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Una bella catastrofe era proprio ciò che ci voleva

Una bella catastrofe era proprio ciò che ci voleva
Crolla un ponte, decine di vite spezzate, una tragedia per una città urbanisticamente difficile come Genova, troppi interrogativi senza risposta e lo stesso vomitevole spettacolo di sciacallaggio al quale abbiamo sempre assistito in analoghi eventi nel corso degli anni.

In mezzo a decine di sciocchezze amplificate dalla propaganda politica sui social, ogni tanto si trova qualche barlume di ragionamento che proverò a sintetizzare:

 

1) Concessioni pubbliche: è uno degli argomenti più spinosi e nel tempo ha suscitato numerose polemiche per presunti favori, di volta in volta a vantaggio di questo o quel gruppo economico assegnatario. Partiamo da un dato di fatto: le privatizzazioni (delle quali le concessioni pubbliche sono una stretta derivazione) sono state frutto della constatazione del fatto che il pubblico non sa gestire i propri beni in termini di efficienza. Il concessionario privato, di contro, è riuscito spesso ad ottenere condizioni vantaggiose e non sempre ha mostrato di ottemperare puntualmente agli impegni presi, risparmiando sugli investimenti e massimizzando così i profitti; lo abbiamo visto spesso dopo molte delle tragedie ferroviarie, lo vediamo ancora oggi dopo il crollo del ponte Morandi, anche se le cause sono lontane dall’essere state ancora accertate e si sono formulate solamente ipotesi.

 

I P.d.C. Berlusconi e Prodi con i rispettivi ministri dei trasporti ed infrastrutture,    Pietro Lunardi e Antonio Di Pietro.

 

In particolare sulla concessione della rete autostradale fatta a suo tempo a favore di Atlantia (di cui Autostrade per l’Italia fa parte ed il cui controllo è della famiglia Benetton), sono sorti numerosi dubbi, sia perché a lungo i termini sono stati coperti da un incomprensibile “segreto”, sia in quanto è stato più volte evidenziato che lo stato di manutenzione delle nostre autostrade non sembra attestarsi al livello minimo che un simile accordo (molto remunerativo per la concessionaria) dovrebbe comportare.
A chi ha già trovato i responsabili in coloro che firmarono la concessione, occorre ricordare che il processo di definizione degli accordi è durato diversi anni e per successivi step coinvolgendo in pieno sia i Governi Berlusconi (appoggiati dalla Lega) che quelli guidati da Prodi; questo sembrerebbe dare fiato alle polemiche del Movimento 5 Stelle, il quale da tempo va dicendo che il bipolarismo in effetti non è mai esistito, ma si è avuta solamente un’alternanza soft di interessi convergenti. Io credo che, al contrario, si sia trattato di operazioni lunghe e complesse, sulle quali è difficile ipotizzare che un Governo appena insediato possa mettere sempre in discussione l’operato di chi lo ha preceduto. Le legislature durano 5 anni e determinano la necessità di una qualche continuità amministrativa; che poi Di Pietro (autore della segretazione) abbia avallato nel 2007 eventuali “porcate” studiate da Berlusconi sino a pochi mesi prima senza battere ciglio, mi pare un azzardo, ma credo che, a questo punto, avremo modo di capire come sono andate veramente le cose.
In linea generale direi che ogni serio ragionamento sull’argomento possa essere fatto solamente prendendo a riferimento i bilanci delle attività date in concessione, quando ancora erano in piena gestione dello Stato, con quelli dopo la firma delle concessioni: probabilmente scopriremmo che la manutenzione costava meno solamente perché le opere erano più giovani, e tutti gli anni comunque lo Stato doveva metterci dei soldi, mentre oggi ne incassa: pochi? Tanti? Non lo so!
Fare di meglio è sempre possibile ma occorre anche ricordare che Atlantia opera in diversi paesi del mondo (tra i quali la Francia, la Spagna ed il Brasile) con ottimi risultati e senza tutte quelle polemiche che da sempre si agitano in Italia, almeno a quanto mi risulta; ricordiamoci anche che non risulta ci fosse la coda per ottenere quella concessione, almeno non con le garanzie finanziarie che la famiglia Benetton seppe assicurare al tempo.

 

Claudio Scajola e Silvio Berlusconi

 

2) La costruzione del ponte crollato risale alla metà degli anni sessanta quando si volle sperimentare una tecnica (quella degli stralli in cemento armato) inusuale e, con il senno di poi decisamente peggiore di quella comunemente utilizzata dei cavi di acciaio. La scelta ha determinato il lievitare costante delle spese di manutenzione, e nel frattempo si sono anche fatte scoperte ulteriori in campo ingegneristico che hanno modificato le tecniche progettuali dei plinti di appoggio per ottenere una migliore stabilità delle opere. Insomma il tempo trascorso ha fatto comprendere che erano stati fatti errori strutturali che avrebbero limitato la vita operativa del ponte, soprattutto in considerazione dei crescenti carichi ai quali la struttura era quotidianamente sottoposta rispetto a quelli consueti all’epoca della progettazione. Non c’erano imminenti avvisaglie dell’evento catastrofico, ma evidentemente i difetti di progettazione, l’utilizzo intensivo e le condizioni atmosferiche straordinariamente avverse hanno causato il “cigno nero” (Taleb Nassim ndr).

