la società

Burqa e burkini

Burqa e burkini

Il burkini, definizione paradossale ma non troppo fantasiosa del burqa da bagno che a volte indossano al mare le donne di fede islamica, è diventato un caso politico e mediatico dopo che alcuni sindaci francesi hanno deciso di vietarlo, incassando il deciso sostegno del premier Manuel Valls.

Certo, la Francia, dopo tutti gli attentati che ha subito è particolarmente sensibile al problema, e anche la meno fondata delle motivazioni, quella relativa all’ordine pubblico, può avere addirittura un minimo di senso, perché in un paese dove si diffonde sempre di più l’equazione fra islam e terrorismo, qualche gruppo di matti che aggredisce in spiaggia una comitiva islamica riconoscibile dalle donne rinchiuse nello scafandro balneare può pure saltar fuori.

Tuttavia il tema, risibile nel caso specifico, perché affrontato in termini di provvedimento amministrativo, ha in via generale una sua dignità, e a dispetto degli interventi più o meno intempestivi e non sempre meditati che sono usciti sulla stampa, compresa quella italiana, merita un qualche approfondimento.
Volendone discutere, a mio parere ci sono almeno due punti fermi, dai quali non si può prescindere prima di azzardare valutazioni e giudizi.

 

Il primo. L’islam radicale coniuga un evidente principio di sottomissione della donna all’uomo, ad un terrore sessuofobico per il suo corpo, che deve essere celato e nascosto perché considerato impuro e peccaminoso; a onor del vero questa concezione caratterizza in minore o maggior misura tutte e tre le religioni monoteistiche, ma negli ultimi decenni le altre due sono state costrette ad abbassare la cresta in nome dei principi dell’89, oltre che delle regole del mercato, cosa che ha praticamente fatto sparire dall’occidente i simboli tradizionali della sottomissione, oltre che una parte non indifferente della sottomissione stessa. Non che non resti molto da fare, ma è sempre meglio di niente.
Questa condizione di inferiorità nel mondo islamico è invece rimasta ed è largamente maggioritaria, non perché siano maggioritari i fondamentalisti, ma perché anche il velo dei paesi più occidentalizzati è un simbolo dello stesso principio, se pure molto più moderato.

Il secondo. Le donne di fede islamica, ovunque nel mondo, si dividono essenzialmente in due categorie, quelle che accettano la sottomissione, unitamente ai suoi simboli, sentendosi protette e rivendicando il fondamentale diritto di scegliere le proprie regole di vita, penso siano la larga maggioranza, e quelle che ne farebbero volentieri a meno, e la subiscono perché non possono fare diversamente. L’unico luogo dove potrebbero “fare diversamente” è l’occidente in cui molte di loro sono emigrate, e quando questo succede, di regola scontano l’ostracismo dalla propria comunità, che non mette in discussione questo principio atavico e lo considera alla stregua di un fondamento identitario, oppure conseguenze peggiori quando un parente ferito nell’onore e nell’orgoglio passa alle vie di fatto: succede di solito con le ragazze musulmane di seconda generazione, che respirano dalla nascita il contrasto fra l’aria della famiglia, anche della famiglia più integrata e tollerante, e quella della società in cui vivono, e spesso si allontanano dalla prima e dai suoi principi.

 

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Le nostre leggi tutelano, non so quanto efficacemente, le donne di fede islamica che decidono di valere quanto un uomo e mostrare il proprio corpo, ma non dicono nulla sul problema più generale, e socialmente ben più importante, della sottomissione accettata volontariamente e magari con gioia, cementata da fondamentali diritti individuali riconosciuti dal nostro ordinamento, dalla libertà religiosa al diritto di fare tutto ciò che non nuoce ad altri, non essendo comprese, fra le cose nocive, lo sprezzo del ridicolo e l’oltraggio al buon senso e al buon gusto.

Per questo, io credo, non sappiamo bene cosa fare di fronte ai burqa e ai burkini che ogni tanto occhieggiano timidamente nelle nostre strade e nelle nostre spiagge, punta di un iceberg molto più grande che abbiamo ignorato fino al momento in cui non abbiamo dovuto fare i conti con il terrorismo e con la paura che ha seminato nella nostra società, ed ovviamente è sempre più difficile sciogliere i nodi mentre scorre il sangue.

