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Sicurezza o diritti ?

Eventi come quello di Parigi dello scorso 13 Novembre stimolano, da ogni parte, pubblicazioni, riflessioni, interviste, oltre ad un increscioso numero di chiacchiere, a scelta buoniste o allarmiste, che sommate diventano un insieme cacofonico ed amorfo, sia perché condizionate a monte dall’ideologia, sia perché caratterizzate a valle dall’inconcludenza.
Fra le diverse analisi che sono circolate, di alcune, anche incluse tra i contributi del nostro ultimo speciale, avremmo fatto volentieri a meno, quella di Bruce Ackerman mi sembra la più completa, rappresentativa ed ambiziosa, sia per la completezza delle tematiche affrontate, sia per la chiarezza dell’esposizione, sia infine per la nettezza delle opinioni, comprese quelle palesemente controcorrente. La prendo come matrice di un contraddittorio.

I temi decisivi, fra i molti che tocca, mi paiono sostanzialmente tre; vediamoli in modo schematico.

 

1) Fino a dove è accettabile il deficit di democrazia che ci sobbarchiamo per combattere il terrorismo? Dal punto di vista di chi ne usufruisce, i governi, probabilmente all’infinito, perché gli facilita il compito nella lotta al terrorismo e incontra l’orientamento della pubblica opinione; dal punto di vista di chi lo subisce, i cittadini, un po’ meno, ma non troppo, almeno in questa fase, perché si tende ad attribuire alla sicurezza, quando è minacciata, un valore superiore a quello della libertà; dal punto di vista dell’efficacia a lungo termine il deficit di democrazia è un’opzione disastrosa, sia perché realizza uno dei principali scopi dei terroristi, sia perché svilisce i nostri principi e abbatte la qualità della nostra vita. Su questo punto Ackerman ci dice sostanzialmente due cose, una in modo più sfumato: ci dice che il terrorismo è comunque inevitabile, qualunque cosa noi possiamo fare, e che il numero dei morti che può riuscire a causare è comunque trascurabile, almeno finchè, aggiungo io, si limita ad usare esplosivi ed armi da fuoco. Credo che queste cose siano vere, credo che dobbiamo imparare a tenerne conto, e credo anche che statisti in grado di indirizzare le pubbliche opinioni siano meglio dei politici che le seguono: dei primi non vedo alcuna traccia, ma non sono per questo disposto a sacrificare l’illuminismo e i principi dello stato liberale, e se non li sacrifichiamo dobbiamo sapere che ci sarà un prezzo di sangue da pagare.

 

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2) Dichiarare guerra all’IS vuol dire riconoscere e legittimare il terrorismo? L’affermazione non mi pare pacifica, perché riflette una concezione della guerra classica, che è quella che si combatte fra stati sovrani, che proprio dalla statualità traggono la reciproca legittimazione; l’IS non è uno stato, anche se ha una dimensione territoriale, e non attua classiche azioni di guerra, perché non ne ha evidentemente i mezzi, ma è chiaro che combatte per minare alla base, e se possibile distruggere, quella visione del mondo e quel modello di organizzazione della società che noi chiamiamo occidente. Ci si difende con cosa, oltre che con la politica? Con azioni di polizia? Con attività di intelligence? Con attacchi militari? Sono tutte opzioni valide, le prime due indispensabili e la terza eventualmente necessaria, ma nessuna di queste legittima di per sé la statualità del califfato, la legittimazione deriva, più che dalle bombe, dalla disponibilità a considerarli degli interlocutori e a negoziare con loro, ma non mi sembrano né abbastanza grossi, né abbastanza brutti, né abbastanza cattivi da far ancora veramente paura e imporci il loro riconoscimento, essenzialmente per le cose dette prima. Aggiungerei invece che un più efficace modo per legittimarli è quello di continuare a straparlare di guerra di civiltà come tanti Giuliano Ferrara o Marine Le Pen; per fare una guerra di civiltà ce ne vogliono almeno due, di civiltà, e il califfato di civile non ha proprio nulla, a prescindere dal fatto che ci vuole morti.

