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Lo stanco procedere del vecchio leone

Nonostante l’età ormai decisamente rispettabile ed il caldo appena mitigato dai temporali di questi giorni, ligio ad un compito che assolve nella sua funzione di Padre Nobile di una delle voci più autorevoli del panorama giornalistico nostrano, anche oggi Eugenio Scalfari ha lanciato il suo settimanale messaggio al mondo politico italiano.

Altre volte avevamo riportato integralmente il testo delle sue riflessioni lasciando che la lettura e la successiva discussione dessero il senso al suo scrivere ed al nostro impegno nel riportare. Stavolta credo sia opportuno aggiungere qualche riflessione su alcuni degli argomenti trattati perchè penso che saranno quelli che più di altri ci impegneranno nei prossimi mesi.

Il ragionamento di Scalfari, fatto un breve accenno (ironico) sugli incontri di Renzi al parlamento israeliano e con il leader palestinese Abu Mazen parte da una significativa e dura premessa su Tony Blair che, quasi distrattamente egli lascia poi cadere nel nulla come se gli avvenimenti di questi giorni, Verdini che lascia Forza Italia per costituire un gruppo autonomo e Alfano che sempre più convintamente appoggia Renzi in un percorso nel quale il PD vede sfaldare il suo consenso a sinistra, non suggerissero ben altro approfondimento.

C’è poi la questione fiscale sulla quale le acque sono tornate ad agitarsi e sempre sugli stessi immancabili punti (la tassa sulla prima casa in primis) come se potessimo, a breve, trovarci di fronte a nuove elezioni, tanto l’argomento è stato speso in passato a puri fini elettoralistici.
Comincerò dal secondo (le tasse) per poi passare al primo (dove sta andando il PD).

Per affrontare in modo direi “fiorentinamente” irridente la proposta di Renzi di ridurre alcune imposte entro tre anni (sempre al 2018 andiamo a finire, anno delle elezioni politiche), credo che Scalfari non abbia dovuto fare molta fatica: negli anni si sono sprecati gli articoli con i quali le testate anti berlusconiane hanno, di volta in volta, demolito le ambizioni detassatorie dell’ex cavaliere. Ma forse, un pò più di impegno avrebbe potuto e dovuto mettercelo perchè, stavolta, anche se non appare facile, qualcosa potrebbe andare in modo diverso.

Intanto il Paese è uscito ufficialmente dalla recessione, ciò vuol dire che quell’incremento di debito di cui parla Scalfari come unica possibilità di controbilanciare la riduzione di gettito per le imposte ridotte o eliminate, potrebbe risultare più accettabile in virtù di un incremento del PIL, unito ad un aumento di introiti fiscali determinati dalla ripresa economica; entrambi scenari dei quali Scalfari si guarda bene dal fare accenno, tutto preso dalla vena ludica con la quale affronta la cosa. E d’altronde, come non dargli torto: sperare sempre e solo nell’annosa lotta all’evasione fiscale, o agli sprechi della Pubblica Amministrazione (come hanno fatto Padoan e Gutgeld commentando il proclama di Renzi), alla fine, più che ad una battuta, ormai, non induce; ma da un acuto commentatore del suo pari, ci saremmo attesi di più. Se poi Scalfari vorrà ricordarci quando è stata l’ultima volta che un bilancio pubblico è stato costruito a costi zero ma programmando interventi per reperire risorse da reimpiegare l’anno successivo, saremo felici di prenderne atto.

Entrando nel merito delle tasse oggetto delle attenzioni di Renzi (praticamente tutte quelle che contano, Iva a parte), credo che più di un accenno debba essere fatto sull’odiata tassa sulla casa.

Se un giorno verremo interrogati su quali sono gli anni nei quali abbiamo pagato l’ICI e sue surrogate, temo avremo grandi difficoltà ad essere precisi; io personalmente ho già perso il conto. Pensate un pò, addirittura ha fatto i suoi esordi con Amato nel 1992 con il nome di ISI e da allora è stata rinominata, ridotta, sospesa e abrogata non so più quante volte perchè si sa siamo un popolo di chiocciole, guai a toccarci il guscio, quindi, quale miglior modo per comperarci se non quello di promettere l’abolizione dell’odiata tassa per avere in cambio il nostro voto?

C’è da dire, però, che mentre noi siamo così ondivaghi (anche su questo), buona parte del mondo occidentale, da tempo, ha scelto nelle imposte patrimoniali il suo bacino privilegiato per alimentare la finanza pubblica, ed io personalmente penso che la tassa sul patrimonio (anche immobiliare) debba essere introdotta in modo strutturale nel nostro ordinamento, andando a graduare, creare quote esenti, tenere conto delle diverse tipologie di contribuenti, tutto ciò che si vuole, ma alla fine, facendo pagare il dovuto a tutti. Renzi, come gli altri prima di lui, ha seguito la moda e non sembra esserci giustificazione alcuna se non quella di ottenere facile consenso.

Meglio sarebbe stato, sicuramente concentrarsi sull’Irap, tassa sulle attività produttive che si calcola sugli investimenti aziendali, il numero di dipendenti e persino sui debiti bancari: la sua progressiva riduzione sino all’abolizione, potrà essere d’aiuto alla ripresa degli investimenti, mondo bancario permettendo. Il fatto è che alle aziende Renzi ha già concesso un robusto aiuto con il Jobs Act e, probabilmente, ha ritenuto che, su questo versante, il consenso da ricercare, fosse ormai residuale.