 

Il problema non è banale perché si scontrano due principi basilari, quello della libertà religiosa, che è certamente una fondamentale libertà individuale, e il più generale ed astratto principio di libertà, la libertà di tutti intesa come bene primario della società, che si declina anche nell’uguaglianza di tutti, di tutti gli uomini e di tutte le donne, fra loro e di fronte alla legge.
Le fedi sono di sesso maschile, tutte, e sono pure normalmente di rito bossiano, molto macho per intenderci, ha senso che una delle più importanti conquiste della modernità, l’uguaglianza di principio fra uomo e donna, sia trasgredita in modo strutturale e strutturato dentro i nostri confini?

Merita tutela la costrizione delle donne in un ruolo subalterno, anche se liberamente accettata? Merita tutela il simbolo della costrizione? E’ possibile accettare una reale e sostanziale modifica del nostro diritto di famiglia?
In nome di cosa? Della tolleranza antropologica nei confronti del buon selvaggio? Del rispetto dell’ospite? Della diversità culturale? Francamente, la cultura non c’entra nulla, si leggessero Omar Khayyám piuttosto, è solo una banale questione di potere nella sua più becera declinazione, quello di fondamento religioso che fissa arbitrariamente i principi etici, e di un rapporto non risolto con la naturale esigenza umana di un consumo di sesso più frivolo, libero e disinvolto, in particolare da parte delle donne, che sono state costrette con la forza a rinunciarvi, niente di più e niente di meno, e per questo motivo la questione mi pare fondamentale.

 

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Questa “libertà” individuale vale più del rispetto dovuto al fondamento della civiltà occidentale, che è la libertà contemperata dall’uguaglianza? Sul tema sarei contrario ad accettare una concezione hegeliana della storia, e una sia pur semplificata versione della dialettica servo / padrone che trasuda dal diritto di famiglia di fondamento religioso, quello che prevede la lapidazione dell’adultera nelle teocrazie medio orientali e, fino a non molti anni fa, il delitto d’onore nel nostro ordinamento.

 

I simboli hanno una loro potenza intrinseca, scuotono le coscienze e convincono la gente a morire, spesso per futili motivi, non è un caso che Ataturk abbia cominciato dai simboli a laicizzare la Turchia, e a dispetto delle odierne vicende ha ottenuto un risultato spettacolare; l’ha fatto con la forza? Certamente, e penso abbia fatto bene.

I burqa e i burkini sono contemporaneamente delle ridicole barzellette e dei potenti simboli di sottomissione, la peggiore, quella della vittima che si concede al suo carnefice, personalmente non sono favorevole a questo tipo di libertà, almeno fino a quando gli uomini non faranno il bagno col bukini, e solo se accompagnati dalle loro donne, o fino a quando una donna non potrà girare per l’Arabia Saudita scosciata e con le tette al vento.

 

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27 comments

    • Genesis 22 agosto, 2016 at 14:04

      Giusto Luistella…nei miei scritti però cerco di dare un senso al disappunto sul vestiario sperando di far breccia nell’intimo di chi sta cercando (giustamente) di vietarlo…cioè: è sbagliata ogni imposizione a chicchessia…burqa e burkini compresi, ma è giusto che questi anatemi provengano da chi lascia solamente alle stime numeriche il problema violenza sulle donne? Siamo noi che dobbiamo vietare l’uso di questo tipo di gabbie oppure dobbiamo accompagnare chi è costretta ad indossarle verso una ribellione che porterà nuovo sangue? Come lo facciamo…cerchiamo di imporre la laicità a chi della fede (seguita sbagliando) ne fa scopo di vita oppure diamo per scontato che chi arriva nei nostri territori debba sottostare ad altre imposizioni (in questo caso culturali).
      Mi spiego ancora meglio: vietiamo questo tipo di prigioni, poi, però (forse è meglio prima…) cerchiamo di far pulizia nel nostro giardino!

