquinamento (trattandosi prevalentemente di gas) è assai basso, poichè pare opportuno non lasciare giacimenti aperti senza averne esaurite le scorte, sia opportuno votare no ma se hai altri elementi da sottoporre, sarò lieto di valutarli. In ogni caso sono come te convinto ad andare a votare e ad accettare il verdetto delle urne e sono decisamente contrario all’astensione.

        • Scan 11 aprile, 2016 at 22:38

          dlgs 625/96:
          Art. 19
          (Armonizzazione della disciplina sulle aliquote di prodotto della coltivazione)

          1. Per le produzioni ottenute a decorrere dal 1o gennaio 1997, il titolare di ciascuna concessione di coltivazione e’ tenuto a corrispondere annualmente allo Stato il valore di un’aliquota del prodotto della coltivazione pari al 7% della quantita’ di idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma, e al 7% della quantita’ di idrocarburi gassosi e al 4% della quantita’ di idrocarburi liquidi estratti in mare.

          2. L’aliquota non e’ dovuta per le produzioni disperse, bruciate, impiegate nelle operazioni di cantiere o nelle operazioni di campo oppure reimmesse in giacimento. Nessuna aliquota e’ dovuta per le produzioni ottenute durante prove di produzione effettuate in regime di permesso di ricerca.

          3. Per ciascuna concessione sono esenti dal pagamento dell’aliquota, al netto delle produzioni di cui al comma 2, i primi 20 milioni di Smc di gas e 20000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, e i primi 50 milioni di Smc di gas e 50000 tonnellate di olio prodotti annualmente in mare.

          il 7% è stato portato, con la stessa disposizione che proroga le concessioni, al 10%. ma se hai la proroga fino all’esaurimento del giacimento nessuno ti vieterà di regolare la tua attività estrattiva in base ai prezzi del momento. se avessi un termine temporale sicuro avresti interesse a esaurire, al più presto, le disponibilità del giacimento

          • M.Ludi 11 aprile, 2016 at 23:37

            Quindi se ne deduce che se vince il si, le compagnie saranno esortate ad incrementare l’estrazione per sfruttare al massimo i giacimenti, sia pur a costo di pagare le royalty? C’è poi la questione legata al fatto che alla scadenza (non rinnovabile) i pozzi devono essere chiusi anche se molti sostengono che questo sia più rischioso delle piattafprme stesse; sembrerebbe che mentre tutti parlano solo di ambientalismo senza se e senza ma, la questione sia tra lo scegliere un possibile rischio ambientale (la chiusura dei pozzi non ancora esauriti) a fronte di un maggior introito economico dello Stato. Credo che la cosa più giusta sarebbe stato che il Parlamento legiferasse evitando il Referendum; ma pare che la cosa non sia interessata a nessuno.

          • M.Ludi 12 aprile, 2016 at 09:42

            Mi sono fatto un giro in Internet per cercare elementi in grado di chiarirmi le idee e sono giunto alla conclusione che la tua tesi, in base alla quale le compagnie petrolifere tenderebbero a mantenere il livello di estrazione al di sotto della franchigia, in modo da evitare di pagare le royalty allo Stato italiano, è assai debole da sostenere.
            Per prima cosa, occorre ricordare che la quantità di idrocarburi estratta dai giacimenti italiani è una frazione delle esigenze totali (ed in crescita) del nostro Paese, quindi, quelle stesse compagnie (Eni e Total su tutte) che, secondo ciò che sostieni, tenderebbero a stare basse sui livelli di produzione in prossimità delle nostre coste, poi dovrebbereo andare a prendere il petrolio ed il gas che ci servono in posti molto più lontani, dove è si possibile che le royalty siano più basse di quel 10% che pretende l’Italia, ma con costi di trasporto assai maggiori che, temo, compenserebbero abbondantemente i risparmi fiscali.
            In secondo luogo, credo di poter affermare che le tue considerazioni peccano di una scarsa conoscenza delle dinamiche interne ad un’azienda; è vero che la variabile fiscale può incidere pesantemente sulle scelte imprenditoriali, inducendo, però, le aziende a delocalizzare, cioè andare a produrre in Stati a fiscalità agevolata. Ma in questo caso ciò non è possibile, e se è vero che adesso sull’estratto oltre franchigia esse debbono pagare il 10%, è pur vero che quando hanno iniziato a farlo, sapevano di dover pagare il 7%, quindi una differenza che non incide sostanzialmente sulle scelte estrattive.
            Considera infine che ogni compagnia petrolifera, per poter arrivare ad estrarre, deve sostenere costi elevatissimi di ricerca (in certi casi, nelle attività minerarie arrivano a coprire il 20-25% del prezzo di vendita) e di impianti che hanno necessità di decenni per essere ammortizzati ed è letteralmente un non senso limitare la produzione per pagare meno royalty quando sulla vendita dell’estratto, coperte queste ultime, avanzano margini adeguati a coprire gli ammortamenti ed a pagare i dipendenti che, in ogni caso, sono a libro paga. Un ultimo accenno relativo alla diseconomicità, in termini industriali, del sottoutilizzo di impianti i quali devono essere, in ogni caso, alimentati da energia.
            E’ vero che, al momento, dati i bassi prezzi di vendita degli idrocarburi, può essere più conveniente stare fermi che estrarre, ma in linea generale, l’atteggiamento che tu ipotizzi assomiglia molto a quello di quel marito il quale per far dispetto alla moglie si tagliò i…….. 🙂
            Può darsi che in tutto questo ragionamento mi sia sfuggito qualcosa ma, salvo prova contraria, la tesi che sostieni non sta in piedi, per cui, come detto, andrò a votare, ma voterò no.