 

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3) Che cosa possiamo e dobbiamo concretamente fare? Su questo Ackerman è più sfumato, ma qualcosa fra le righe mi sembra la suggerisca. L’esperienza di Bush è stata fallimentare, e l’invio di altre truppe di terra rischia di essere un fallimento analogo, a meno che, aggiungo io, l’impostazione non sia quella della guerra classica, che difficilmente potremmo perdere, ma aprirebbe, questa si, lo scontro di civiltà con tutto l’islam; contemporaneamente è stato un fallimento anche l’esperimento tentato da Obama di creare forze islamiche moderate, con la sola eccezione dei kurdi, che però non sembrano essere sufficienti; infine, non è detto ma mi pare implicito, in attesa del terrorista prossimo venturo, che comunque verrà, senza gli stivali dei soldati sul terreno, sul piano militare non si vince neanche la guerra del rubamazzo.

 

 

Credo che da queste analisi di Ackerman, cercando di non attribuirgli parole e pensieri non suoi, si possano imparare alcune cose e cercare di trarre qualche conclusione.

La prima è che il deficit di democrazia che stiamo vivendo e che rischiamo di veder crescere dipende in primo luogo da un deficit di politica: non possiamo avere contemporaneamente le piazze sicure, i soldati vivi e il medio oriente pacificato, è un opportunità che abbiamo già perso da molti anni, e non possiamo raccontarci all’infinito che non è così, anche se è questo che stiamo facendo e che cerchiamo di fare. Dallo scioglimento di questo nodo deriva la possibilità di sciogliere gli altri.

 

La seconda è che dalla nostra parte ci sono troppi estremisti, a casa nostra naturalmente, a gonfiare la paura e la rabbia di chi è già spaventato, ma anche fuori dai nostri confini, in Turchia in primo luogo, sotto il profilo politico, ed in Arabia Saudita secondariamente, sotto il profilo etico e morale. Una parte cospicua di questi problemi, e della loro difficile soluzione, deriva dal fatto che non sempre ci facciamo le domande giuste per paura delle risposte conseguenti: lasciamo stare casa nostra, che le valutazioni diventerebbero ridondanti, ma prima o poi dovremo pur dire che la legge Saudita non è tanto diversa da quella del Califfato, e che Erdogan è solo un autocrate che non fa neanche più in modo efficace il lavoro sporco, e a volere dirla tutta, oggi la Turchia è un grosso problema e non una soluzione, di nulla.

 

La terza è che i confini degli stati mediorientali, così come li abbiamo tracciati un secolo fa, non reggono più ed hanno fatto il loro tempo: troppe le etnie e le culture mescolate, troppi nemici vivono assieme, troppa povertà a fianco di troppa ricchezza, troppi interessi russi ed occidentali in contrasto fra loro, e non è un bene, ma se anche tagliassimo la testa al Califfato rinascerebbe a breve qualche altro gruppo di fanatici, su questo Ackerman ha ragione da vendere. E allora? Mi spendo il bonus della provocazione: i kurdi sono il popolo politicamente più moderato, socialmente più avanzato e militarmente più determinato del medio oriente, perché non possono essere la nostra risorsa, solo perché tutti i bulli del quartiere non tollerano l’idea? Non sono sufficienti contro il Califfato? Su questo credo che Ackerman abbia glissato, proviamo ad armarli come si deve, non come vuole Erdogan, e andiamo poi a contare quanti califfini saranno rimasti vivi; e i kurdi li dovremmo pagare solo con quello a cui hanno comunque diritto. Spesso si discute del diritto all’esistenza dello stato d’Israele, perché una parte cospicua del mondo lo trova inconcepibile, si potrà un giorno discutere del Kurdistan, che risulta intollerabile a tre o quattro paesi in tutto, neanche dei migliori?

Fantapolitica? Forse, ma a me pare che la realpolitik abbia insanguinato a sufficienza il pianeta.