      • Tigra 22 agosto, 2016 at 16:28

        Io credo che si debba vietare e accompagnare, per usare le tue parole, e credo sarà un percorso lungo e fatico, che probabilmente costerà lacrime e sangue, ma se non lo facciamo tutto resterà come oggi.
        E’ chiaro, vanno cercate le soluzioni, il che è anche tecnicamente complicato, perchè il burqa lo indossa la donna, ma quello che va sanzionato è l’uomo, e non è giuridicamente facile come dirlo, ma un problema in più da risolvere non ci esime dalla necessità di risolvere il problema generale.
        Quanto alla necessità di far pulizia nel nostro giardino, credo che gli strumenti giuridici esistano, e se sono insufficienti li possiamo adeguare, quelli che mancano sono gli strumenti educativi e culturali, e anche per questo servono generazioni.
        Facciamo tutto quello che è necessario, politicamente e civilmente, nelle scuole e nei tribunali, attraverso le istituzioni e le forze dell’ordine, nelle famiglie e nelle nostre personali regole di comportamento, nei partiti e nelle associazioni; se faremo tutto questo forse il risultato verrà.

      • Por Quemada 22 agosto, 2016 at 17:32

        Facciamo pure pulizia a casa nostra, ci mancherebbe altro, ma quelli che vengono qui col burqa non si possono integrare, e oggi non ci sono le condizioni per occuparsi di loro.

          • Por Quemada 22 agosto, 2016 at 22:17

            Guarda, l’Italia non ha subito attentati terroristici perchè si è tenuta lontana dai guai, e per come siamo attrezzati per affrontare le emergenze secondo me è meglio così.
            Aprire un fronte interno sul burqa, oggi, con tutti gli integralisti che ci sono in giro, mi pare una follia, coi principi sono bravi tutti, ma poi ci sono i problemi pratici, e questi non li risolve nessuno.
            Evitiamo di farci del male inutilmente.

          • Por Quemada 23 agosto, 2016 at 08:14

            Scusa, hai ragione, le mie sono tutte fantasie, sono stati gli aerei italiani che hanno bombardato la Libia deteminando la caduta di Gheddafi, e siamo sempre noi a sostenere militarmente Assad e i curdi contro l’Is; difatti dobbiamo solo ringraziare i nostri servizi segreti e le nostre molte polizie che arrestano frotte di attentatori islamici in viaggio verso l’Italia, ancor prima che arrivino.
            Fantasie…

        • Genesis 23 agosto, 2016 at 12:20

          Vedi, PorQuè, le fantasie sono quelle che, come scrivi anche tu, noi non centriamo nulla nè sulla questione Gheddafi che questione Assad e primavere arabe varie…centriamo e anche molto in primis con la vendita degli armamenti a chicchessia senza verificarne la bandiera e in seconda istanza con quelli che sono gli accordi con NATO e EU che ti sfido di conoscere nei dettagli…
          La nostra intelligence è tra le più radicate sul territorio proprio e su quello estero. Ti sei forse domandata quale sia il motivo degli attacchi in Belgio e in Francia e non nello Stato del Vaticano (estero anch’esso, ma italianissimo visti i patti lateranensi del 1929) e men che meno sul resto del territorio…è perchè noi italiani ci siamo modificati nella Svizzera mediterranea oppure per altro…?

  1. Genesis 22 agosto, 2016 at 06:42

    Una donna su tre (circa 6 milioni e 788mila persone) ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nel corso della vita. La percentuale è il 31,5% delle donne italiane fra i 16 e i 70 anni. Il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% (un milione e 157mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652mila) e il tentato stupro (746mila).

    Questi sono i dati al 2014…inerenti le vittime di violenza. Oggi è migliorato un pochino…tenendo conto che le vittime (morti) ad oggi sono circa sessanta. Il 99% di queste morti sono di donne italiane vessate da ex fidanzati o coniugi. Non c’è Burqa, dunque, c’è solo la mera repressione del maschio sulla femmina e, soprattutto a mio avviso, il menefreghismo della società.

    • Kokab 22 agosto, 2016 at 08:56

      non è che siccome c’è la violenza sessuale non c’è il burqa; piuttosto è facile che la violenza del marito, sulle donne col burqa, use ad aprir le gambe tacendo, volenti o nolenti, non rientri affatto nella statistica.
      e lasciarlo vivere, il burqa, vuol dire girare la testa dall’altra parte. lo stupro è una violenza odiosa, ed anche la violenza morale quotidiana lo è, lo è in modo drammatico, e girare la testa dall’altra parte per avere qualche grana in meno è anch’essa una forma di menefreghismo.
      non raccontiamoci chiacchiere, dietro il burqa, e anche dietro il velo, erdogan docet, si nasconde idealmente la lapidazione dell’adultera.