          • M.Ludi 18 aprile, 2016 at 09:30

            L’abvevo letto anche io Scan; testimonia il fatto che IlSole24Ore non è schiacciato sulle posizioni confindustriali ma lascia spazio anche ad opinioni diverse.

  6. Scan 11 aprile, 2016 at 14:48

    ho fatto un rapido giro tra le leggi che regolano le concessioni di estrazioni di gas e petrolio nel territorio italiano, in mare o in terraferma scoprendo che esiste una sorta di franchigia sulle royalties (pare tra le più basse nel mondo) che le compagnie concessionarie devono versare allo stato italiano sulla quantità estrattiva annua. tenendo bene a mente che il referendum non dice “trivelle si” o “trivelle no” (ipocrisia o disinformazione?) ma riguarda l’abrogazione di un recente emendamento alla legislazione attuale che prevede, l’emendamento, la proroga della concessione fino all’esaurimento del giacimento, mi viene, naturale, questo ragionamento: cosa impedirebbe alla concessionaria, non più vincolata a un termine temporale, di gestire la propria attività estrattiva in modo da essere (sempre o in base al prezzo attuale dell’estratto) al di sotto del termine di franchigia? e , quindi, non pagare una beneamata…allo stato italiano? questo il primo, brutale, pensiero. a seguire una considerazione, più pregnante riguardo ai diritti del cittadino: perché demandare all’interesse di un privato, italiano o straniero, la possibilità di sfruttare, a suo piacimento, senza vincoli temporali, un bene pubblico? riguardo al paragone, che molti (soprattutto i fautori del no) fanno con il referendum sul nucleare (al quale ho votato – ebbene si – no) faccio presente che il risultato di quella votazione ha provocato, immediatamente, la chiusura e la dismissione (ancora un corso) di centrali altrettanto sicure (come minimo) di quelle da cui ci approvvigioniamo a pagamento; e al cui rischio di incidente siamo ugualmente esposti

      • M.Ludi 11 aprile, 2016 at 21:55

        Scan le tue osservazioni sono quanto di più sensato ho letto sul referendum e bene avrebbero fatto tutti (Governo in primis) a concentrarsi solamente su questi aspetti legati alla redditività di un’attività con ottimi ritorni ma per la quale lo Stato introita ben poco. Il tuo ragionamento però non mi convince del tutto (nel senso che non comprendo perchè le aziende che trivellano dovrebbero ridurre a livelli molto bassi le estrazioni per non pagare le royalty allo Stato, o meglio, non ho trovato modo di fare verifiche in tal senso) per cui permane in me la convinzione che, dal momento che le trivellazioni sono in atto e che il pericolo inquinamento (trattandosi prevalentemente di gas) è assai basso, poichè pare opportuno non lasciare giacimenti aperti senza averne esaurite le scorte, sia opportuno votare no ma se hai altri elementi da sottoporre, sarò lieto di valutarli. In ogni caso sono come te convinto ad andare a votare e ad accettare il verdetto delle urne e sono decisamente contrario all’astensione.

        • Scan 11 aprile, 2016 at 22:38

          dlgs 625/96:
          Art. 19
          (Armonizzazione della disciplina sulle aliquote di prodotto della coltivazione)

          1. Per le produzioni ottenute a decorrere dal 1o gennaio 1997, il titolare di ciascuna concessione di coltivazione e’ tenuto a corrispondere annualmente allo Stato il valore di un’aliquota del prodotto della coltivazione pari al 7% della quantita’ di idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma, e al 7% della quantita’ di idrocarburi gassosi e al 4% della quantita’ di idrocarburi liquidi estratti in mare.

