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La Russia 25 anni dopo la caduta del muro di Berlino

Muro Berlino 2

Il 9 novembre 1989 il mondo assiste ad uno dei più straordinari eventi del secolo scorso: una folla festante che si assiepa intorno alla mezzanotte su entrambi i lati del muro di Berlino per celebrare l’apertura dei valichi di frontiera. Di fatto finendo la coercizione alla quale l’URSS ha sottoposto i cittadini di Berlino e quelli di tutta l’Europa orientale sin dalla fine della seconda guerra mondiale.

Una rivoluzione pacifica cominciata in Polonia che si espande per tutta l’Europa orientale e che farà presto sgretolare tutte le artificiose barriere imposte dalla guerra fredda. Eretto il 13 agosto 1961 per fermare la fuga della popolazione della Germania orientale in occidente, il muro tagliava il cuore della città, amputandone le strade e i quartieri, separando famiglie e amici in due mondi ripettivamente avversi e avulsi l’uno all’altro. Da quel giorno, il cambiamento nella maggior parte dei paesi satelliti a Mosca è stato improvviso e rapido. Col conseguente avvento, da una parte di libertà sociale e personale e dall’altro di sconvolgimenti economici e caos politico, incluse guerre e scontri etnici spesso sanguinosi e brutali.

Gorbaciov

In Russia il muro simbolico nel quale si era rinchiuso il comunismo del cosiddetto “socialismo reale” crollerà definitivamente il 19 agosto 1991. All’alba di quel giorno, un annunciatore televisivo diffonde alla nazione allibita il proclama dei ribelli per la restaurazione dei principi cardine su cui si basava la federazione sovietica. Quanto fosse anacronistico il colpo di spugna alla perestoika lo si è subito visto dalla reazione popolare. Con una piccola frangia, composta maggiormente di giovani, che si sono riversati per protesta nelle piazze delle grandi città e, più marcatamente, dall’indifferenza della stragrande maggioranza della popolazione, oramai totalmernte avulsa alla vuota retorica del vecchio regime. Così, nell’indifferenza generale, quella dei lavoratori rurali e delle fabbriche, degli intellettuali e degli artisti, delle casalinghe, dei giovani e dei pensionati, il ritorno al comunismo come modello della società si infrange e crolla definitivamente.

Il tentato colpo di stato muore sul nascere perché il regime comunista aveva esaurito la sua legittimità e la sua ragione di esistere, al punto che nel proclama di restaurazione dei cospiratori mancavano tutti gli elementi chiave e gli slogan del comunismo. Senza un supporto ideologico, nulla ha potuto offrire il gruppo di alti funzionari comunisti ribelli se non un patetico tentativo di mantenere tutto in nello stato di stagnazione nel quale il paese era caduto nel ventennio passato e che ne aveva causato l’irrimediabile declino politico, economico e sociale.

Yeltzin

La successo della resistenza opposta da Yeltsin ai cospiratori è stato celebrato come la vittoria della democrazia sulla dittatura. In realtà, piuttosto che la sconfitta del comunismo sovietico, quello che rimane sconfitto quel giorno è stato il tentativo di Gorbacev e del gruppo di riformatori che lo attorniava di portare la nazione alla democrazia e al progresso sociale tramite la graduale introduzione di misure economiche liberiste che avrebbero impedito gli eccessi del modello economico del neoliberismo occidentale, poi inevitabilmente verificatosi. Oggi, il cinismo diffuso verso la politica e la mancanza di interesse per l’attività politica diretta in Russia si possono largamente imputare alle vicende di quei giorni.

Ma se la vittoria su un sistema oramai moribondo si era rivelata cosa facile, non facile era la strada per cominciare un nuovo sistema societario, specie per la maggioranza della popolazione che anelava ai “valori occidentali” della libertà, della democrazia e, ancor di più, al benessere economico. Anche in questo il comunismo aveva fallito: nel coercizzare i suoi cittadini al punto da causare un tale scetticimo verso il sistema da far loro squalificare le informazioni largamente riportate nei media locali sulle sperequazioni e le disuguaglianze economoco – sociali dell’occidente come mera propaganda, priva di verità oggettiva.

