le storie

Cartesio e la sua regina, altera e crudele

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La regina Cristina di Svezia volle Descartes a corte per apprendere il suo pensiero ma lo lasciò morire al gelo. La sovrana odiava il matrimonio, amò una dama e un cardinale, governava come un maschio e detestava il potere in mano alle donne, che riteneva deboli e ignoranti.

di Maria Antonietta Macciocchi

“La conoscenza è spesso al di là delle nostre forze e per questo non resta che la nostra volontà di cui possiamo assolutamente disporre. Mi resta da provare che è dal buon uso del libero arbitrio che viene la più grande e solida felicità’ della vita… Ometto tante altre cose, immaginando come Vostra Maestà sia impegnata negli affaires che si incontrano nella direzione di un grande regno…”.
Con infinito rispetto e ammirata devozione cosi’ Cartesio scriveva alla Regina ventenne, il 20 novembre 1647.

Ragione, volonta’ , buon uso del libero arbitrio, dubbio metodico, tanti punti filosofici chiave, che Cartesio si propone di sviluppare nel suo insegnamento filosofico alla singolare scolara, che e’ niente di meno che Sua Maesta’ la Regina Cristina di Svezia, prima di accettare il suo invito a recarsi a Stoccolma. Si tratta di quattro lettere e di due dissertazioni che abbiamo ora la felicita’ intellettuale di leggere dopo vari secoli, per delineare il rapporto tra la Regina e il filosofo (appartengono ai documenti del fondo Descartes di Stoccolma appena raccolti in volume per le edizioni della Biblioteca Nordica da Franois Raymond, che ha curato anche per l’ editore Cerf  “La vita della Regina Cristina scritta da lei stessa: dedicata a Dio”, autobiografia della sovrana scritta nel 1681 e lasciata incompleta, pubblicata solo in parte nel 1751 e ora ristampata per la prima volta insieme a 1.500 massime della stessa Cristina, n.d.r.). Nell’ ottobre del 1649 Cartesio aveva deciso di lasciare Egmond, nei Paesi Bassi, dove si era rifugiato per sfuggire all’ accanimento dei dogmatici filosofi scolastici. Aveva tentennato, esitato, prima di intraprendere quella spedizione nel gelido Nord, come provano le sue lettere a Pierre Chanut, l’ ambasciatore francese in Svezia, che faceva da intermediario con la sovrana. Il cinema, nel famoso film di Mamoulian (1933), ha dato a Cristina il morbido volto di Greta Garbo, i suoi occhi luminosi sgranati, immaginando la giovane sovrana romantica amante di un diplomatico spagnolo impersonato dal virile John Gilbert, adorante la superba dea dal corpo statuario.

 

In verita’ Cristina non fu mai bella, ma legnosa come un soldato e matronale da anziana. A Cristina ripugnava il matrimonio: “L’ amore e il matrimonio sono incompatibili”, scrive nelle Massime. Al rapporto fisico con l’ uomo (anche se invidiera’ le dame francesi che sapevano “servirsi dello strumento maschile”) forse prediligeva quello con le donne, come la timida e stupenda Ebba Sparre, che nell’ inverno del 1654 a Uppsala presento’ all’ ambasciatore d’ Inghilterra, cosi’ : “E la mia compagna di letto”. E aggravo’ la gaffe, aggiungendo: “E bella d’ animo come di corpo”. Solo a Roma, forse, incontro’ il vero amore in un uomo, il cardinale Decio Azzolino, in una relazione passionale e duratura tanto da scrivergli: “Voglio vivere e morire schiava vostra”. L’ Europa fissava affascinata quella Regina ventenne, che si vestiva da uomo, detestava il matrimonio, cavalcava fino allo sfinimento, praticava le esercitazioni militari. Non sopportava di restare a tavola per i pasti piu’ di un quarto d’ ora, dormiva poco, e talora bestemmiava come un soldataccio. Il grande Carlo Gustavo, il suo regale padre, aveva impedito alla moglie Maria Eleonora di occuparsi dell’ educazione della figlia, che aveva egli stesso allevato, anche nel fragore delle armi. E in battaglia il padre mori’ , lasciandola a sei anni, figlia unica dell’ eroe della Svezia, erede assoluta dello Stato. Ma lei detestava il potere in mano alle donne, per la loro ignoranza e la debolezza del loro spirito, come dira’ nelle Massime.

