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Bazooka (forse), ma con le polveri bagnate!

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Sono passati solo tre mesi da quando abbiamo preso coscienza della nostra attuale vulnerabilità ai virus e francamente credevamo che i disastri dei secoli passati non sarebbero più accaduti, forti di un progresso scientifico che però non è stato sufficiente. In questi tre mesi abbiamo contato milioni di contagiati e centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo, con l’Italia e la Lombardia in particolare, inopinatamente nelle prime non invidiate posizioni.

Dopo che la fase più acuta del contagio sembra essersi conclusa, stiamo faticosamente recuperando un minimo di normalità nella vita quotidiana, sia pur con tutte le limitazioni imposte da norme che appaiono estremamente complicate da applicare, in particolare con l’arrivo della stagione estiva e del caldo che ne conseguirà. Salvo recrudescenze epidemiologiche che potrebbero verificarsi poi in autunno, stiamo imparando a convivere con lo spettro della pandemia e se da un punto di vista sanitario, specialmente con l’arrivo auspicabile di un vaccino, i progressi potranno essere tangibili, non altrettanto, temo, lo saranno sotto l’aspetto economico-sociale perché gli esiti di ciò che è accaduto in questi tre mesi assomigliano verosimilmente ad una guerra che non ha cambiato il volto delle nostre città ma che probabilmente ha sconvolto le nostre vite; da domani non sarà più tutto uguale a ieri; non lo è già più oggi.

Lo si percepisce nei rapporti tra le persone, nel modo in cui l’organizzazione del lavoro ha trovato temporanei correttivi all’impossibilità delle persone di concentrarsi in uffici e fabbriche, correttivi che temporanei forse non lo saranno più, almeno per tutta una serie di professioni nelle quali lo “smart working” diventerà sempre più stabilmente la regola, e non lo sarà forse più neppure nel mondo della scuola perché se è vero che per un bambino o un adolescente il contatto con i compagni di scuola, la fisicità delle relazioni è una componente essenziale del processo di crescita, è pur vero che una volta sperimentate le effettive potenzialità della tecnologia, ed i risparmi in termini di tempo ed economici che essa introduce, sarà difficile che non si arrivi ad un suo, sia pur parziale utilizzo, con tutti i problemi che ne conseguono (dall’impossibilità di lasciare a casa soli figli piccoli, alle disuguaglianze economico-sociali che incidono pesantemente sulla capacità di utilizzo di nuove metodologie di apprendimento).

I problemi ai quali ci stiamo approcciando sono tali e tanti da rendere difficile, ad oggi comprendere quanto tempo sarà necessario per consolidare comportamenti nuovi, resi difficili dalla necessità di prendere accorgimenti complicati in un contesto che li renderà necessari.

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Detto questo temo che i problemi maggiori, specialmente in Italia, dobbiamo ancora affrontarli e sono concentrati nell’economia, più banalmente e per molti nella capacità futura di avere ancora un lavoro e mezzi di sostentamento.

Proprio per far fronte all’emergenza e gettare le basi di una ripresa del Paese, il Governo italiano ha varato in sequenza tre Decreti estremamente corposi, composti da centinaia di articoli e concentrati sui molteplici problemi che l’epidemia ha creato: dalla gestione dell’emergenza, alle regole di comportamento, dalla sospensione degli adempimenti fiscali sino alla costituzione di adeguati aiuti economici nell’immediato, per coprire esigenze di cassa che la chiusura totale (il famoso “lockdown”) ha determinato, ma anche per dare impulso alla necessaria ripresa. Purtroppo devo dire che, secondo il mio parere, questi provvedimenti avranno scarsa possibilità di successo; mi riferisco in particolare al Decreto Liquidità ed al Decreto Rilancio.

Nelle intenzioni del primo (Decreto Liquidità) si introduce la possibilità, attraverso la garanzia dello Stato di concedere alle attività economiche consistenti aiuti mediante finanziamento da parte delle banche con caratteristiche direi inconsuete per quanto riguarda i provvedimenti di liquidità, in particolare per il basso livello dei tassi e per le dilazioni di pagamento. La garanzia dello Stato (che incide in percentuale variabile, tra il 70% ed il 100%) consente di limitare quantitativamente l’obbligo della riserva obbligatoria, ovvero quello di mantenere liquidi una parte dei depositi dei risparmiatori presso la Banca Centrale, andando a prestare al mercato, solamente la parte eccedente, con conseguente necessità di ottenere ricavi (margine di interesse) solo su quest’ultima. Inoltre la garanzia dello Stato (attraverso la Sace e il Mediocredito Centrale), avrebbe dovuto rendere più snello l’iter istruttorio delle singole pratiche di affidamento, dal momento che per ogni euro prestato, in virtù della garanzia statale, il sistema bancario limita il suo rischio ad una percentuale molto bassa, addirittura in alcuni casi anche a zero (come detto, la garanzia può arrivare a coprire sino al 100% del finanziamento).