          2. L’aliquota non e’ dovuta per le produzioni disperse, bruciate, impiegate nelle operazioni di cantiere o nelle operazioni di campo oppure reimmesse in giacimento. Nessuna aliquota e’ dovuta per le produzioni ottenute durante prove di produzione effettuate in regime di permesso di ricerca.

          3. Per ciascuna concessione sono esenti dal pagamento dell’aliquota, al netto delle produzioni di cui al comma 2, i primi 20 milioni di Smc di gas e 20000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, e i primi 50 milioni di Smc di gas e 50000 tonnellate di olio prodotti annualmente in mare.

          il 7% è stato portato, con la stessa disposizione che proroga le concessioni, al 10%. ma se hai la proroga fino all’esaurimento del giacimento nessuno ti vieterà di regolare la tua attività estrattiva in base ai prezzi del momento. se avessi un termine temporale sicuro avresti interesse a esaurire, al più presto, le disponibilità del giacimento

          • M.Ludi 11 aprile, 2016 at 23:37

            Quindi se ne deduce che se vince il si, le compagnie saranno esortate ad incrementare l’estrazione per sfruttare al massimo i giacimenti, sia pur a costo di pagare le royalty? C’è poi la questione legata al fatto che alla scadenza (non rinnovabile) i pozzi devono essere chiusi anche se molti sostengono che questo sia più rischioso delle piattafprme stesse; sembrerebbe che mentre tutti parlano solo di ambientalismo senza se e senza ma, la questione sia tra lo scegliere un possibile rischio ambientale (la chiusura dei pozzi non ancora esauriti) a fronte di un maggior introito economico dello Stato. Credo che la cosa più giusta sarebbe stato che il Parlamento legiferasse evitando il Referendum; ma pare che la cosa non sia interessata a nessuno.

          • M.Ludi 12 aprile, 2016 at 09:42

            Mi sono fatto un giro in Internet per cercare elementi in grado di chiarirmi le idee e sono giunto alla conclusione che la tua tesi, in base alla quale le compagnie petrolifere tenderebbero a mantenere il livello di estrazione al di sotto della franchigia, in modo da evitare di pagare le royalty allo Stato italiano, è assai debole da sostenere.
            Per prima cosa, occorre ricordare che la quantità di idrocarburi estratta dai giacimenti italiani è una frazione delle esigenze totali (ed in crescita) del nostro Paese, quindi, quelle stesse compagnie (Eni e Total su tutte) che, secondo ciò che sostieni, tenderebbero a stare basse sui livelli di produzione in prossimità delle nostre coste, poi dovrebbereo andare a prendere il petrolio ed il gas che ci servono in posti molto più lontani, dove è si possibile che le royalty siano più basse di quel 10% che pretende l’Italia, ma con costi di trasporto assai maggiori che, temo, compenserebbero abbondantemente i risparmi fiscali.
            In secondo luogo, credo di poter affermare che le tue considerazioni peccano di una scarsa conoscenza delle dinamiche interne ad un’azienda; è vero che la variabile fiscale può incidere pesantemente sulle scelte imprenditoriali, inducendo, però, le aziende a delocalizzare, cioè andare a produrre in Stati a fiscalità agevolata. Ma in questo caso ciò non è possibile, e se è vero che adesso sull’estratto oltre franchigia esse debbono pagare il 10%, è pur vero che quando hanno iniziato a farlo, sapevano di dover pagare il 7%, quindi una differenza che non incide sostanzialmente sulle scelte estrattive.
            Considera infine che ogni compagnia petrolifera, per poter arrivare ad estrarre, deve sostenere costi elevatissimi di ricerca (in certi casi, nelle attività minerarie arrivano a coprire il 20-25% del prezzo di vendita) e di impianti che hanno necessità di decenni per essere ammortizzati ed è letteralmente un non senso limitare la produzione per pagare meno royalty quando sulla vendita dell’estratto, coperte queste ultime, avanzano margini adeguati a coprire gli ammortamenti ed a pagare i dipendenti che, in ogni caso, sono a libro paga. Un ultimo accenno relativo alla diseconomicità, in termini industriali, del sottoutilizzo di impianti i quali devono essere, in ogni caso, alimentati da energia.
            E’ vero che, al momento, dati i bassi prezzi di vendita degli idrocarburi, può essere più conveniente stare fermi che estrarre, ma in linea generale, l’atteggiamento che tu ipotizzi assomiglia molto a quello di quel marito il quale per far dispetto alla moglie si tagliò i…….. 🙂
            Può darsi che in tutto questo ragionamento mi sia sfuggito qualcosa ma, salvo prova contraria, la tesi che sostieni non sta in piedi, per cui, come detto, andrò a votare, ma voterò no.

