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Eutanasia di un successo

Nella pluridecennale storia del Rock sono innumerevoli le storie di gruppi che si sono formati , hanno avuto il loro momento di gloria e poi si sono sciolti o, comunque, trasformati per la perdita o l’abbandono di alcuni dei loro componenti.

La galassia musicale degli anni 60, 70, e 80, è composta da centinaia di musicisti che uscivano da un gruppo per andare in altri a fare nuove esperienze ma, con una delle poche eccezioni rappresentate dai Rolling Stones (che ancora oggi, dopo circa 50 anni di musica, salgono ancora sul palco con apparente immutato entusiasmo), la maggior parte di essi hanno finito per essere ricordati per i successi ottenuti nel contesto magico creatosi in uno solo dei momenti della loro carriera: quando si è creata quell’alchimia unica di un incontro con altri musicisti, spesso non riproducibile laddove uno solo dei componenti avesse abbandonato il gruppo.

 

I motivi per cui le band si scioglievano erano molti, ma spesso riconducibili ad eventi banali e superabili in un contesto di persone mature e ragionevoli, ma non in squadre di puledri sanguigni, spesso dall’ego ipertrofico, amplificato dall’uso, o meglio, dall’abuso, di sostanze stupefacenti e alcool.

Talvolta hanno influito le ragazze del gruppo, accompagnatrici occasionali o meno che hanno finito per seminare zizzania tra i componenti (Yoko Ono nei Beatles). Altre volte sono stati i motivi economici a far sciogliere, ma anche ricomporre (come, si dice, sia avvenuto nel caso dei Pink Floyd). Non frequente, ma decisiva, la scomparsa prematura di uno dei componenti (Jim Morrison dei Doors e Jhon Bonham dei Led Zeppelin). Da sottolineare la vicenda di Eric Clapton il quale, leader incontrastato dei gruppi nei quali ha suonato, ne ha determinato lo scioglimento o la ricomposizione a suo piacimento (tanto ai concerti le persone andavano a sentire lui e gli altri erano di contorno).

Ma fatto salvo il caso dei Police, che inaspettatamente , al culmine del loro successo, comunicarono l’intenzione di proseguire ognuno per la propria strada (ma si capì ben presto che l’unica strada veramente percorribile era quella di Sting), uno dei casi più sbalorditivi che le cronache ci consegnano è sicuramente quello dei Deep Purple, forse la più grande band “live” del panorama musicale degli anni ’70, la quale, giunta all’apice del successo, si dissolse come neve al sole.

Fatti importanti della storia del Rock (e non solo) sono nati da eventi casuali; fu infatti il commercialista a consigliare loro di registrare e suonare all’estero, per poter godere di vantaggi fiscali, in un momento in cui i cospicui guadagni derivanti dalle vendite dei dischi già prodotti sino al 1971, a malapena coprivano i debiti accumulati negli anni precedenti.

 

Fu così che in quell’anno i Deep Purple si recarono a Montreux, in Svizzera dove la serata di esordio venne funestata da un incendio dal quale si salvarono perché Frank Zappa, con il quale si esibivano, spaccò una vetrata con la propria chitarra aprendo un varco attraverso il quale poterono fuggire verso il vicino lago; nelle parole di uno dei loro più grandi successi (Smoke on the Water), c’è il racconto di quella drammatica vicenda.

 

 

Scampati miracolosamente ad un evento catastrofico nel quale, per fortuna, non ci furono morti (nonostante il teatro venisse completamente distrutto), di lì a poco, sempre per motivi fiscali, i Deep Purple decisero, in verità con scarsissimo entusiasmo, di accogliere la richiesta della casa discografica di recarsi dall’altra parte del mondo, in Giappone, per una serie di concerti live: e fu, per loro, l’apoteosi.