 

 

Poi arrivo’ l’ incontro eccezionale, quello con la filosofia del piu’ celebre pensatore e matematico d’ Europa, Rene’ Descartes (Cartesio). Lo volle con prepotenza alla sua corte, colma di scienziati luterani da cui sarebbe stato certo contestato, e visto di mal occhio. Cartesio esitava. Se ne era andato dalla Francia per una ventina d’ anni, come scrive all’ amico Pierre Chanut (1649), perche’ li’ “mi volevano tenere solo come un elefante o una pantera, a causa della rarita’ , e non per essere utile a qualcosa. Ho viaggiato per venti anni con cattivi successi…”. Sarebbe stato “rapito di felicita’ all’ idea di essere utile alla Regina”. Avverte la richiesta di Cristina quale un ordine (lettera del 31 marzo 1649), convinto, come ha scritto nella Sesta parte del “Discorso sul metodo“, di potersi fare propagandista delle proprie idee per “illuminare lo spirito dei regnanti”. Tuttavia prova turbamento non tanto per l’ ingegno filosofico della Regina “molto saggia e lungimirante” ma per il suo entourage e teme, come fondatore di una filosofia della ragione e di una scienza matematica che sovvertono il sapere europeo, di offrire pretesto a discorsi che possano arrecarle danno. In verita’ ha un altro imbarazzo: quella Regina e’ sempre freneticamente occupata, e si chiede in cuor suo se l’ amore filosofico e’ per lei un capriccio passeggero. Alla fine accettò.

 

Sbarco’ a Stoccolma il 4 ottobre, “con una parrucca a boccoli, delle scarpe che si arricciavano a mezzaluna sulla punta, e guanti foderati per la neve”. Cristina lo ricevette all’ indomani dell’ arrivo. La Regina era di buonumore, e gli espresse il desiderio di farlo restare per sempre in Svezia, di riceverlo tra la nobilta’ , e di dotarlo di terre. Cartesio, pur ringraziando, rifiuto’ . Cristina volle subito stabilire il ritmo e l’ ora degli incontri per apprendere la filosofia e gli comunico’ di recarsi da lei al Castello al piu’ stupefacente degli orari: le cinque del mattino, nella sua biblioteca, perche’ era il tempo per lei piu’ libero e sgombro dagli affari di Stato. Non teneva conto del freddo cane, con quelle acque invernali ancora tutte ghiacciate a mezzogiorno: anzi le pareva un favore perche’ lei amava cavalcare, ancora nel buio, prima del lucore dell’ alba. Gli accordo’ solo di cominciare le lezioni dopo un mese, perche’ egli potesse prima acclimatarsi!… A Cartesio lei fa “buona impressione”: “Ha piu’ virtu’ di quello che la sua reputazione non le attribuisce”. E afferma in altre lettere che “la Regina ha spirito alto e eccellente”, per cui “l’ ammiro e la rispetto sempre di piu’ ; conosciuta come l’ ho, lontana da tutte le debolezze del suo sesso e dominatrice delle sue passioni”. Tuttavia si interrogava sempre sulle vere preoccupazioni di questa giovane donna e sulle possibilita’ di iniziarla alla filosofia e se la politica le lasciava la mente disponibile per la speculazione filosofica. Cartesio meditava di conciliare in lei il pensiero e l’ azione.