Più di un ventennio dopo la fine dell’Unione Sovietica, in Russia l’economia del libero mercato è ben consolidata con elezioni che si tengono periodicamente. Tuttavia la democrazia russa oggi è ancora fragile, in preda a profondo malessere. Mancanza di ricambio politico, crimine organizzato, clientelismo e corruzione – caratteristiche del passato zarista e sovietico – sono riapparsi prepotentemente, condizionando tutti i livelli della società civile. Ciò che infatti ha prevalso in Russia alla fine del 1991 non era tanto l’introduzione del libero mercato nell’ambito di una ritrovata democrazia, piuttosto un tentativo affrettato di dare una brusca sterzata al passato applicando una terapia “shock” nell’illusione di poter mettersi al pari dell’occidente in tempi brevi. Una delle prime mosse per dare il “colpo di frusta” è stata infatti la privatizzazione di una vasta gamma di imprese produttive, cominciando col distibuire dividendi (in maniera inequa) a dirigenti e addetti. Col risultato che coloro che si trovavano in una posizione avvantaggiata – funzionari di partito e dirigenti legati all’ex apparato statale sovietico – sono riusciti, con mezzi legali e più spesso con sotterfugi, frodi e vere e proprie appropriazioni indebite, ad accumulare ingenti risorse e capitali. Diventando in poco tempo classe imprenditoriale capitalista, alla stregua della loro controparte in occidente. In tal modo le riforme economiche russe di quegli anni hanno di fatto favorito l’ascesa di una ristretta classe di “oligarchi“, che ha fatto man bassa delle proprietà e dei mezzi di produzione in precedenza appartenenti alla collettività. Al punto che oggigiorno l’economia russa è dominata dal Big Business rappresentato da pochi magnati starricchi e strapotenti. Tutto questo ha portato la Russia ad avvicinarsi a modelli economici tipici di molte economie capitalistiche, dove le grandi imprese sono controllate da gruppi familiari, con un ristretto numero di famiglie e di gruppi dominanti che controllano una quota rilevante della produzione nazionale attraverso conglomerati finanziari e industriali. Come è il caso dell’Italia e della Corea del Sud, dove grandi famiglie imprenditoriali sono inequivocabilmente legate al mondo politico, ricevendo facilitazioni legislative, prestiti, sussidi e agevolazioni di ogni tipo da parte dei governi in carica. Partecipando attivamente – come è stato con Berlusconi in Italia – alla conduzione diretta e allo stretto controllo del potere amministrativo e legislative statale.

Statua Lenin

Nell’ex Unione Sovietica il risultato della liberalizzazione ha portato oltre ad indubbi benefici – come l’aumento, la maggiore efficenza e la diversificazione delle attività produttive – anche la disgregazione del tessuto sociale, che ha portato l’aumento dell’alcolismo, della criminalità e del tasso di mortalità. Con quasi un terzo della popolazione della Russia che intorno al 2000 viveva al di sotto della soglia del tasso ufficiale di povertà. L’economia russa all’inizio delle privatizzazioni si è effettivamente contratta con i redditi reali che sono crollati del quasi 40%. La nuova borghesia, in quello che è stato descritto come un infernale arraffa arraffa generale, in effetti ha usurpato tutto quello su cui potevano mettere le mani. Saccheggiando le ricchezze e le risorse naturali della nazione, comprando e vendendo miniere, pozzi petroliferi e aziende di ogni genere.

Così, nella stragrande parte della nazione, all’euforia per la vittoria della democrazia su un sistema totalitario oramai anacronistico e oppressivo, in pochi anni si è sostituita delusione e frustrazione. Specie nella moltitudine di coloro che non potevano o non volevano abbracciare un nuovo modo di fare che privilegiava il rischio, la trattazione d’affari, l’investimento e la compravendita di azioni. Un sistema socio – economico, insomma, sconosciuto al cittadino medio cresciuto all’interno del sistema sovietico. Quindi, la buona fede iniziale viene tradita dall’introduzione di un sistema che si potrebbe definire del fai da te, dove prevalgono i furbi sugli ingenui e gli imbroglioni sugli onesti. In tal modo l’entusiasmo per l’avvento della democrazia, della libertà di esprimere le proprie opinioni e del poter eleggere i propri rappresentanti alla guida del paese, si è ben presto trasformato in cinismo, evasione, isolamento sociale e diffidenza verso l’apparato statale. Cosicchè l’iniziale stimolo di partecipazione nella formazione di partiti politici, nelle elezioni e nelle istituzioni pubbliche, invece che aumentare, è diminuito.