  2. Kokab 21 agosto, 2016 at 16:19

    avevo dato al mio scritto una impostazione di carattere generale, cercando di approfondire i principi e tenendomi il più possibile lontano dalla contingenza presente, ma vedo che il dibattito, forse inevitabilmente, si è sviluppato anche in quella direzione, alla quale non intendo comunque sottrarmi.
    io credo che ci sia stata una singolare intempostività nella decisione francese, perchè se è vero che in francia la laicità dello stato è presa molto sul serio, credo di più che in qualsiasi altro paese occidentale, è anche vero che i sinboli della prevaricazione, in nome della libertà individuale, sono stati pacificamente ammessi per decenni: vietarli oggi, nel contento di un confronto sanguinoso, può anche essere giusto, ma ha un costo sociale, poliico, e immagino anche di vite umane, bisogna saperlo e bisogna essere disposti ad accettarlo, cosa tutt’altro che ovvia e scontata.
    visto che non abbiamo affrontato il problema quando era più facile, come (quasi) sempre, bisogna affrontarlo ora che è difficile, e sarebbe meglio affrontarlo in europa, non in francia o in italia, perchè nell’epoca della globalizzazione e delle migrazioni di massa è un problema dell’occidente, e non di un singolo paese.
    con tutte le cautele e le attenzioni del caso, che investe comunque le coscienze delle persone e il ruolo delle istituzioni, io credo che i simboli della sottomissione della donna, che nascono con natura religiosa, ma si sviluppano poi in un contesto civile, andrebbero vietati senza eccezione.
    le donne che soprattutto nell’ultimo secolo hanno combattuto per la loro liberazione ed emancipazione non lo hanno fatto in conto proprio, ma lo hanno fatto per tutte le donne e per tutti gli uomini dei paesi in cui questa battaglia è stata combattuta, e oggi la loro conquista è, oltre ad un ovvio diritto naturale (per ambigua e limitata che sia questa definizione), anche una legge dello stato, che deve valere per tutti coloro che vivono qui.
    io sono favorevole all’accoglienza di tutti, penso che le società aperte e multietniche siano le migliore, ma ci sono dei vincoli civili e culturali ai quali non è possibile derogare.
    io credo bastino i principi per giustificare questa scelta, e credo si debba pure pagare lo scotto necessario, ma i limiti alla libertà personale che subiscono le donne di fede islamica, e non mi interessa se li subiscono di loro volontà, potrebbero anche avere rilevanza penale, come pure le lesioni del principio di uguaglianza.
    non può succedere qui e non può succedere ora.

    • Genesis 21 agosto, 2016 at 22:21

      …ma secondo te Kobab, finché la società si indignerà di un vestito ma farà sempre spallucce pensando ai cavoli propri di cosa sono le urla e le botte che si sentono dall’appartamento a fianco, pensi che una legge che vieti l’abuso di autorità del marito (che già esiste) risolva qualcosa? Anche l’abuso non violento dello stesso corpo della donna è regolamentato…ma ce ne freghiamo tutti, soprattutto noi ometti, sbavando davanti ad un seno rubato…

      In merito all’imigrazione…ora siamo nella fase della tolleranza, molto incrinata ma di tolleranza si parla…quanti decenni passeranno per una vera convivenza? Nella mia regione ci sono voluti quasi settant’anni per far convivere pacificamente due culture di ceppo europeo, nate dalle stesse rocce…per decenni tolleranti, ma razziste nei confronti dell’altro…come si riuscirà a far convivere due culture agli antipodi giacché la tolleranza attuale è sul filo di una katana affilatissima? La paura del terrorismo, poi, fa lordare quanto di buono è stato fatto…
      Ah, giusto, si deve parlare di integrazione…e visto che è casa nostra, devono comportarsi come noi, cioè….

