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A ognuno le sue bandiere

In uno Stato di Diritto, tutto il Sistema si regge sulla interconnessione stretta tra tutti gli attori in campo: i cittadini lavorano e pagano le tasse con le quali lo Stato fornisce servizi, paga le pensioni e gli stipendi di coloro che quotidianamente fanno viaggiare “la macchina”: tutto semplice e chiaro.
Quando qualcuno comincia a non fare più il suo dovere, il meccanismo scricchiola e comincia a mostrare segni di cedimento, siano essi dovuti all’esigua contribuzione dei cittadini, all’esosità dei costi dello Stato e dei suoi servizi o a qualche altra falla che si apre in uno dei numerosi settori in cui la vita, all’interno dello Stato, si ramifica.
I motivi per cui lo Stato Italiano non funziona più sono molteplici e tutti, in larga parte imputabili alla pochezza , si della classe politica, ma anche della coscienza civile che anima buona parte dei cittadini; fatto sta che, chi le paga, paga tantissime tasse (ma molti non le pagano quasi per niente) e lo Stato, ormai da decenni, si è trasformato in un’idrovora di risorse disperse in mille inutili rivoli.
Rimettere in sesto un quadro così desolante è operazione da far tremare i polsi e, finora, nessuno c’è riuscito; neppure l’attuale Governo sembra ancora aver trovato l’ispirazione giusta, il bandolo della matassa.
Come la storia dell’uovo e della gallina, difficile capire da dove cominciare se non nel cercare, da subito, ciò che può dare impulso all’economia per incrementare il gettito fiscale perchè, si sa, a pancia piena, tutti i problemi sembrano più semplici da risolvere.
Ecco che il cavallo di battaglia diventa il lavoro (che non c’è) ed i disoccupati (che sono tanti); la ricetta messa in campo nel cd. Jobs Act mira a rivedere complessivamente la normativa in materia andando a scardinare la vecchia impalcatura (già traballante dopo le scorribande della Fornero) e, in questo, a fare strame di conquiste sindacali frutto di decenni di lotte sui luoghi di lavoro.
Oggetto della discordia è l’impegno di Gino Giugni che nel 1970 fu estensore della famosa legge 300 (Statuto dei Lavoratori) di cui l’altrettanto famoso art. 18 (contro il licenziamento illegittimo) è il perno focale. Ormai da anni questo articolo è l’oggetto della discordia tra i sindacati che ne difendono l’applicazione e le associazioni datoriali che ne chiedono l’abrogazione.
Chiunque abbia letto un pò sull’argomento sa ormai che l’art. 18 tutela un numero sempre minore di lavoratori e non si applica da sempre a tutte quelle piccole imprese che rappresentano, più della grande industria, il nocciolo produttivo del nostro Paese.
Per questo sembra anacronistico aver scelto, dall’ una parte e dall’altra, questa linea del Piave, disposti a tutto pur di non arretrare; persino l’Europa sembra vedere nell’abrogazione di questo articolo la soluzione di buona parte dei nostri problemi. Insomma, dopo la caduta delle ideologie, sembra che non si trovi niente di meglio se non fare battaglie ideologiche.
E mentre si affilano le armi pronti allo scontro, molti piccoli imprenditori (che non sanno neppure che cosa sia l’art. 18 perchè non li riguarda) non assumono e molti lavoratori (specialmente giovani) non trovano lavoro.
C’è chi si schiera senza indugio: l’art. 18 non si tocca; a me viene da pensare che aprire un’impresa e assumere lavoratori non è un obbligo: se ho un pò di soldi e qualche idea, posso decidere di farlo o meno. Oppure posso decidere di andare a farlo da un’altra parte (e nessuno può impedirmelo).
Sono molte le aziende un tempo dislocate in regioni di confine che si sono trasferite in altri Paesi, e se può non destare interesse il fatto che alcune si siano trasferite in Svizzera (dove, si sa, i capitalisti sono avvantaggiati), qualche riflessione sul fatto che altre (e tante) si sono stabilite in Slovenia e Austria, dovremmo cominciare a farla.
Non credo che i lavoratori svizzeri, sloveni e austriaci vivano male la loro condizione, non certo peggio dei lavoratori italiani. E’ vero anche che il trasferimento in quei Paesi non è determinato solamente dalle leggi sul lavoro: molto conta anche la fiscalità e la burocrazia. Ma è vero anche che, comunque, un’occhiata a ciò che fanno gli altri, giusto per capire, ogni tanto dovremmo darla, altrimenti continueremo ad avere imprenditori che non assumono e lavoratori che non lavorano mentre ci tengono tutti impegnati a discutere sull’articolo 18.