          • M.Ludi 18 aprile, 2016 at 09:30

            L’abvevo letto anche io Scan; testimonia il fatto che IlSole24Ore non è schiacciato sulle posizioni confindustriali ma lascia spazio anche ad opinioni diverse.

  7. Genesis 5 aprile, 2016 at 13:38

    Sfruttare appieno i nostri giacimenti farebbe di noi un paese autarchico nel campo delle energie fossili…appieno, perchè chi le sfrutta non è oggi solo ENI, ma anche tante altre: vedi la francese TOTAL, l’olandese Shell e via discorrendo. Divenire autarchici, quindi, oltre a queste ultime, metterebbe in crisi anche la fornitura gas-petrolifera che proviene dall’estero.
    Per la questione elettrica, invece, con le rinnovabili potremmo, ad oggi, arrivare forse ad un 40% del consumato. Con una politica veramente spinta verso il risparmio energetico (CasaClima), potremmo avvicinare forse un buon 60%. Le fonti rinnovabili non sono solamente l’eolico, il fotovoltaico e l’idroelettrico, ma anche la biomassa, la termo valorizzazione, la cogenerazione, biogas, cinetismi ecc.. Spesso e volentieri, ad esempio rispetto alla Grande Germania, parlare di termovalorizzatori, o bruciatori in genere, in Italia è tabù…

    Dice bene Luistella: poi non ci possiamo lamentare…

  8. Genesis 5 aprile, 2016 at 13:38

    Sfruttare appieno i nostri giacimenti farebbe di noi un paese autarchico nel campo delle energie fossili…appieno, perchè chi le sfrutta non è oggi solo ENI, ma anche tante altre: vedi la francese TOTAL, l’olandese Shell e via discorrendo. Divenire autarchici, quindi, oltre a queste ultime, metterebbe in crisi anche la fornitura gas-petrolifera che proviene dall’estero.
    Per la questione elettrica, invece, con le rinnovabili potremmo, ad oggi, arrivare forse ad un 40% del consumato. Con una politica veramente spinta verso il risparmio energetico (CasaClima), potremmo avvicinare forse un buon 60%. Le fonti rinnovabili non sono solamente l’eolico, il fotovoltaico e l’idroelettrico, ma anche la biomassa, la termo valorizzazione, la cogenerazione, biogas, cinetismi ecc.. Spesso e volentieri, ad esempio rispetto alla Grande Germania, parlare di termovalorizzatori, o bruciatori in genere, in Italia è tabù…

    Dice bene Luistella: poi non ci possiamo lamentare…

  9. Luistella 5 aprile, 2016 at 12:02

    Giorni fa mi è giunta la seconda bolletta invernale del gas . Ho usato con parsimonia il riscaldamento, limitandone il consumo il più possibile. Tuttavia , leggendo bene la bolletta che mi ha fatto venire un semicoccolone, ho visto che il consumo che devo pagare, è di solo 100 euro circa ,superiore all ‘Iva al 22 %. L’Iva al 22 non l’ha portata questo governo, bensì , se non erro, il governo Monti., che fu costretto a ciò, per evitare la catastrofe, lasciataci dal governo Berlusconi. Tra l’altro, mi pare , che non avrebbe subito questo aumento, se non fosse stato per un capriccio di Berlusconi che bloccò tutto , così scadette il termine ed aumentò l’Iva.
    Ora si parla di una piccola diminuazione delle bollette luce e gas, e sorebbe auspicabile, ma so irrealizzabile , che si potesse abbassare l’Iva. Perciò come ben spiega il post di cui sopra, mi pare un assurdo rischiare di perdere occasioni per il futuro energetico del nostro paese; lasciando poi che intervengano altre nazioni ( e sappiamo quali), che poi stabiliscono loro il prezzo, l’aumento e i controlli sulle piattaformi.
    E poi non ci possiamo lamentare.