L’argomento fiscale, dicevo, ha agitato le acque della politica nell’ultima settimana e credo che molte siano le cose da poter aggiungere ma non so se Scalfari, al di là delle facili battute, abbia dato un contributo vero al dibattito in corso. Molto più seriamente mi pare aver affrontato la sua fatica domenicale nell’aspra critica a Blair il quale corona una vita vissuta in prima linea con il tramonto dorato delle conferenze a giro per il mondo.

E qui sta il fulcro dell’attacco di Scalfari a Renzi tramite Blair, colpevole, ancorchè fuori dai giochi, di voler indicare ai laburisti una strada diversa da quella che sembra aver intrapreso l’uomo nuovo della sinistra britannica Jeremy Corbyn.

In effetti Renzi ha dichiarato più volte di volersi ispirare all’esperimento che ha consentito a Blair di governare a lungo il suo Paese ed i fatti di questi giorni sembrano indicare come ormai senza ritorno la strada del PD di posizionarsi al centro dello schieramento politico con strizzatine d’occhio a quell’elettorato che certo non si riconosce nella sinistra, lo stesso che, da sempre, ha finito poi per determinare le scelte politiche in Italia.

C’è chi afferma che Renzi stia compiendo il capolavoro politico di svuotare la sinistra dal suo interno (cosa che non era riuscita in quasi 50 anni alla Democrazia Cristiana), mentre altri pensano che stia solamente facendo di necessità virtù per riuscire a chiudere il cerchio delle riforme, istituzionale ed elettorale, prima di andare al voto, nel frattempo cercando di mantenere il suo consenso il più alto possibile per il timore di dover constatare, alla fine della corsa, di aver tirato la volata a Salvini o a Grillo e di arrivare al traguardo con il fiato corto.

Alla fine, quello che Scalfari fa, mi pare sia solo consumare una sottile vendetta nei confronti di Renzi, reo, tra le altre cose, di non aver riconosciuto a Repubblica quel ruolo che ormai da anni aveva assunto nel panorama italiano della stampa progressista; ecco in tutto l’argomentare del vecchio leone, vedo molto questa sorta di voler irridere senza altro aggiungere abdicando con questo atteggiamento, lui per primo, a quel ruolo che per tanto tempo gli è stato attribuito.
Alla fine, la figura di quello che ha messo bocca su tutto dicendo ben poco, l’ha fatta, temo, proprio lui.

 

 

L’editoriale di Eugenio Scalfari del 26 Luglio, 2015

 

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1 comment

  1. Kokab 27 luglio, 2015 at 15:42

    convengo sul fatto che scalfari può scrivere meglio, e che questa volta non si è sprecato, forse per età e forse per noia nei confronti di un argomento tutto sommato banale, ma la vera notizia non mi sembra la sua senile stanchezza, quanto il fatto che renzi sulle tasse, abbia fatto una sparata degna di un berlusconi d’annata, sia nel metodo (meno tasse per tutti) sia nel merito (via la tassa sulla prima casa, che è una evidente sciocchezza); peraltro mi sembra che, sia pure sotto traccia, tu esprima un giudizio del genere, diciamo un po’ più diplomatico.
    in italia ci sono sia un eccesso di spesa pubblica, sia un eccesso di evasione fiscale, ma non mi figuro che, dovendo scegliere, gli italiani optino per una minore evasione fiscale, non essendo noi svedesi, e dubito anche che le cose si possano aggiustare con un incremento più o meno modesto del pil, per cui la prospettata riduzione delle tasse, che sono in effetti scandalosamente alte, mi pare una semplice promessa di stampo elettorale.
    quanto al paragone con blair, nel quale renzi a torto si immedesima, hai ragione, su questo si concretizza il nocciolo della questione, che io declinerei in questo modo: è vero che si vince al centro, e quindi la sinistra, per essere competitiva, si deve sostare a destra, ma il problema è il punto di equilibrio, che se è troppo a destra poi ti scopre a sinistra e ti fa perdere lo stesso, nel caso di renzi, per inciso, consegnando il paese a salvini & grillo; peraltro, se destra e sinistra si avvicinano troppo, la principale differenza nel risultato elettorale sarà il nome di chi vince, e non le cose che si fanno, cosa che costituisce ad un tempo un rischio per la democrazia e una perdita di valori di riferimento, quelli della sinistra appunto, che costituiscono una delle gambe della società (la distribuzione del reddito rispetto all’accumulo della ricchezza).
    blair il punto di equilibrio a mio parere non lo ha raggiunto, e non mi sembra che lo stia raggiungendo renzi, che pure preferisco a bersani e napolitano, e il meglio che ci può capitare rischia di essere il dover scegliere fra una politica semplicemente di destra e una politica sbagliata.
    Infine due notazioni: in inghilterra si vota con un sistema uninominale maggioritario, cosa che non fa una piccola differenza, mentre sul fatto che scalfari sia irritato perché renzi ha rifiutato la tutela politica e culturale di repubblica, non posso che convenire, aggiungo solo, se mi passi il paradosso, che se il paese fosse governato da chi ha fatto due scuole serie e senza bisogno delle elezioni, nelle quali si esplica la geometrica potenza dell’imbecillità degli italiani, difficilmente starebbe peggio.

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