 

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35 comments

  1. Remo Inzetta 27 novembre, 2015 at 09:11

    C’è un’affermazione che non condivido. Vedo che ormai è diventata una moda considerare Renzi un imbucato al tavolo della politica italiana e internazionale, ma se vogliamo un esampio di come ci si deve comportare per indirizzare la pubblica opinione, basta ricordare l’intervista che ha rilasciato sui fatti di Parigi, pubblicata proprio nello speciale.
    Dire come ha fatto lui che il problema del terrorismo si risolve in primo luogo con l’educazione, in almeno 20 anni, e che se chiudiamo le frontiere otteniamo solo l’effetto di chiuderci i terroristi in casa, vuol dire prendere di petto i problemi e non cercare un facile consenso.
    Non so se Renzi sarà considerato alla fine del suo percorso lo statista che io credo che sia, ma in questo caso mi piacerebbe che si riconoscesse la posizione coraggiosa e lungimirante.

    • Gennaro Olivieri 27 novembre, 2015 at 09:43

      Stavolta te lo concedo, Remo. Bene ha fatto Renzi a non imbarcare l’Italia in questa ennesima operazione militare mal preparata, dagli obiettivi nebulosi e dall’esito incerto. Anche perchè noi potremmo dare un contributo ben scarso dal punto di vista bellico, mentre invece la nostra diplomazia e la nostra intelligence sono, tra quelle occidentali, di gran lunga le meglio introdotte e meglio accette nei Paesi musulmani.

    • Jane 27 novembre, 2015 at 10:53

      io non te lo concedo per nulla invece. Stiamo (state) plaudendo alla prudenza di Renzi perchè ciò ci (vi) fa sentire più al riparo da rappresaglie, tutto qui. Nel perfetto stile italiota del Ponzio Pilato. Sono assolutamente contraria che l’Italia stia fuori dagli scenari di guerra mentre si chiama sorella della ferita Francia ed è dentro la Nato come USA e GB. Fin ora abbiamo chiamato questa paraculaggine stile pilatesco, da ora in poi lo chiamiamo stile rignanesco

      • Gennaro Olivieri 27 novembre, 2015 at 11:11

        Jane, beata te che hai una visione chiara e libera dai dubbi. Giacchè richiami scenari di guerra e l’Alleanza Atlantica, io vedo Paesi NATO che vanno a braccetto con la Russia e sul campo si comportano da suoi alleati, e altri Paesi NATO che abbattono aerei russi senza preoccuparsi delle conseguenze. Dato che al momento nessuna delle potenze militari sa spiegare il perchè, il come e con chi di questa fregola di bombardare, la posizione del paraculo mi sembra la più saggia e decente.

          • Bondi James Bondi 27 novembre, 2015 at 13:40

            Resti nel merito? Perchè allora non cerchi di dimostrare, o almeno di motivare, perchè bombardare sarebbe una risposta di sinistra, o almeno sarebbe la risposta corretta? E le leggi emergenziali, magari sarebbero di sinistra anche quelle? Illuminaci, sempre se ti degni, eh.

      • Tigra 27 novembre, 2015 at 12:42

        In linea di principio hai ragione, il problema è che non siamo capaci di far la nostra parte sul piano militare, sia perchè non siamo adeguatamente armati, sia perchè, cosa più importante, non siamo culturalmente attrezzati a fare sul serio le guerre, il che si tradurrebbe nel fare disastri.
        Più in generale, sul piano pratico, mi sembra pertinente il commento di Gennaro Olivieri, al momento hanno fatto disastri anche quelli più bravi di noi

      • Remo Inzetta 27 novembre, 2015 at 21:01

        Arrivo tardi, vedo che ti hanno già risposto in modo più che esauriente, comunque prima di partire per la guerra con l’elmetto in testa, a fianco dei francesi, ricordati come è finita in Libia, non scambiare il buon senso per la paraculaggine.