  10. Luistella 5 aprile, 2016 at 12:02

    Giorni fa mi è giunta la seconda bolletta invernale del gas . Ho usato con parsimonia il riscaldamento, limitandone il consumo il più possibile. Tuttavia , leggendo bene la bolletta che mi ha fatto venire un semicoccolone, ho visto che il consumo che devo pagare, è di solo 100 euro circa ,superiore all ‘Iva al 22 %. L’Iva al 22 non l’ha portata questo governo, bensì , se non erro, il governo Monti., che fu costretto a ciò, per evitare la catastrofe, lasciataci dal governo Berlusconi. Tra l’altro, mi pare , che non avrebbe subito questo aumento, se non fosse stato per un capriccio di Berlusconi che bloccò tutto , così scadette il termine ed aumentò l’Iva.
    Ora si parla di una piccola diminuazione delle bollette luce e gas, e sorebbe auspicabile, ma so irrealizzabile , che si potesse abbassare l’Iva. Perciò come ben spiega il post di cui sopra, mi pare un assurdo rischiare di perdere occasioni per il futuro energetico del nostro paese; lasciando poi che intervengano altre nazioni ( e sappiamo quali), che poi stabiliscono loro il prezzo, l’aumento e i controlli sulle piattaformi.
    E poi non ci possiamo lamentare.

  11. Jair 4 aprile, 2016 at 18:37

    Articolo che pone questioni serie in maniera intelligente e assai più pacata delle invettive un po’ becere del quotidiano degli industriali. E’ certamente vero che siamo, da sempre, poco capaci di difendere i nostri interessi nazionali, perchè maggiormente preoccupati dagli interessi particolari e personali. Ma più grave ancora mi sembra un’ altra situazione, che viene taciuta dai sì-triv (scusate la brutta espressione) ma invece è parte integrante della questione e col referendum c’entra assai: la nostra grave arretratezza sul piano della cultura dell’energia e sulle strategie energetiche di domani. Anche ammesso che quel poco di petrolio nazionale che si può trivellare sia molto utile ai bisogni e ai conti dell’oggi, tra pochissimi anni ci troveremo comunque nell’era del dopo-fossile. Oggi il Presidente del Consiglio ha lanciato un allarme che (per una volta…) mi trova del tutto concorde con i toni che ha usato. Siamo arretratissimi in un settore che sta diventando, e in molti Paesi è già, di importanza fondamentale: quello della mobilità elettrica. Renzi ha parlato oggi di un piano per decuplicare in 4 anni la presenza sulle strade di colonnine di ricarica per veicoli elettrici. Questa, per quanto ancora insufficiente, è una proposta che guarda al futuro con saggezza concreta e questa è la strada che va seguita con molta determinazione. Chissà se la notizia dei giorni scorsi, che il nuovo modello di auto elettrica della Tesla ha raccolto in un giorno quasi 200.000 prenotazioni negli USA, ha indotto Renzi anche a spiegare al suo amico Marchionne che è da tempo suonata l’ora per i produttori di auto di uscire dall’era dei combustibili fossili.

  12. Jair 4 aprile, 2016 at 18:37

    Articolo che pone questioni serie in maniera intelligente e assai più pacata delle invettive un po’ becere del quotidiano degli industriali. E’ certamente vero che siamo, da sempre, poco capaci di difendere i nostri interessi nazionali, perchè maggiormente preoccupati dagli interessi particolari e personali. Ma più grave ancora mi sembra un’ altra situazione, che viene taciuta dai sì-triv (scusate la brutta espressione) ma invece è parte integrante della questione e col referendum c’entra assai: la nostra grave arretratezza sul piano della cultura dell’energia e sulle strategie energetiche di domani. Anche ammesso che quel poco di petrolio nazionale che si può trivellare sia molto utile ai bisogni e ai conti dell’oggi, tra pochissimi anni ci troveremo comunque nell’era del dopo-fossile. Oggi il Presidente del Consiglio ha lanciato un allarme che (per una volta…) mi trova del tutto concorde con i toni che ha usato. Siamo arretratissimi in un settore che sta diventando, e in molti Paesi è già, di importanza fondamentale: quello della mobilità elettrica. Renzi ha parlato oggi di un piano per decuplicare in 4 anni la presenza sulle strade di colonnine di ricarica per veicoli elettrici. Questa, per quanto ancora insufficiente, è una proposta che guarda al futuro con saggezza concreta e questa è la strada che va seguita con molta determinazione. Chissà se la notizia dei giorni scorsi, che il nuovo modello di auto elettrica della Tesla ha raccolto in un giorno quasi 200.000 prenotazioni negli USA, ha indotto Renzi anche a spiegare al suo amico Marchionne che è da tempo suonata l’ora per i produttori di auto di uscire dall’era dei combustibili fossili.

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