la società

Fermate il mondo, voglio scendere

 

Ogni volta che vedo affrontare tematiche strettamente collegate all’economia, capita che qualcuno dica, disarmante e disarmato, che non capendo niente di quella materia, non può che stringersi nelle spalle e sperare per il meglio. Poi accade, però che quando si parla di PIL, Spread, debito pubblico, e altri similari, molti finiscano per dire la loro, spesso non capendo bene di cosa stanno parlando.
Delle due l’una: o non ci capiamo niente e rinunciamo a capirci (e allora va bene stringersi nelle spalle e parlare d’altro), oppure, pur non essendo la nostra materia, vogliamo cercare di capirci qualcosa e allora, conviene fermarsi e riflettere più spesso di quanto facciamo.

E’ per questo che vorrei dare alcuni spunti di riflessione su argomenti apparentemente ostici ma che dicono molto sulla complessità e sui problemi che stiamo per affrontare quasi del tutto inconsapevolmente.
Viviamo in un periodo di crisi (e fin qui niente di nuovo) e la vita quotidiana è divenuta un percorso ad ostacoli per gran parte della popolazione italiana (e non solo). Ma anche se apparentemente non sembra, la crisi morde anche in molte altre aree del mondo, sia per evidenti disparità sociali all’interno dei diversi Paesi, sia per motivi strettamente connessi ai meccanismi di un’economia capitalistica che sta mostrando, giorno dopo giorno, sempre più limiti e, quel che è peggio, sempre più gravi.

Non è la prima volta che accade e, presumibilmente neppure l’ultima, ma le volte precedenti, le dimensioni e la durata dei periodi di crisi avevano caratteristiche un pò diverse da quella attuale, e sono state superate con strumenti convenzionali che, adesso, non sembrano avere la stessa efficacia.
Si discute da tempo sul fatto se in periodi come questo sia più utile mettere mano al riordino dei conti (ricetta tedesca), oppure dare linfa vitale all’economia (ricetta americana) e l’interpretazione vincente sembra ormai essere la seconda, tant’è che anche la BCE (o meglio, la Germania) ha ceduto al modello del Quantitative Easing, ossia, aumentare in modo artificiale la quantità di denaro circolante).

Negli USA la ricetta ha funzionato, l’economia è ripartita e la Federal Reserve sta iniziando a tirare il freno dopo aver stampato una quantità di denaro che rende il totale circolante in dollari di quasi quattro volte superiore a quello presente prima dell’inizio della manovra.
Chi non vorrebbe poter risolvere i propri problemi economici in questa maniera? E cosa è che rende impossibile tale ricetta nel privato, mentre nel collettivo pare funzionare? Le risposte ci sono ma appaiono sempre più convincenti sotto l’aspetto empirico che non sul piano teorico in quanto, su quest’ultimo, per una banale legge dell’economia, quando aumenta la disponibilità di un bene, il suo valore tende fatalmente a diminuire; e, in questo caso, ciò è dovuto all’inflazione.

Quelli che sanno, ci dicono che il flusso sarà regolato in modo tale da poter evitare che si caschi dalla padella nella brace, ma esistono una serie di ordini di motivi per cui qualche piccolo dubbio sulla loro reale convinzione è lecito averli e ci sono alcune situazioni che indicano scenari meno positivi, specialmente se il QE non dovesse avere l’effetto sperato, cioè la crescita economica.
Il primo punto sul quale conviene soffermarsi è quello relativo all’enorme ammontare di debito pubblico accumulato da alcuni Paesi in particolare; a noi sovviene subito la situazione italiana, ma non è che altrove stanno tanto meglio, in particolare negli USA ed in Giappone, con i primi che stanno velocemente tentando di raggiungerci nella graduatoria del rapporto Debito/PIL, ed il secondo che da ormai molto tempo detiene il non invidiabile record di essere di gran lunga il primo in questa speciale graduatoria.
Tra gli economisti c’è la corsa a definire dove stia, per questi Paesi, il punto di non ritorno, passato il quale la sostenibilità di quel debito non sarà più possibile e gli studi in tal senso sono ben poco confortanti, con l’Italia che, una volta tanto, forte di un risparmio dei privati tra i più alti del mondo, ne esce meno peggio degli altri. Ma la situazione è assai grave e più d’uno si azzarda a ricordare che, in passato, situazioni simili si sono risolte con una guerra; alcuni, più moderatamente sostengono che una massiccia svalutazione di quei debiti mediante inflazione, possa essere, alla fine, il modo migliore per uscirne (per gli Stati, ma per i cittadini?).