  2. Blue 26 novembre, 2015 at 20:57

    Argomento complesso. È vero che il deficit di democrazia è un costo che a lungo termine certifica il successo del terrorismo. È anche vero che il cardine della democrazia è assicurare ai cittadini la garanzia di vivere in uno stato libero sostenendone, appunto, i diritti. Si tratta di stabilire, in queste occasioni estreme, di guerra che alcuni hanno definito “asimmetrica”, un patto sociale. E, come ogni patto, che comporta situazioni di compromesso, i componenti della società civile devono sapere che ci sono dei costi da mettere in conto. Momentaneamente, ma ci sono. Si tratta da un lato di definire i limiti, i confini di questi costi e dall’altro la metodologia operativa che possa assicurare la riuscita dell’operazione.
    Ho sentito l’altro giorno alla radio (RadioTre) il prof. François Lafont (direttore di EuropaNova) – a proposito del dibattito “più cultura-meno paura” – che proponeva una lettura “europea” del fenomeno. Sottolineando come Schengen (intesa come libera circolazione all’interno della nostra comunità) costituisca il cardine della democrazia europea, nondimeno il controllo rigoroso dei flussi entranti (e uscenti) dovrebbe essere diversamente strutturato. Ogni singolo paese di “confine”, sentendosi parte di una comunità democratica globale, dovrebbe agire in modo più completo, efficace e responsabile. E le azioni di controllo e di intelligence interna ed esterna dovrebbero essere il frutto di una concertazione unitaria, così come il flusso di informazioni che i paesi della comunità si scambiano e che andrebbero strutturati in un organismo sovranazionale.
    Mi rendo conto di avere usato troppo il modo condizionale. Ma forse lo slogan che mi sento di lanciare deve diventare: “più cultura, meno paura e più Europa”.

    • nemo 27 novembre, 2015 at 09:03

      Ricordo che feci una domanda, attraverso queste pagine, la domanda , a quel tempo, investiva la possibiltà della banca Europea di intervenire su questioni economiche e di tassi. Bene non è questo l’ragomento che voglio sollevare. Ma il problema. Chiesi, pensate, veramente che se la Banca centrale degli Usa fosse organizzata come quella europea sarebbe la stessa cosa di quello, che invece, é ? Aprire, e vengo al punto, aprire le frontiere con gli accordi, benedetti dal punto di vista delle libertà di circolazione, senza avere prima predisposto tutto quello che doveva essere la infrastuttura di intelligence e di polizia , è come se noi si fosse andati allo zoo, ricordate la bella canzone di Jannacci, e si fossero aperte le gabbie per vedere l’effetto che fà ! Non sono io che scopro l’acqua calda, ma sono le dichiarazioni che alcuni politici fanno in questi giorni ! Ripeto la domanda riproposta all’inizio, se gli Usa fossero nella stessa condizione in cui, ora, si trova l’Europa, sarebbero in grado di affrontare il problema ? Le polizie europee sono sufficientemente collegate, le varie agenzie collaborano da buone sorelle o hanno piccoli grandi scheletri negli armadi, infine, cosa importante ma che credo non verrà mai portata a termine, l’Europa ha un esercito comune con il quale potrà far fronte a situazioni, sempre augurabili che mai vi siano, di emergenza ? Lo abbiamo visto, in piccola parte, nella emergenza dei profughi, siano essi politici, siano essi di altra natura. Si, mentre a Roma si discute Sagunto brucia. E per Roma non intendo certo quella che conosciamo, ma l’Europa, quella che ancora non c’è e che, credo converrete dovrebbe, invece esserci.

      • Por Quemada 27 novembre, 2015 at 09:26

        Guarda, se veramente ci dobbiamo aspettare che l’Europa si comporti come gli Stati Uniti, con politica, esercito e moneta, possiamo tranquillamente mettere i carri armati alle frontiere e schierare le navi a pattugliare le coste.
        Mi sa che Sagunto è ormai bruciata.