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8 comments

  1. riesenfelder 15 novembre, 2014 at 23:32

    “Sono molte le aziende un tempo dislocate in regioni di confine che si sono trasferite in altri Paesi, …..” E’ vero ma è vero solo in parte. Ben più grave è la dislocazione finanziaria. Viene dislocato solamente l’indirizzo fiscale. La Fiat a Londra, Finmeccanica in Lussemburgo, l’Eni in Olanda. Con questo sistema sottraggono alle casse dello Stato ingentissimi capitali. E a fare questo sono le Aziende e le Banche più grandi. E questo succede in tutta Europa.
    Ma l’Italia, ad aggravare ulteriormente il quadro, ha pure la depenalizzazione del falso_in_bilancio. Una cosa che sarebbe assurda anche nel gioco del Monopoly e per non farci mancare proprio nulla, siamo l’unico Paese che non ha tasse sulla successione. Parlare di lotta all’evasione quando nello stesso momento lo Stato accetta l’elusione_legale è surreale.

  2. Genesis 14 novembre, 2014 at 18:11

    Sarà, ma alla fine questo stato di cose, fa contrapporre non solo la sinistra alla destra, o le varie e colorite frange della sinistra, ma cittadino con cittadino. Nascono quindi spesso le seguenti relazioni dirette. Un (purtroppo) folto gruppo di imprenditori evade? Tutti gli imprenditori evadono! Un lavoratore viene licenziato ingiustamente? Tutti gli imprenditori sono degli schiavisti!
    Sull’articolo 18 rimando, se posso, al link sotto…

    http://www.moduscc.it/i-blog/sicurezza-sul-lavoro/

  3. Kokab 14 novembre, 2014 at 17:55

    che il si o il no all’art. 18 siano semplicemente delle bandiere ideologiche, senza grandissimi effetti pratici, è cosa che sicuramente condivido, e che ho anche scritto altrove.
    mi sembra significativo rilevare che per la prima volta, invece che dividere la sinistra dalla destra, questa opzione divide in due schieramenti la sinistra, con il no evidentemente maggioritario, e anche questa è una novità.
    ne comprendo la logica, riposizionare più a destra la sinistra, ma fatico a considerarla, sopratutto nel metodo, una cosa saggia.
    alla lunga, saper includere il dissenso è una ricetta vincente per tutti, di più per la sinistra. vedremo …

  4. menomale 14 novembre, 2014 at 16:40

    Poichè la ragione non gode del dono dell’ubiquità, sull’articolo 18 qualcuno evidentemente si sta sbagliando. E di grosso. Un tale ha scritto : ” Irragionevole è quella ragione la quale pretende di negare tutto quanto non riesce a capire “. O non vuole farlo, aggiungo io. Che sia Renzi, che nasconde un patto scellerato con il vecchio corruttore e deve pagare dazio ? O il duo Camusso/Landini che, per difendere una minoranza, mente sapendo di mentire ? Posto che il sacrosanto diritto alla tutela di una minoranza si deve fermare quando cozza contro le stesse prerogative della maggioranza, a chi conviene lo scontro frontale, e perchè ?
    E’ più rilevante cercare di far uscire il Paese da un cul-de-sac che sembra senza fine, anche senza avere la certezza che i rimedi siano quelli giusti, o continuare a combattere una battaglia che sembra ideologica e di principio, ma pur sempre lecita ?
    Ai posteri l’ardua sentenza.

  5. Kokab 12 novembre, 2014 at 11:55

    che il si o il no all’art. 18 siano semplicemente delle bandiere ideologiche, senza grandissimi effetti pratici, è cosa che sicuramente condivido, e che ho anche scritto altrove.
    mi sembra significativo rilevare che per la prima volta, invece che dividere la sinistra dalla destra, questa opzione divide in due schieramenti la sinistra, con il no evidentemente maggioritario, e anche questa è una novità.
    ne comprendo la logica, riposizionare più a destra la sinistra, ma fatico a considerarla, sopratutto nel metodo, una cosa saggia.
    alla lunga, saper includere il dissenso è una ricetta vincente per tutti, di più per la sinistra. vedremo …

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