Nella realtà dei fatti le cose non stanno assolutamente così, in quanto alle banche è stato lasciato completamente in carico l’onere di decidere chi può essere beneficiario dei finanziamenti e chi no; la cosa può sembrare banale ma non lo è ,perché se tutto va bene ed i finanziamenti concessi verranno restituiti, non vi saranno problemi, ma ogniqualvolta vi sarà un dissesto e questo si tradurrà per le banche nel ricorso alla garanzia dello Stato, e per quest’ultimo nel dover emettere nuovi titoli di debito pubblico per restituire alle banche le somme prestate ad aziende insolventi, la Banca d’Italia potrebbe, proprio su impulso del Governo, dare corso ad ispezioni sulle singole pratiche e magari verificare che nel corso dell’istruttoria non si erano esperiti tutti quei controlli che una volta si diceva facessero parte della “diligenza del buon padre di famiglia”, ma che dal gennaio del 2019 (nuovo codice sulla crisi d’impresa) possono configurarsi nel reato di “incauto affidamento, con risvolti sia civili che penali che potrebbero portare al decadere della garanzia statale (con la perdita totalmente a carico della banca) e la condanna dei funzionari che non avrebbero ottemperato pienamente al loro dovere.

Va da sé che alla luce di queste considerazioni le banche applicheranno alle pratiche di affidamento che rientrano nel perimetro di applicabilità del Decreto Liquidità, tutte le norme di sana e prudente gestione, e se possibile le applicheranno con ancora maggiore diligenza del consueto andando, alla fine, a finanziare, ed in modo cospicuo (perché la legge lo consente) solo le Aziende che probabilmente non ne avrebbero avuto bisogno, e lasciando la gran parte delle altre, già provate da anni di precaria esistenza, al loro destino.

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In fase di rilascio del decreto era stata ipotizzata una sorta di manleva (deresponsabilizzazione delle banche) proprio per incauto affidamento e se trovo logico che non la si sia voluta introdurre (perché a quel punto le banche non avrebbero esperito alcun controllo), assolutamente inconcepibile che non si sia ritenuto di dettare una serie di criteri inderogabili e oggettivamente applicabili nella valutazione del merito creditizio, riscontrati i quali, le banche avrebbero dovuto concedere i finanziamenti. Ma questo non lo si è voluto fare, lasciando le stesse a decidere, ognuna per conto suo, con il risultato che si stanno accatastando montagne di richieste che avranno bisogno di mesi per essere analizzate e che spesso finiranno con esito negativo; così restando le cose, i soldi non stanno arrivando alle imprese e non arriveranno neppure in futuro.

Naturalmente la scelta di determinare parametri e di determinarli in modo più o meno stringente, avrebbe aumentato o diminuito la platea di possibili fruitori finali, e ad un aumento del numero di beneficiari avrebbe corrisposto un aumento del rischio per lo Stato di dover prevedere un intervento di copertura delle insolvenze, ma questa avrebbe dovuto essere in ogni caso una scelta politica, e non discrezionale del sistema bancario.

Per quanto riguarda il Decreto Rilancio, ed in particolare ciò che riguarda i “cd. “ecobonus e “sisma bonus”, ci si troverà inevitabilmente di fronte ad analoghi, al momento insormontabili ostacoli.

La ratio di questo particolare intervento è lodevole: dare impulso alle ristrutturazioni edilizie in larga scala, sia per quanto riguarda l’efficientamento energetico che per quanto concerne la sicurezza, mediante intervento a copertura totale da parte dello Stato ricorrendo allo strumento del credito di imposta ed alla sua cedibilità da parte del singolo contribuente o ai fornitori, oppure al sistema bancario a fronte, in quest’ultimo caso, del finanziamento integrale dei lavori effettuati. L’effetto di questa norma può essere dirompente in quanto chi, avendo una casa di vecchia costruzione non approfitterebbe della possibilità di ristrutturarla a totale carico dello Stato? In teoria nessuno, nella pratica vi saranno molti problemi.

Il primo è dato dalla complessità della norma che impone il ricorso a professionisti seri ed imprese strutturate, perché se alla fine qualcosa non funziona, la responsabilità ricade sul contribuente che potrebbe vedersi revocato il credito; il secondo, ancor più grave, è dato dalla sua attuale inapplicabilità, almeno nella parte in cui, ancora una volta, entrano in campo le banche.

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Andiamo per ordine.