      • Bondi James Bondi 27 novembre, 2015 at 09:29

        Se capisco bene il tuo ragionamento, gli USA sarebbero meglio organizzati nel far fronte a minacce terroristiche, mentre l’Europa non lo sarebbe a causa delle divisioni e delle rivalità tra gli Stati. Ma mi pare che la cronaca e la Storia insegnino, caro nemo, che nonostante la loro organizzazione e le loro grandi risorse, gli USA sono una nazione dove gli atti di terrorismo (di varie matrici) siano frequenti come da noi e ancor più devastanti , per non parlare delle stragi compiute da squilibrati che molto spesso spianano scuole, campus universitari, cinema, centri commerciali…. Pur nelle nostre divisioni, di qua dall’Atlantico abbiamo molte probabilità in meno di morire di morte violenta rispetto agli USA, senza ricorrere nè a leggi di emergenza nè allo sceriffo di Abilene.

  3. Tigra 26 novembre, 2015 at 11:44

    Chiedo scusa, ma mi sembra che si stia veramente peccando di semplicismo, e se mi permettete la franchezza, ci vedo anche una punta di banalità.
    Ma davvero pensiamo che il problema sia qualche controllo di polizia sulle strade? Con questo si dovrebbe prevenire il terrorismo e fermare il terrorista votato al suicidio? Pensiamo davvero che sarebbe così semplice?
    Le foto della capitale belga che si vedono sopra sono quelle di una città militarizzate, con le strade e i ristoranti vuoti, con la gente chiusa in casa, vuoi per scelta, vuoi per una ordinanza delle autorità. Per quanto tempo può durare?
    Io non credo serva a nulla, ma se vogliamo che i limiti della libertà personale da introdurre abbiano un senso e una qualche speranza di essere efficaci, dobbiamo pensare a cose ben più importanti del controllo dei documenti: controlli invasivi delle comunicazioni, fermi di polizia, indagini e arresti eseguiti senza le garanzie tipiche dello stato di diritto, censura dell’informazione ritenuta pericolosa (ma poi, chi decide se è pericolosa, e come?), e quant’altro vediamo realizzarsi quotidianamente, per esempio, nell’Ungheria di Orban, nella Russia di Putin, o nella Turchia di Erdogan, il che significa incidentalmente realizzare il principale obbiettivo del terrorismo.
    Di questo si tratta, e non di fare qualche multa per eccesso di velocità, e faccio notare che questo tipo di “gestione della sicurezza” non preserva nè Russia, nè Turchia da attacchi terroristici sanguinosi, dimostrando, a mio parere, che il rapporto costi/benefici è assolutamente in deficit.
    C’è poi un altro aspetto sottolineato dal blog, che riguarda la politica internazionale, la sola che può forse risolvere il problema: se vale la regola che chi rompe paga e i cocci sono suoi, e secondo me siamo in questa situazione, dovremo pur porci il problema dell’inefficacia di tutto ciò che abbiamo fatto fino ad ora e cercare nuove soluzioni, perchè se alcune centinaia di persone, a torto o a ragione, ci attribuiscono la responsabilità della guerra quotidiana che subiscono, qualcuno che si fa saltare per aria in mezzo a noi eludendo i controlli lo trovano sempre.

    • Gennaro Olivieri 26 novembre, 2015 at 12:09

      Visto che va di moda citare e lodare Oriana Fallaci, mi permetto di consigliare la lettura (o rilettura) del suo romanzo “Un uomo”, per capire cosa significa vivere, e morire, in uno stato di polizia. Non è precisamente l’appuntato che ti ferma sulla provinciale e ti chiede la patente, come fa notare giustamente Tigra.

    • Genesis 26 novembre, 2015 at 13:11

      Nuovamente esce la “banalità” ed il “semplicismo”…va bene, sono un semplicciotto e mi pregio di esserlo! Spiego il mio commento precedente.
      Siamo in un periodo “caldo” per via di alcuni squilibrati che in nome di un dio sparano alla cieca? Dobbiamo scovare questi mentecatti? Come si fa a scovarli? Inviamo solamente le nostre forze di polizia nelle moschee (autorizzate o meno) sperando di impattare contro un estremista islamico? Oppure attendiamo che vengano a costituirsi di persona? Siamo seri…!
      La mia porta è aperta a qualsiasi controllo dovessero farmi, come il mio essere persona civile! Se questo serve a scoprire dove vi siano le frange pericolose alla comunità, siano esse islamiche, mafie, delinquenti comuni o spacciatori di morte chimica, io sono più che d’accordo!
      Ricordati Tigra che in un attimo, senza ovviamente chiederti liberatoria, c’è chi ascolta le tue telefonate, legge i tuoi messaggi, legge i tuoi commenti…e, in qualsiasi momento, quella che tu chiami “libertà personale” diviene un problema…