A quei tempi la Cina era un mondo chiuso di cui poco si sapeva e meno si parlava, per cui si usava dire di un qualcosa di contraffatto, copiato, che fosse stato fatto in Giappone. Andare in quel paese a fare un album live significava solo fare cassa ( visto che i dischi, quelli seri venivano tutti prodotti in studio per correggere eventuali imperfezioni) e Gillan e soci, mai e poi mai avrebbero pensato che quell’album, così poco considerato li avrebbe consacrati come una delle migliori (se non la migliore) band “live” di sempre.

Con Made in Japan i Deep Purple raggiunsero un successo enorme ed entrarono di diritto nell’Olimpo del Rock. Quei 5 ragazzi, sul palco, qualsiasi palco, sapevano suonare da dio, ma appena un anno dopo, nel 1973 con la decisione di Ian Gillan di abbandonare per una serie di incomprensioni, seguito a ruota da Roger Glover, estromesso per una sorta di sfizio da parte di Ritchie Blackmore (il quale a sua volta se ne andrà pochi anni dopo), il gruppo chiuse quel meraviglioso ciclo per il quale viene tuttoggi ricordato.

 

Eutanasia di un successo

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12 comments

  1. Genesis 28 maggio, 2015 at 06:41

    I Deep Purple non moriranno mai. Furono riconosciuti la band più rumorosa al mondo, cosa che, nel loro genere, era ed è un riconoscimento. Gli sfottò con alcuni dei Led Zeppelin furono l’apice della carriera di Gillan e soci.
    L’ultimo album in studio è del 2012 (e ce l’ho), carico della sempre incalzante carica ritmico-melodica del gruppo di Smoke On The Water…quei quattro/cinque accordi che ogni chitarrista in erba deve saper suonare!
    I gruppi di una certa levatura, nati negli ultimi anni sessanta, hanno fatto (e fanno) la storia della musica moderna. Gli elementi cambiano e spesso migliorano…a volte declassano…ma la storia di quei solchi impressi nella piastra di vinile non cambierà mai.
    Ricordo quando Phil Collins dal palco del Circo Massimo pochi anni fa dichiarò, di fronte a settecentomila persone, nel suo italiano: “Noi Siamo I Genesis”…così per chiudere e sotterrare un album impressionante, al negativo, che delle melodie ricercate di Banks e nella dolce chitarra elettrica di Rutherford, la voce di Wilson storpiava il primo Gabriel a fatica…

    I gruppi si sciolgono, insomma, è forse naturale….ma noi comuni mortali li ricorderemo a vita, donando ai nostri figli, quali siano le bellezze musicali della nostra giovinezza.

    P.S.: i miei figli, già a due-tre anni, hanno voluto le bacchette per imitare i batteristi di concerti in cui io, magari, non ero ancora nato: un certo concerto sul Vesuvio fatto da dei giovanotti col capello lungo….Live AT Pompeii….
    Il più piccolo, a volte, mi chiede di essere svegliato con Firth of Fifth, almeno per le prime note al pianoforte…

  2. Kokab 24 maggio, 2015 at 19:52

    forse sono ingiusto, ma li ho sempre considerati un gruppo secondario, o, quanto meno, non di primissima fila, e non credo di essere mai riuscito ad ascoltare un loro disco per intero, per cui, immagino, non mi sarei mai sognato di andarli ad ascoltare dal vivo, e probabilmente avrei avuto torto.
    però è vero che in alcune occasioni hanno fatto i fenomeni, ed hanno prodotto delle musiche eccellenti, per le quali ti chiedevi, o almeno me lo chiedevo io, come mai non lo facessero più spesso; condivido che buona parte di “made in japan” sia nell’elenco delle loro cose migliori.