Da un punto di vista valutario si assiste parallelamente, ad una sorta di corsa al ribasso, come a tentare un improbabile reset che porti tutto a zero e poi si riparte; della serie “chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato: scordiamoci il passato”
Poi ci sono alcune considerazioni legate al petrolio, materia prima ancora insostituibile come fonte di energia, ma destinato ad esaurirsi in un lasso di tempo che è diventato opinabile quanto l’arrivo ufficiale degli extra-terrestri sulla terra; eppure da un bel pò di mesi si verifica un andamento del suo prezzo esattamente in contro tendenza: essendocene sempre meno, ed a costi di estrazione sempre maggiore, le sue quotazioni dovrebbe salire ma, nonostante i costi di estrazione in molte parti del mondo oscillino tra i 75 ed i 100 dollari al barile, lo vediamo tranquillamente assestato intorno a quasi 50 dollari a barile, con la conseguenza non secondaria che la Russia, dipendendo in larga parte dall’estrazione di questo bene, è andata in crisi e negli USA, che avevano dichiarato il proprio affrancamento con l’estrazione domestica dello Shale Gas/Oil, molte aziende estrattive stanno fallendo non reggendo i prezzi di mercato.

L’intersezione di interessi contrapposti non lascia intravedere dove stia la convenienza nel permanere di questa situazione, se non quella dei Paesi arabi di ridurre la concorrenza e perpetrare il loro potere (sino ad alcuni anni or sono incontrastato), ancora più a lungo; certo è che se le economie di molti Paesi stentano a partire con questi prezzi del petrolio, cosa accadrà quando il barile tornerà a rappresentare quel prezzo più vicino alla convenienza economica della sua estrazione?
Quindi, da un lato si stampa denaro a profusione per alimentare l’economia ma con la spada di Damocle pendente relativa alla possibile impennata dei prezzi petroliferi che potrebbero, in concomitanza con il primo fattore (QE), far scoppiare letteralmente l’inflazione.

E mentre noi assistiamo apparentemente assuefatti a tutta questa serie di eventi, c’è un terzo motivo di riflessione da proporre: l’oro.
Da sempre bene rifugio, la sua quotazione tende ad impennarsi nei momenti in cui altri asset patrimoniali tendono a creare problemi, ma non è così oggi. E’ vero che la sua quotazione ha subito repentini accrescimenti negli scorsi anni ma ora sembra essersi assestata (e artificiosamente tenuta sotto controllo). In un momento in cui i titoli del debito pubblico non rendono granchè, le economie languono, i beni immobili danno qualche preoccupazione in più rispetto al passato, il ricorso all’acquisto di metalli preziosi dovrebbe essere massiccio (e in effetti è così) e ciò si dovrebbe riflettere sul suo prezzo (ma non è così). Si sa che le banche centrali di alcuni Paesi (Cina e Russia in testa) stanno acquistando oro in quantità notevoli, e molte industrie lo utilizzano in quantità sempre maggiori a causa delle sue doti di conducibilità elettrica, ma il prezzo di questo bene esauribile non cresce quanto dovrebbe, tant’è che alcune miniere in Sud Africa stanno chiudendo in quanto i costi di estrazione eccedono di circa il 20% quelli di mercato del metallo estratto.
In sostanza assistiamo ad una serie preoccupante di fenomeni economici regolati da attori spesso diversi tra loro, talvolta addirittura in contrapposizione, che creano una situazione in cui si fatica a vedere un minimo di ancoraggio al reale dell’economia del mondo. E nel mezzo ci stiamo noi, i cittadini, pedine inconsapevoli (ma non incolpevoli) ed un’informazione (consapevole e sicuramente colpevole) che non racconta tutto ciò che dovrebbe.