Il Credito di Imposta è un credito anomalo in quanto non esiste un debitore che ad una determinata scadenza pagherà una certa cifra ad estinzione del suo debito, ma esso deriva dall’insorgere del diritto in capo al contribuente di utilizzarlo a deconto di maggiori imposte da versare allo Stato: non sono soldi che si incasseranno, ma soldi in meno che si pagheranno.

Questa particolarità non secondaria aveva già fatto sorgere problemi negli anni passati, quando analoghi provvedimenti di sconto fiscale per efficientamento energetico si erano arenati almeno parzialmente a causa della difficile cedibilità del credito fiscale con la necessità quindi, che il singolo contribuente provvedesse alla compensazione, allora in 10 anni, mediante pagamento di imposte in quantità corrispondentemente ridotta: a fronte di un credito d’imposta di 10.000 euro era consentita una riduzione annua delle imposte da pagare pari a 1.000 euro per 10 anni. In alternativa, e qui veniamo al punto, era prevista la parziale o totale cessione del credito di imposta ai fornitori dei beni che lo avevano originato (sostanzialmente installatori di impianti fotovoltaici e/o di efficientamento energetico) i quali, a loro volta avrebbero spalmato quel credito sui loro bilanci e con le stesse modalità e la stessa durata. La conclusione è che solo grandi aziende (Enel, Eni), capaci di fare utili enormi hanno potuto offrire ai loro clienti questo tipo di sconto in fattura, mentre la gran parte ne è rimasta esclusa, non avendo la forza di fare da banca per i proprio clienti.

Per ovviare a questa evidente anomalia, la nuova norma, da un lato consente la cessione anche alle banche del credito di imposta, in più ha ridotto il periodo nel quale compensare detto credito (5 anni) ed ha consentito anche una remunerazione finanziaria del 10% che, ai tassi attuali, non è certo da buttare. Concludendo, un privato cittadino proprietario di una casa può: 1) utilizzare il credito di imposta mediante la dichiarazione annuale dei redditi; 2) cedere il credito di imposta al fornitore il quale riceverà il 110% dell’importo in fattura e potrà spalmarlo, anche lui per 5 anni fiscali; 3) cedere il credito di imposta (sempre al 110%) ad una banca, ricevendone in cambio i soldi per poter saldare le fatture dei lavori eseguiti. Poiché come detto, l’ipotesi n. 2) ha già dato in passato prova di non funzionare nel modo adeguato, la strada maestra per la gran parte delle operazioni sarà quella che porterà a cedere il credito di imposta alle banche, e qui, ancora una volta, abbiamo un problema determinato dalla citata particolarità di questo credito, il quale sia da un punto di vista formale che sostanziale, poco o niente ha a che vedere con la natura dei crediti che il sistema bancario (banche ed altre istituzioni finanziarie come le società di factor) normalmente smobilizzano nel circuito commerciale.

Senza entrare in tecnicismi tediosi, le banche non sono in possesso di strumenti normativi adeguati a dar luogo ad un’operazione per loro atipica (solo per citare alcuni aspetti: credito certo ed esigibile, esistenza di un debitore ceduto al quale notificare la cessione del credito, per non parlare della questione “cessione pro solvendo o pro soluto”che lascerebbe irrisolti non pochi dubbi).

Mentre per quanto riguarda il Decreto Liquidità, sono evidenti le carenze di una maggioranza eterogenea ad assumersi delle responsabilità (si parla di bazooka ma poi non si forniscono le munizioni), nel Decreto Rilancio vengono fuori le notevoli incapacità tecniche, non solo dei politici, ma anche di coloro che poi dovrebbero provvederà alla stesura dei documenti che vengono sottoposti all’esame del Parlamento.

All’atto pratico anziché quella pioggia consistente di denaro annunciata dal Presidente del Consiglio, se non interverranno urgenti decisioni idonee a facilitare veramente l’accesso al credito bancario, assisteremo ad uno di quei temporali estivi con nubi minacciose che alla fine si traducono in quattro gocce cadute al suolo, capaci solo di aumentare afa e calura, ma non certo di dare sollievo.

Ed il problema non si esaurisce con i Decreti emanati per l’emergenza, ma si riproporrà pari pari quando saranno resi disponibili i fondi del programma europeo di sostegno agli Stati in seguito alla pandemia; c’è da scommettere infatti che la scarsa efficienza mostrata in passato nell’utilizzo delle risorse europee sapremo ancora metterla in campo inalterata e forse persino peggiorata dall’inconsistenza dell’attuale Governo.

 

 

Cosa avresti sempre voluto sapere sul rating e le banche ma avevi paura di chiedere
L’Europa che verrà è già oggi
State sereni, arriva il def !

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