      • Kokab 22 agosto, 2016 at 00:20

        secondo me le botte, la violenza e il femminicidio sono la prosecuzione del burqa, e cioè dell’umiliazione e della sottomissione della donna, con altri e più radicali mezzi; la società faccia pure quel che crede, lo stato punisce botte, violenza e femminicidio, che punisca anche il burqa.
        anche da noi la moglie era sottomessa al marito in modo esplicito fino a pochi decenni fa, e in modo implicito in molti casi lo è ancora oggi; abbiamo fatto un piccolo pezzo del percorso, salvaguardiamolo, perchè dobbiamo tornare indietro? perchè far vivere delle sacche di resistenza del maschilismo più becero e brutale?
        e guarda che su questo tema il benaltrismo è pericolosissimo, il burqua è contemporaneamente il simbolo e la sostanza della sottomissione, non è un semplice vestito, va cancellato dalla faccia della terra, fra l’altro perchè esistono pure donne che lo indossano con gioa. ci vuole tempo? certo che si, il kemalismo, con sessant’anni di dittatura e autoritarismo, ha laicizzato un po’ meno della metà della turchia, mica tutta, non illudiamoci di poterlo fare con le buone, nessun cane molla l’osso se non glie lo strappa un cane più grosso.
        quanto all’immigrazione, io ho un grande rispetto per la cultura islamica, per centinai d’anni è stata quella più avanzata e sofisticata del mondo, ne conosco delle parti sostanziose e l’ammiro, ma considero la fede islamica radicale, non una scemenza, ma un puro e semplice crimine, e a tal guisa è considerato, sotto diversi aspetti, anche dal nostro codice penale; che entrino nel nostro paese gli “arabi”, una volta si diceva così, che costruiscano le loro moschee e preghino il loro dio, che si mischino con noi, ho sempre considerato la nostra pelle troppo chiara, il burqa, cortesemente, che lo buttassero nel cesso, non perchè è islam, ma perchè è, in sè, una indicibile violenza: ricordiamocelo, non sarà più semplice convivere se consentiremo l’uso del burqa, o la segregazione in casa della donna, sarà più difficile.

  3. Luistella 21 agosto, 2016 at 14:47

    Per motivi tecnici non posso usare il Pc, per cui mi resta difficile farlo con lo Smart pone. Ma ci provo. Il Burkini è un’ imposizione alla donna. Che poi ad alcune possa piacere, ammesso che sia vero, e di secondaria importanza. Con il discorso delle suore non c’entra. Queste ultime hanno fatto una scelta religiosa di vita e si adattano ad un tuo di comportamento. Inoltre le foto delle suore che circolano sul web sono foto di 4 decenni fa. Se una suora vuol farsi un bagno o seguire dei bambini in acqua, si mette in costume. Il Burkini è stato disegnato da una stilista australiana. È un ennesima privazione a cui viene sottoposta la donna: quella più naturale, di usufruire del benessere derivante dai bagni in mare e dei benefici del sole.Abbiamo visto come sono state contente le donne nelle città liberate dall Isis, a bruciare e calpestare lo scafandro che dovevano indossare! Consiglio a tutti una lettura di un articolo di Giuliana Sgrena , e di un altro del Corriere della sera del 16 . 8. Mi viene difficile riportare i link col telefono Mi irrita e non poco , l atteggiamento di una parte della sinistra ed anche e soprattutto, di alcuni siti che si battono per i diritti delle donne, che quasi o anche senza quasi, giustificano questo tipo di comportamento . Secondo me i divieti dei sindaci diFrancia, hanno un valore simbolico che trovo giusto. Nizza ha subito una strage in un momento di festa nazionale. Per quale motivo , visto che li il fenomeno del B. è abbastanza diffuso, la Francia non può dire che si rifiuta di vedere imporre ( perché così è) un simbolo di maschilismo che inevitabilmente induce a far pensare ai luttuosi fatti recenti, frutto di un integralismo radicalizzato? Le spiagge sono francesi, europee, se ne usufruisci,per favore, usa un modo civile. Che non è solo quello di gettare cicche e i carte per terra, ma è anche quello di non mostrare la sopraffazione , l imposizione di stili di vita ed abbigliamento Ale donne.

  4. Genesis 21 agosto, 2016 at 10:00

    Non credo che si possa giudicare con la mentalità europea un’usanza di popoli cui non se ne conoscono gli usi…soprattutto dando l’insanità mentale a chi si veste con abiti scuri. Chiedetevi, se volete, come mai i Tuareg si avvolgano il capo con capi scuri (blu) o come mai si vestano in nero cavalcando le navi del deserto…mi pare che sul deserto (non ci sono mai stato, ma leggendo qua e là…) non sia poi così freddo!
    Può esserci il maggior filosofo mondiale che promulga epiteti nel linguaggio che è abituato ad usare (quello comprensibile da pochi eletti…quindi il discorso è mosso solo verso quella stretta cerchia di “sapienti”…) e, purtroppo, sgambettare lo stretto filo comune che si sta costruendo in merito alle rivoluzioni sociali che ancora devono nascere.