In passato ci siamo trovati spesso ad indulgere sulla presenza di regie occulte e di complottismi vari; la sensazione che si trae adesso è quella di un caos apparentemente organizzato nel quale i Governi non sembrano avere sempre grandi capacità di intervento e, spesso, quando ci riescono, lo fanno con poca efficacia, per non dire che lo fanno assai male.
A noi non resta che prendere atto che il futuro ci attende pieno di incognite con l’unica consolazione che, come disse J.M.Keynes, “alla lunga, saremo tutti morti”

0 lettori hanno messo "mi piace"
Print Friendly, PDF & Email
Share:

15 comments

  1. Kokab 13 aprile, 2015 at 18:00

    @ m. ludi
    1) spiegami cosa intendi per differenza fra libertà e libero arbitrio.
    2) vero che i voti premiano frequentemente l’economia sulla politica, ma questo, per ragioni che proprio tu hai esposto (l’economia di mercato che ammazza il mercato) rischia di delineare dei più frequenti scenari greci, ossia l’impoverimento contemporaneo della società e dello stato, e dopo si piange a babbo morto.
    non saprei direchi è venuto prima, ma penso di saperi, oggi, chi è l’uovo e chi la gallina.

  2. M.Ludi 13 aprile, 2015 at 15:18

    Sollecitato inconsapevolmente dagli interventi, integro ricordando due macroscopici casi di sottostima del valore effettivo di due fattori dell’economia: il lavoro ed il cibo.
    Sul primo si potrà facilmente disquisire sul fatto che in momenti di crisi, diminuendo l’occupazione, aumenta la domanda di lavoro e diminuisce l’offerta di posti di lavoro con la conseguenza che il lavoro viene remunerato sempre meno. Ma se il fine ultimo, in un’economia di mercato, non diventa quello di dare disponibilità economiche al maggior numero di persone perchè esse possano consumare (trascurando completamente qualsiasi altro aspetto etico), come può l’economia stessa sostenersi?
    Ma il più macroscopico degli squilibri (già affrontato nello Speciale il Cibo presente su altra pagina) è il basso prezzo pagato agli agricoltori a fronte di una catena che lucra, talvolta persino sulla distruzione di risorse alimentari.
    Più che vado avanti, peggio mi sento.

    • Tigra 13 aprile, 2015 at 16:15

      Mi sembra che nel mondo globalizzato gli equilibri non siano più di carattere nazionale; ciò detto, io credo che dare al maggior numero di persone le risorse per consumare implichi comunque una finalità etica che la moderna economia, che assomiglia sempre di più ad un mercato virtuale, sarà un segno dei tempi, ha smarrito da tempo.
      Quanto al prezzo del cibo, penso che non daoggi il commercio prevalga sulla produzione, sopratutto laddove il produttore è piccolo e il commerciante grande.
      Ci sentiremo peggio in molti, temo.

      • M.Ludi 13 aprile, 2015 at 17:06

        l’economia agricola in quasi tutti i Paesi industrializzati, si mantiene con i contributi degli Stati o degli Enti Sovranazionali, altrimenti quasi tutti gli agricoltori smetterebbero di produrre. Addirittura talvolta si assiste a eccessi di produzione ai quali, per mantenere livelli di prezzi minimi adeguati, si risponde con la distruzione di enormi quantità di prodotto; e questo mentre c’è ancora chi muore per denutrizione.