Tutto questo ha largamente contribuito all’ascesa e al consolidamento del potere di Vladimir Putin – non a caso amico e sodale di Berlusconi – il quale ha fatto del cinismo, dell’avversione alla politica, della rinuncia alla partecipazione attiva, le fondamenta del suo ventennio al potere. Putin, ex dirigente del KGB, nell’esercitare il potere, non ha fatto altro che ispirarsi ad un modello che era ben familiare a tutto il popolo russo. Operando una ricentralizzazione del potere politico e ripristinando il ruolo della politica come dominatrice della società tutta. Questo, di fatto, ha portato ad una limitazione graduale dei diritti politici, con il controllo dei mezzi di informazione e con l’appoggio del nuovo establishment economico che oramai controlla molti dei posti di lavoro del paese. Una presenza forte, esercitata in tutti i livelli e gli ambiti della partecipazione della politica nella vita civile che ha reso i rappresentante locali dell’amministrazione pubblica, i burocrati a capo dei servizi e dei departimenti amministrativi, simili alle figure ben note degli anni del passato sovietico. Con in più l’essersi sostituito alla coercizione politica precedente una voluta assenza di controllo pubblico che a fatto aumentare la corruzione il clientelismo e l’illegalità a livelli ancora più superiori che nel passato regime.

La libertà di perseguire obiettivi individuali – fino a quando si sceglie di rimane fuori o dall’assecondare i fini dalla politica – è l’indubbio risultato dello sviluppo socio-economico post-comunista della Russia. Col monopolio politico di Putin che ha sostituito il precedente e con lo strapotere incontrastato del governo sui tre poteri cardine della neodemocrazia, il potere legislativo, amministrativo e giudiziario. Elemento positivo, invece, è l’avere almeno evitato che l’attuale sitema politico usurpi e faccia scomparire di nuovo i diritti individuali.

Anche dal punto di vista materiale i risultati del post-comunismo sono ambivalenti. Certamente è sorta e ha cominciato a prosperare una società dei consumi. Infatti, mentre prima c’era ben poco da aquistare, con croniche carenze e spesso nessuna scelta, oggigiorno i negozi sono pieni di prodotti interni e importati, offerti a prezzi ragionevoli. Con il ceto medio-alto che cresce e che può godere di ciò che viene loro offerto dal libero mercato. Il problema, piuttosto, è in quella fetta – non piccola – della popolazione, il cui reddito non è cambiato o che è addirtittura diminuito rispetto a prima, come i pensionati e i disoccupati. Categoria quest’ultima – inesistente in precedenza – e che ora invece ha raggiunto livelli non dissimili dell’occidente. Cosa vale per costoro l’ampia scelta dei prodotti disponibili quando non si hanno i mezzi per comperarli?

Anche questo spiega il fatto che dopo 70 anni di privazione della libertà e della possibilità di poter partecipare in maniera democratica alla politica, un’alta percentuale dei cittadini russi non esercita il diritto di voto. Mentre circa uno su quattro di coloro che si recano alle urne votano l’impensabile, cioè l’attuale partito comunista russo. Un partito votato da “nostalgici” all’opposto di quelli che infestarono l’Italia del dopoguerra: pensionati, disoccupati, sottoccupati. I quali vedono la nuova società del capitalismo neoliberista russo aver voltato loro le spalle. Una società dei consumi (per chi se lo può permettere) che sta ergendo un muro più alto e più spesso di quello di Berlino e che tiene rinchiusi senza possibiltà alcuna di uscita coloro che si sono improvvisamente trovati, loro malgrado, dalla parte sbagliata.

 

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