      • Tigra 26 novembre, 2015 at 15:44

        Non era mia intenzione offendere nessuno, e non lo è neanche ora, ma confermo i termini che ho usato prima, e mi piacerebbe che si entrasse più nel merito dei problemi, possibilmente senza pregiudizi.
        Proviamo a rispondere onestamente ad una domanda, militarizzare l’Europa serve a scongiurare gli attentati terroristici, quando i terroristi sono disposti a farsi saltare per aria pur di ammazzarci?
        Se la risposta è si, militarizziamo pure, ma fino ad oggi non mi sembra che ci sia riuscito nessuno, neppure quelli più bravi di noi, e mi sembra anche ovvio, perchè semplicemente non ti puoi veramente difendere, per sempre, da chi è disposto a morire per far morire te, ci sarà sempre un mentecatto imbottito di esplosivo che riesce a farsi esplodere in un luogo affollato.
        Se la risposta è no, e secondo me è questa, anche se non vogliamo parlare di libertà e di diritti, che saranno una mia semplice fissazione, militarizzare le nostre città diventa semplicemente un’azione inutile, che peggiora la qualità delle nostre vite ed ha un costo economico spropositato, sia perchè i soldati e le armi costano, sia perchè i bar e i ristoratori falliscono, sia perchè le metropolitane senza passeggeri, tutti chiusi a casa, poi chiudono anche loro, come i cinema, i teatri o gli stadi. Li presidiamo tutti? Suvvia, sappiamo che non è possibile.
        Nel blog c’è una frase che mi sembra utile richiamare: “non possiamo avere contemporaneamente le piazze sicure, i soldati vivi e il medio oriente pacificato”, mi sembra questa la chiave del problema, li piazze non saranno sicure finchè il medio oriente non sarà pacificato, e pacificare il medio oriente avrà un costo in vite umane, anche nostre, non credo che possiamo illuderci di non pagarlo.
        Il problema è che le vite che abbiamo speso fino ad oggi, con superficialità e leggerezza, in Afghanistan e in Iraq, mi sembra siano state semplicemente buttate via.

        • Genesis 26 novembre, 2015 at 16:16

          Ci stai girando attorno Tigra, lasciamelo indicare!
          OK, militarizzando non si ottiene nulla, quindi, ergo, non militarizziamo e piangiamo quando qualcuno si veste da Rambo e sventaglia raffiche di mitra a destra e a manca…speriamo sempre non succeda a noi!

          • Tigra 26 novembre, 2015 at 20:00

            Non ci sto affatto girando attorno, mi sembra piuttosto che sia tu ad eludere la domanda, serve o non serve militarizzare?
            I fatti ci dicono di no, se deve servire solo a salvarci la coscienza quando muoiono delle persone, e non a fermare veramente i terroristi, la mia risposta è no, non voglio militarizzare.

        • Genesis 26 novembre, 2015 at 20:11

          Io non ci giro attorno perché reputo giusto e giustificabile uno stato di polizia in periodi come questi. Do massima fiducia nelle forze dell’ordine che mi entreranno eventualmente nella vita.
          Invece intendo dalle tue parole che, non volendo militarizzare, bisogna lasciare che i giorni scorrano, dialogando magari con gli esponenti di IS, chiedendogli la cortesia di non ledere i nostri diritti di libertà, uguaglianza e fraternità, perché guadagnati tramite la politica…tre parole tra le più calpestate in Europa ed al mondo…!