  3. Canadair 13 aprile, 2015 at 14:45

    L’articolo da parecchi spunti di riflessione. Con argomenti presentati in maniera sintetica e chiara. Cosa non da tutti, considerando l’estrema complessità nel cercare di capire il perche’ continuamo a vivere in un periodo di crisi dove al costante progresso tecnico si accomuna una sempre maggiore disparità sociale che sta minando alla fondamenta la struttura solio-politica di tutto il mondo occidentale.
    Tematica strettamente legata, come dice bene l’amico Ludi, ai meccanismi di un’economia capitalistica che non riesce piu’ a regolarsi e a gestire i rapporti di produzione con quello del lavoro e i meccanismi della domanda con quella dell’offerta.
    Il motivo principale credo sia il fatto che l’economia liberal capitalista e’ nata e si e’ sviluppata col presupposto di una crescita costante e illimitata, alimentata per moltissimo tempo da una domanda interna dovuta allo stato di indigenza di una gran fetta della popolazione e sul presupposto che materie prime, necessarie alla produzione, e i mercati siano infiniti e in continua espansione.
    Il miracolo economico del secondo dopoguerra e’ stato possibile dall’avverarsi di queste condizioni: una enorme domanda di tutti i beni di consumo, dovuta alle distruzioni della guerra e, conseguentemente, una enorme crescita di produzione che ha creato posti di lavoro e salari. Con i beni di consumo resi accessibili dal basso costo delle materie prime. Una domanda che e’ stata per anni superiore all’offerta e che ha fatto da traino all’espansione economica del mondo occidentale, mentre il resto del mondo restava a guardare.
    Gia’ dalla fine del secolo scorso questo modello di sviluppo e’ andato in crisi, con l’aumento del costo delle materie prime e, poi, con la globalizzazione. Fenomeno questo che ha messo in crisi il mondo occidentale date che ad un aumento della produzione non e’ corrisposto un aumento dei consumi, in quanto quello che il terzo mondo produce non viene li’ consumato, se non in minima parte. Il risultato di tutto cio’, come possiamo tutti vedere, e’ la satuazione del mercato occidentale e la perdita di tantissimo posti di lavoro a cui la societa’ non puo’ sopperire per via dell’indebitamento degli stati e la saturazione dei posti di lavoro pubblici, sempre piu’ costori e, purtroppo, sempre piu’ inefficenti.
    Quale e’ la soluzione per tutto cio’? Se non si trovano alternative allo sviluppo e al sistema economico capitalista, come lo conosciamo attualmente, temo che l’unica soluzione sia quella di dover ricreare artificiosamente una domanda attualmente inesistente, ritornando cosi’ ad un nuovo periodo di prosperita’ simile a quello del secondo dopoguerra. Ma a che costo per l’umanita’?