 

René Descartes

 

Cristina (forse per non irritare i luterani possenti che riempivano la corte) non aveva ospitato regalmente il filosofo. Cartesio era andato ad abitare dall’ ambasciatore di Francia, ospite di quella famiglia, in una solida casa a quattro piani, ornata di balconi, ma l’ edificio stava alla periferia, in un sobborgo congelato. Sente la solitudine e scrive: “La Regina e’ sempre occupata e tra novembre e dicembre non l’ ho vista che quattro o cinque volte alle cinque del mattino nella sua biblioteca”. A quell’ epoca, Cristina preparava la sua incoronazione a Uppsala da cui non torno’ che il 15 gennaio. Intanto Cartesio, sospettato di distrarre Cristina dalle sue occupazioni di capo dello Stato, si sfoga scrivendo: “Non intendo parlare di niente, perche’ mi sembra che i pensieri degli uomini si gelano qui durante l’ inverno cosi’ come le acque”. Al ritorno della Regina incoronata, ripresero gli incontri filosofici. Nell’ oscurita’ delle mattine gelate Cartesio saliva a piedi al Castello e ascendeva i 115 gradini per giungere all’ appartamento regale. Le membra gli si scongelavano nella Biblioteca ma al ritorno nell’ appartamento di periferia ritrovava l’ aria ghiacciata come una lama dello spietato febbraio. La filosofia non preserva dalla polmonite! Al ritorno da una lezione filosofica fu colto da una febbre altissima con infiammazione ai polmoni. Il medico della Regina era assente e Cristina ordino’ a un dottore olandese, Weulles, capo della fazione luterana e nemico giurato di Cartesio, di recarsi al suo capezzale, ma quello prese tempo e lo visito’ solo al terzo giorno. Gli voleva cavare sangue per un salasso, ma Cartesio si oppose con furia: “Voi non avrete il sangue d’ un francese… se devo morire moriro’ con piu’ sollievo se non vi vedo piu’ “. All’ ottavo giorno Cartesio ricevette un sacerdote dell’ ambasciata di Francia. Il giorno dopo mori’ . Era l’ 11 febbraio 1650, esattamente le quattro del mattino. Aveva 53 anni e 10 mesi.

 

La tradizione vuole che la giovane Regina restasse insensibile, anche se molti affermavano che essa avesse contribuito alla sua morte gettandolo per strada a piedi all’ alba per una lezione filosofica, come scrisse al ministero degli Esteri il segretario dell’ ambasciata francese. Quattro anni dopo, la Regina abdicava, prima di andare a Roma per gettarsi ai piedi di papa Alessandro VII, che la ospito’ in Vaticano. L’ ingresso fu trionfale e Cristina col suo seguito passo’ sotto il grandioso portale in marmo e pietra ideato da Bernini, che cinge piazza del Popolo da un lato. La convertita aveva 28 anni. La sua abiura al luteranesimo era un evento di portata internazionale enorme e sconvolgeva i vecchi equilibri europei a favore di Roma, anche di fronte all’ incalzare dell’ impero ottomano. Forse il vero frutto della maturazione spirituale era nato dall’ incontro antelucano col pensiero di Descartes. A Roma, condusse una vita da regina, anche se senza trono. Con Decio Azzolino, cardinale alto, bello e vigoroso, che divenne segretario di Stato, cerco’ anche di influenzare i Conclavi.

 

Da Roma viaggio’ senza posa. Soprattutto in Francia. Si macchio’ di un crimine efferato, mentre soggiornava presso Luigi XIV, a Fontainbleu, facendo assassinare il suo scudiero Monaldeschi (ottobre 1657) perche’ l’ aveva tradita. Leibniz cerco’ di spiegare la crudelta’ della Regina, scrivendo: “Hanno imbottito il suo cervello di cognizioni: ma nessuno le ha mai insegnato ad amare”. Eppure amo’ un uomo, quel bel cardinale che si lamentava spesso dei suoi eccessi erotici. Spinta da lui, aveva scritto l’ Autobiografia e redatto le 1.500 sentenze. Quando morì lo nominò erede universale. Ma il cardinale spiro’ due mesi dopo lei. Cristina aveva 62 anni e le sue spoglie furono inumate in San Pietro per ordine del Pontefice.

 

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