          • Tigra 27 novembre, 2015 at 00:12

            Lo dico in tono scherzoso, ma non intendo autorizzarti ad interpretare il mio pensiero con troppa libertà.
            Dire che non serve a nulla militarizzare l’Europa non implica alcuna disponibilità o tolleranza nei confronti dell’IS, personalmente farei assaltare Raqqua da un battaglione di Gurkha.

        • Genesis 27 novembre, 2015 at 06:44

          Anch’io uso il tono scherzoso, ma ciò che ho scritto è ciò che avevo inteso…
          Sì, è vero, si dovevano bombardare le città sede del primo is…non è stato fatto e questi sedicenti apostoli islamici si sono espansi anche per il volere poco nascosto dell’occidente….ora ci troviamo a combattere in casa quelli che potevamo schiacciare con poca spesa e, come stiamo facendo, combattendo alla cieca uccidiamo persone innocenti e soggiogate da un califfato bastardo…distruggiamo ospedali ai quali va il nostro 5 per mille (che serve a sentirci un po’ meno colpevoli)…
          Sì, hai ragione piena…dovevamo schiacciarli!

        • Por Quemada 27 novembre, 2015 at 09:31

          Non serve a niente proteggerci? Non ti è venuto in mente che potrebbe servire a sventare almeno alcuni degli attentati, mica per altro, solo per dover contare qualche morto in meno.
          Il tuo è semplicemente il famoso buonismo di sinistra, ed è anche una pazzia.

          • Tigra 27 novembre, 2015 at 12:47

            Guarda, se decidono di far saltare per aria tre luoghi affollati, semplicemente lo faranno, al massimo al quarto, quinto o ennesimo tentativo, stai tranquilla che non gli mancano i martiri da sacrificare.

  4. Jair 26 novembre, 2015 at 10:03

    Con rispetto per tutti gli amici di Modus: troppi mi sembrano inclini a cedere diritti e libertà fondamentali in cambio di un po’ di sicurezza. Essere insensibili alla lesione di di qualunque degli spazi attraverso cui la libertà si esprime, significa essere pronti ad accettare qualsiasi regime e ogni tipo di fascismo. A meno che la vostra preoccupazione e il vostro sdegno si sveglino solo quando vengono lesi diritti vostri, e non solo quelli altrui, cosa che spiega anche la vostra soddisfazione ogni volta che questo governo smantella qualche diritto dei lavoratori. Tanto a voi che vi frega?

  5. nemo 26 novembre, 2015 at 08:31

    Sono certo che molti di voi hanno vissuto l’anno in cui Moro fu rapito. A causa del mio lavoro percorrevo circa 100 mila kilometri ogni anno e ricordo, perfettamente, la emergenza di quei giorni dovevo fermarmi al posto di blocco con il militare che ti squadrava armato di mitra, quando non dovevi fermarti vicino alla postazione, o nido come volete, di mitragliatrice. Ho sempre detto, e lo ripeto, che se questa è la tassa che devo pagare per essere finalmento tranquillo, ebbene ben venga ! Non ipotizzo, sia chiaro, lo stato di polizia, ma uno Stato che faccia veder la sua presenza, prima, possibilmente durante, più difficile lo so, ma non solo dopo che il reato sia stato compiuto. Negli anni, ammettiamolo, si è andata a perdere la cultura della sicurezza, eppure è nella sicurezza che i cittadini hanno la prima, in assoluto, manifestazione della buona organizzazione della società nella quale vivono. Essere fermato ogni giorno per diverse volte non mi ha mai creato problemi, di tempo o di pazienza, no ! Capivo, perfettamente che quei militari svolgevano un lavoro essenziale per la mia sicurezza , per quella della mia famiglia e per estenzione per quella di tutti noi. No, sono disposto, ancora, ad eccettare d’esser fermato per il controllo dei documenti, non ho niente da nascondere e ritengo d’essere, come molti di noi, in regola con le leggi di questo Paese. Ho sempre usato una espressione , un pò forte , ma che fotografa la situazione, quando la mortalità è zero allora non hai problemi di sorta, quando vi è una piccola possibilità che ci sia allora devi stare all’erta, prima o poi ti beccano, come si dice volgarmente. Altra cosa, poi, è la certezza della pena, ma questo è altro discorso.