    Posso fare un esempio storico in merito a questo voler promuovere una accelerazione verso le società che si ritengono arretrate rispetto a quella occidentale; ce ne sono molti, io uso questo:
    scoperta l’America, si notò che le genti autoctone risultavano legate ad un paganesimo imperante. Dio volle che fossero convertiti a forza verso il nostro comune credo e civiltà evoluta. Peccato che alcuni non volessero lasciare le proprie tradizioni, le proprie culture, i propri usi e costumi…bruciarono tutto, persone comprese…
    Oggi, forse, non operiamo in questo modo…anche se uccidiamo meno, lasciamo che la gente sopravviva cercando comunque di educarla a senso unico.

    Quello che penso in merito al vestiario è che se la donna musulmana vorrà, dovrà battagliare contro il proprio popolo per ottenere l’emancipazione cui ha decisamente diritto. Noi possiamo solamente arbitrare le eventuali dispute sul nostro territorio (magari dandole una manina di nascosto…). Le nostre immigrate hanno la possibilità di vedere come si vive all’occidentale…e fare ciò che le nostre donne hanno sudato, sanguinolente, solamente nel secolo scorso e stanno sudando ancora oggi…vedi le centinaia di femminicidi cui stiamo assistendo a volte facendo spallucce perché dobbiamo farci i cavoli nostri…

    • M.Ludi 21 agosto, 2016 at 12:22

      Visto che siamo in Europa, non credo si debba e si possa ragionare con la mentalità del tuareg (a me, almeno, rimane assai complicato), per cui insisto: al mare vestiti di nero si scoppia di caldo 🙂

  5. M.Ludi 20 agosto, 2016 at 23:11

    Non credo che esista donna sana di mente che scelga di andare in spiaggia completamente coperta (per di più con abiti di colore scuro), quindi, se ne esistono, necessitano di robusti trattamenti psichiatrici. Detto questo credo che la scelta della Francia sia stata stupida perchè, in un momento di forte tensione interna dovuta ai recenti episodi terroristici, questo provvedimento rischia di peggiorare le cose per una questione di mero principio che non renderà le donne presenti sul territorio francese più libere di fare delle scelte ma, molto semplicemente, impedirà loro di recarsi sulla spiaggia. Come al solito l’Europa si muove in ordine sparso senza alcun coordinamento ne decisione condivisa; eppuro questo sarebbe un tema decisivo per definire chi veramente vuole venire a vivere in Europa e suggerirebbe a molti integralisti di starsene a casa loro. In tutto questo non ho capito che cosa accade se, in Francia, una suora cattolica va in spiaggia con la tonaca

  6. Scan 20 agosto, 2016 at 19:05

    faccio mia questa affermazione di paolo flores d’arcais, da un suo articolo:

    Il burkini e il burqa sono due simboli di rapina conclamata ed esibita contro le donne nei loro diritti civili individuali — tra cui una stessa identica libertà sessuale con l’uomo — ricamati in ogni costituzione democratica. Consentirla significa avallare e mitridatizzarsi visivamente a questa ripugnante diseguaglianza tra i sessi. Tanto più urgente da sradicare con inesausto impegno educativo/repressivo, perché ancora allignante in troppi comportamenti e fondali psichici di troppi maschi occidentali.”
    per chi volesse leggerlo tutto: http://temi.repubblica.it/micromega-online/perche-e-giusto-vietare-il-burkini/

    • Tigra 20 agosto, 2016 at 20:45

      Sottoscrivo integralmente, aggiungo anche che capisco molto poco certe forme di accondiscendenza da parte della sinistra nei confronti di questa barbarie medioevale, come se non fossero passati solo pochi decenni da quando in Italia siamo riusciti a rimuovere il retaggio della sottocultura clericale.
      I burqa e i burkini sono una vergogna anche per noi.