    • M.Ludi 26 maggio, 2015 at 10:01

      Premesso che, come dicevano i latini, “de gustibus non est disputandom” e, quindi, sul fatto che un certo tipo di musica possa essere piaciuto o meno, ha poco senso parlare, ti assicuro che nel genere che loro rappresentavano non sono stati adeguatamente valutati perchè si sono sciolti troppo presto e, per di più nel momento in cui sembrava che qualsiasi brano riuscissero a comporre, potesse divenire in brevissimo tempo una Hit mondiale. Io credo sia sotanzialmente questo il motivo per cui, per esempio, i Led Zeppelin vengono oggi considerati migliori dei Deep Purple; la loro carriera, infatti, è durata diversi anni di più (sino al 1980 con la morte del loro batterista, Jhon Bonham) ed hanno prodotto un quantitativo di ottima musica superiore a quello dei Deep Purple, spaziando, anche al di fuori del loro tradizionale campo di azione e affinando le loro caratteristiche, cosa che Ian Gillan e soci non si sono dati il tempo di fare. E’ difficile dire che cosa sarebbe accaduto se non si fossero sciolti così presto; io credo che, nel genere Hard Rosk, si sarebbe creato un dualismo che avrebbe alimentato la critica e le divisioni tra i rispettivi fans.

      • Kokab 27 maggio, 2015 at 18:22

        dei gusti naturalmente non si discute, salvo che in alcuni casi, ovviamente non riferiti a quello presente.
        a me non sembra che la lunghezza della vita di un gruppo musicale sia decisiva per stabilirne la qualità: i doors e i cream sono durati quanto i deep purple e forse meno, ma non ci sono discussioni sul loro valore, e sono universalmente considerati fra i migliori del rock, mentre molti altri, che sono sopravvissuti per anni a sè stessi, fra l’altro coprendosi di ridicolo, non hanno mai avuto un talento musicale neanche lontanamente sufficiente a giustificarne l’esistenza.
        a me sembra, ed è un ricordo di quei tempi confermato da ascolti successivi, che ci fosse una grande discontinuità nella loro musica, e che i pezzi migliori, diciamo, a titolo di esempio, smoke on the water fra quelli più marcatamente rock, e child in time fra quelli “contaminati”, fossero troppo oltre la loro produzione media, e che il differnziale fra il buono e il meno buono fosse eccessivo rispetto alla media degli altri gruppi rock.
        sarebbero migliorati col tempo? e chi lo sa, a volte si peggiora anche…
        che poi fossero degli animali da palcoscenico, è una cosa a cui credo senza difficoltà, anche se non ho avuto modo di verificarla.

        • M.Ludi 27 maggio, 2015 at 23:12

          Premesso che stiamo parlando di grandi musicisti, sia i Doors che i Cream hanno vissuto della luce carismatica e della bravura dei loro leader (Jim Morrison e Eric Clapton), senza i quali ho dei dubbi sulla capacità degli altri membri dei due gruppi di riuscire ad ottenere lo stesso livello di successo. Per quanto riguarda il gradimento ottenuto in quei pochi anni dai Deep Purple, basta verificare quanti brani in sequenza hanno posto ai vertici delle graduatorie di vendita.
          Ho premesso dicendo che “tutti i gusti son gusti” proprio per significare che possono piacere o meno, ma criticare il loro talento significa camminare su di una china molto scivolosa, ed essere facilmente sconfessati dai fatti; gli addetti ai lavori considerano i Deep Purple (ed in particolare Made in Japan) una delle pietre miliari del rock; ma naturalmente sei libero di ascoltare altro 🙂

          • Kokab 28 maggio, 2015 at 01:38

            🙂 ho abusato di questa libertà, e ho sufficiente presunzione per non considerare più di tanto sia il successo commerciale, che a volte premia anche soggetti del tutto improbabili, sia il giudizio dei critici, che può essere un po’ autoreferenziale.
            parlavo esclusivamente del mio gusto musicale, buono o cattivo che sia, che me li faceva considerare troppo ripetitivi e/o non sufficientemente creativi, pur riconoscendogli una produzione musicale di evidente valore.
            non credo tuttavia che i led zeppelin fossero migliori, osiano considerati tali, solo perchè sono durati di più …

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