  6. Genesis 26 novembre, 2015 at 06:43

    Pensiamoci un po’…quante volte veniamo fermati ad un posto di blocco e perquisiti…in un anno? Quante volte veniamo fermati durante lo shopping domenicale per una verifica dei documenti?
    Nelle mie peregrinazioni automobilistiche lavorative giornaliere ho fatto conto che in media vengo fermato per un controllo una volta l’anno (a meno di infrazioni conciliate subito). Quando sono a piedi, invece, ho una media di zero volte in tre anni…
    Magari il mio viso appare semplice e buono, la mia grande corporatura, forse, ha un chè di protettivo…ma assomiglianti a me possono esserci mille e più di mille squilibrati (di tutte le razze e credo) che sotto la camicia portano una lama, una Beretta, una cintura esplosiva, una fiala di chissà quale diavoleria chimica…

    Sono d’accordo: controllatemi quante volte volete, vi ringrazierò allo stesso modo delle pochissime volte che m’è capitato, augurando “buon lavoro”…che problema c’è? Ne va della sicurezza di tutti!

    • Gennaro Olivieri 26 novembre, 2015 at 07:41

      Certo Genesis, questo che descrivi è l’andamento normale della vita di chiunque in uno Stato di diritto. Ma abbiamo visto cosa invece comporta lo stato di emergenza degli ultimi giorni nel civilissimo Belgio: scuole chiuse, uffici pubblici chiusi, strade e piazze chiuse a discrezione della polizia, trasporti pubblici fermi, perquisizioni senza mandato, fermi di polizia senza che vengano formulate accuse e senza che il fermato possa avere l’assistenza di un avvocato o possa avvisare i familiari. Converrai anche tu che davanti a un sistema del genere sia difficile pensare “che problema c’è…”

      • Genesis 26 novembre, 2015 at 07:49

        …è chiaro che di fronte ad uno stato d’emergenza come questo, bisogna accettare che vi siano dei “disagi” per chi è innocente ed illibato…
        Per me, ancora, non è un problema: devo prodigarmi a tralasciare parte della mia libertà per la sicurezza della collettività? Sono pronto!

  7. Por Quemada 25 novembre, 2015 at 21:48

    Ma si, cominciamo a preoccuparci anche dei kurdi, così buttiamo altra benzina sul fuoco del medio oriente, e magari salta fuori qualche integralista turco che viene a piazzarci un paio do bombe in casa.
    Le strade che si vdono sopra nelle foto, vuote e presidiate dai soldati, ce le siamo procurate preoccupandoci di tutto, meno che dei problemi di casa nostra; Ackerman dice che ci sarà sempre un altro terrorista? Sicuramente, almeno finchè ce li teniamo in casa.

  8. Jair 25 novembre, 2015 at 19:01

    Dio non voglia che la Francia e il Belgio di oggi siano una prova generale di quanto le società occidentali possono sopportare nel senso della compressione dei diritti civili. Con tutti gli apprendisti stregoni delle Costituzioni in circolazione per l’Europa, c’è da essere molto più preoccupati per le nostre libertà che per le azioni dell’Isis.

    • Gennaro Olivieri 25 novembre, 2015 at 19:43

      vorrei aggiungere: non si pensi che leggi speciali e deroghe ai diritti costituzionali colpiscano solo alcuni gruppi sociali e alcune minoranze (etniche, religiose, linguistiche ecc.) ma lascino salva la maggioranza dei cittadini “normali”. I giri di vite cominciano sempre dagli “anormali” e poi si estendono senza clamore nè proteste.

      • Por Quemada 25 novembre, 2015 at 21:53

        E quindi per non dare un giro di vite sui terroristi, in nome di chissà quali libertà poi, gli facilitiamo il lavoro e gli permettiamo di ammazzarci più facilmente?
        Io che non ho nulla da temere posso farmi controllare anche qualche volta in più dalla polizia.

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