  4. Gennaro Olivieri 13 aprile, 2015 at 08:42

    Confesso di rientrare nella categoria di coloro che di economia capiscono poco: mi consola il fatto che nemmeno gli economisti sembrano capire qualcosa nella crisi terribile che sta gravando su gran parte del mondo cosiddetto sviluppato ormai da 7 anni. O almeno, se ne capiscono qualcosa, è chiaro che la scienza economica (è una scienza?) non possiede le soluzioni per uscire dalla crisi.
    M. Ludi ci fa riflettere su alcune particolarità che rendono questa crisi unica, rispetto alle cicliche crisi del capitalismo teorizzate da Marx. Innanzitutto cause e possibili soluzioni della crisi appaiono quasi esclusivamente di ordine finanziario. Quella che viviamo non è (almeno, non è in questo momento) solo una crisi di sovrapproduzione. E’ sicuramente una crisi di lavoro: la produzione industriale è ripresa quasi ovunque (noi italiani arriviamo buoni ultimi), ma non c’è una corrispondente ripresa dell’occupazione, almeno in Europa. La produttività è diventata un valore in sè, che surclassa il valore del lavoro e, almeno in Italia, spazza via un secolo di conquiste sindacali, oggi sentite da gran parte dell’opinione pubblica come “privilegi”. Possiamo rilevarne che la prima vittima della crisi, in senso economico, politico, sociale e culturale, è il lavoro.
    Se dietro lo svilimento del lavoro c’è una logica chiara, dietro gli aspetti più puramente finanziari le acque si intorbidano e diventa più difficile capire. M.Ludi ci ricorda che la FED ha stampato dollari a go-go fino a ieri. Forse che la conseguenza è stata un’inflazione galoppante e un crollo del valore del dollaro rispetto alle altre valute? No, invece il dollaro è andato apprezzandosi enormemente rispetto all’euro nell’ultimo anno. Questo significa che la moneta americana rappresenta un’economia fiorente, mentre quella europea è ancora disastrata? Perchè anche gli svizzeri, che ne sanno sempre una più del diavolo, hanno deciso di sganciare il valore del loro franco (che si è impennato immediatamente dopo) dall’euro? Chiedo lumi a chi tra voi, amici, ne sa di più. Per ora, il motto ironico di Keynes non è di molto aiuto: nonostante la morte di tutti sia certa, ho la sensazione che ci sia qualcuno che comunque possa decidere come e quando far vivere e morire le nostre economie, pubbliche e private, qualcuno che non viene contrastato efficacemente nè dagli Stati sovrani nè dalle istituzioni sovranazionali.

    • Kokab 13 aprile, 2015 at 13:03

      forse il lavoro è la prima e più importannte vittima della crisi, perchè prima, nei ridenti anni del liberismo sfrenato, era già stato la prima vittima dello sviluppo, sviluppo che è stato più finanziario che non economico; dopo è stato relativament facile declinare il concetto di diritto in quello di priviegio, perchè mancando il lavoro, come fato e come idea, al diritto è venuto a mancare il sostegno fondante.
      mi sembra che la vittoria del liberismo sia stata di portate epocale; mi resta da capire come faremo ad affrontare i cinesi, che hanno un’economia e la governano con la politica, ma questo è un altro discorso: immagino saranno lacrime amare.

        • Kokab 13 aprile, 2015 at 17:17

          questi pruriti ci hanno portato alla più grave crisi sistemica del capitalismo, dicono tutti gli studiosi, forse è il momento di dire al famoso stupido che non è l’economia, ma la politica, il vero problema.

          • M.Ludi 13 aprile, 2015 at 17:26

            Questione di lana caprina, come quella su chi sia nato prima, l’uovo o la gallina. E’ vero che dovrebbe essere la politica (e ripeto, in chiave etica) a regolare i problemi economici, ma temo che ormai i concetti di libertà e libero arbitrio siano confusi a tal punto da non capire quando comincia l’una e finisce l’altro. D’altronde in Democrazia, per governare, ci vogliono i voti e questi li ottieni sul consenso: è lì che l’economia acquisisce il primato sulla politica.

  5. Kokab 12 aprile, 2015 at 15:16

    Kokab 12-04-15 il 14:49

    “alla lunga saremo tutti morti”, non c’è dubbio su questo, ma se mentre noi siamo vivi i governi non riescono ad essere i registi dell’economia, avremo, forse abbiamo già, la regia dell’economia sui governi, e oggi “l’economia” sono gli azionisti e i managers delle grandi corporations, del tutto anonimi i primi, ma gli uni e gli altri più importanti e influenti dei grandi della terra, perchè ormai la ricchezza è detenuta da una percentuale risibile di persone, più o meno attestata fra l’1 e il 5 % degli abitanti del pianeta.
    non c’è logica nella legge della domanda e dell’offerta? l’oro e il petrolio hanno prezzi troppo bassi? perchè ti stupisci, sarà il risultato del prevalere di qualche interesse privato sull’interesse pubblico.
    è lo spirito del liberismo, bellezza!

Leave a reply

WordPress Appliance - Powered by TurnKey Linux