  7. Por Quemada 20 agosto, 2016 at 10:34

    Sarà anche vero che il burkini è ridicolo e ingiusto, ma vi sembra il caso di andarea a cercare delle altre grane con tutti gli islamici che abbiamo sparsi per l’Europa, che non si fanno sfuggire un’occasione per farci un po’ di guerra, calda o fredda che sia?
    Del burkini parleremo quando ci saranno meno problemi, oggi mi sembra un dibattito assurdo; fra l’altro è persino utile per riconoscere a prima vista i fondamentalisti.

    • Jair 20 agosto, 2016 at 12:42

      Stavolta devo darti ragione: mettere un divieto di burkini in Italia, sulle cui spiagge non si segnala nessun avvistamento di questo strano indumento, sarebbe un atto solamente provocatorio che susciterebbe giuste proteste da parte di una comunità di fedeli che si sentirebbe sotto un’accusa… preventiva di oscurantismo, misoginia e quant’altro.
      Sul divieto adottato da alcuni sindaci francesi, alcune delle cose che sostengono Valls e anche Merkel sono condivisibili, e sono quelle che ritroviamo nei ragionamenti del pezzo di Kokab; altre mi paiono invece inaccettabili. Francamente inaccettabile e incomprensibile mi sembra la tesi del premier francese, che bisogna salvaguardare le spiagge e qualsiasi altro luogo dalle rivendicazioni religiose. Seguendo la logica di questo pensiero, bisognerebbe allora vietare di indossare ovunque qualsiasi simbolo di qualsiasi religione, o qualsiasi abbigliamento (dalla catenina col crocifisso al clergyman ai pittoreschi copricapi degli ebrei ortodossi) che identifichi chi lo porta come seguace di una qualsiasi religione.

  8. Genesis 20 agosto, 2016 at 09:03

    Riporto un mio pensiero postato in FB inerente al tema proposto, ricordando quanto siano vicine temporalmente le lotte delle “nostre donne” nei confronti di un machismo ancora troppo radicato nella nostra civiltà liberale…
    Trattasi dei continui assillanti inviti al dibattito proposti per ogni dove, cercando anche le differenze tra quel coprirsi e l’abito obbligatorio delle spose di Gesù, le suore, che da pochi mesi, con l’attuale Papa, si cerca di togliere dal relegato mondo religioso femminile.

    Tanto cianciare sul Burkini, Burka, Niqab ed il velo delle suore…
    Non c’è una differenza sostanziale…è comunque un’usanza che nasconde la donna che ne fa uso allo sguardo famelico dell’uomo che, maschio, cerca di ampliare il suo harem sempre e comunque…
    Altra cosa è la violenza perpetrata sulla donna che non vuole farne uso o la violenza del “maschio” proprio perché quello di violento è il suo essere. Questo dobbiamo combattere, la violenta repressione della libertà di chiunque!
    (punto)…e sotto suggerimento, e basta!

    • Tigra 20 agosto, 2016 at 10:15

      Se posso azzardare una osservazione, di fronte allo sguardo famelico del maschio, e ai suoi comportamenti conseguenti, compreso il sottrarre la propria donna allo sguardo degli altri, la soluzione non sta nel coprire la donna, ma nello strappare all’uomo gli strumenti e i simboli della virilità.
      Quanto alle spose di Gesù, oltre al problema della copertura abbiamo anche quello della castità, il che raddoppia la posta.
      No Genesis, onestamente non mi sembrano ciance quelle su burkini, burqa, niqab e veli vari…

      • Genesis 20 agosto, 2016 at 10:33

        Il senso del mio scritto è proprio quello, Tigra!
        In quanto alle suore…la motivazione storica del velo è la medesima dell’afgano Burka e all’arabo Niqab. Per la questione “castità” siamo d’accordo, ma credo che in questo contesto sia alquanto fuori luogo visto che (teoricamente) dovrebbero essere casti anche i preti et similia, per i canoni cattolici…cosa che è ben al di fuori da ciò che insegnava il Gesù cui si fa fede!

        • Tigra 20 agosto, 2016 at 10:53

          Allora non avevo compreso il senso del tuo commento, o almeno di una sua parte.
          Quanto alla digressione sulla castità, forse me la potevo risparmiare, ma è stato un riflesso condizionato: ammetto che il mio modello di monaca è quella di Monza.

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