 

 

 

3) Da anni si dibatte nella città di Genova sull’opportunità di procedere alla costruzione di una rete viaria che consenta un’alternativa (specialmente per il traffico pesante) al Ponte Morandi, e nel contempo ne consenta la messa in sicurezza. I progetti susseguitisi nel tempo hanno portato alla ricerca, da una parte al  coinvolgimento della popolazione interessata sulla necessità di procedere all’opera, e dall’altra al reperimento di finanziamenti che sarebbero stati interamente in capo ai privati. Mentre il progetto procedeva con speditezza e la società concessionaria aveva stanziato i fondi necessari alla costruzione, è montata in città la protesta nei confronti di un’opera considerata inutilmente costosa, mettendo persino in dubbio l’esistenza di un pericolo reale di crollo del ponte Morandi. I comitati costituiti nei quartieri interessati alla nuova opera viaria hanno fatto sentire la loro voce e trovato una sponda politica nel M5S, da sempre contrario alle grandi opere pubbliche, considerate delle “mangiatoie” per i soliti “potentati”. Così, mentre i cantieri avrebbero dovuto iniziare la nuova opera nel corso del 2018, le elezioni e l’avvento al Governo di Lega e M5S hanno bloccato tutto senza indicare soluzioni alternative apprezzabili: la Gronda non si sarebbe dovuta più fare, ma intanto il ponte Morandi è crollato il 14 agosto, e la città è spaccata in due: sono morte decine di persone e centinaia sono state evacuate dalle loro case in quanto si teme che una sorta di effetto domino possa colpire le navate ancora in piedi, alcune sovrastanti palazzi densamente abitati (sono circa 13 quelli evacuati).

 

 

Sarebbe stupido imputare al M5S la colpa dell’accaduto, ed anche se le elezioni di marzo avessero avuto esito diverso, il ponte sarebbe ugualmente crollato; se anche delle responsabilità verranno individuate, la Magistratura impiegherà probabilmente mesi per definirne i contorni, e forse anni per punire gli eventuali colpevoli. Nel frattempo ci sono alcuni problemini che sarebbe urgente risolvere, tra i quali la messa in sicurezza dell’area, lo sgombero delle macerie ed il ripristino della viabilità esistente (visto che la Gronda, anche laddove si decidesse adesso di farla, impiegherebbe anni per essere praticabile); ci sono poi da chiarire bene gli aspetti della concessione e le eventuali carenze nel rispetto degli accordi da parte del concessionario (che, ne sono convinto, ci saranno sicuramente state).

In tutto questo il Governo ha per prima cosa deciso che Autostrade per l’Italia è colpevole (salvo se anche altri), che la concessione verrà revocata e che le ingenti penali previste per la revoca non saranno pagate; questo ci ha detto il Presidente del Consiglio dei Ministri, professore di Diritto Privato, dopo poche ore dal disastro, quando ancora si fa fatica a comprendere le cause dell’accaduto e senza minimamente tenere conto dei necessari tre gradi di giudizio da esperire prima di poter prendere una posizione potenzialmente disastrosa per l’Italia. Il tutto mentre la concessionaria si è detta pronta a sostituire il ponte in circa sei mesi di lavori senza legare la cosa ad eventuali danni che lo Stato potrà richiedere di pagare in seguito ad accertamento di omissioni nella manutenzione, lasciando quindi aperta la porta a soluzioni che la vedano coinvolta, senza chiaramente ammettere apertamente la colpa del crollo.

Nel giro di 24 ore sulla revoca della concessione il governo si è diviso e Salvini, forse per buon senso e forse per lasciare il cerino acceso a Di Maio, ha iniziato a cantare fuori dal coro, ventilando l’ipotesi più ragionevole e meno costosa di far pagare i danni ad Autostrade per l’Italia e minimizzare i costi immediati e futuri per il paese. Forse ha anche pensato, di fronte alla piega che stava prendendo la vicenda e alle difficoltà economiche e giuridiche che si sono evidenziate per la proposta di revoca, di replicare la strategia già sperimentata con la richiesta di impeachment per Mattarella: fare qualche passo indietro quando ormai la mossa propagandistica aveva sortito il suo effetto, e il dietro front sarebbe risultato appena percettibile a chi chiede ghigliottine sulla pubblica piazza. Di Maio invece non rinuncia a tenere il punto, e nonostante persino Toninelli abbia assunto toni meno dirompenti, continua a considerare la revoca una sorta di linea del Piave da difendere col suo stesso corpo. Come se Salvini non aspettasse altro.

 

 

 

Oggi non sappiamo quale delle due opzioni sposerà alla fine il governo, anche se i precedenti non lasciano grandi speranze a Di Maio. In ogni caso, indipendentemente dall’esito degli accertamenti tecnici, Atlantia ha pagato e pagherà sicuramente un prezzo salatissimo per l’accaduto, ed è probabile che a questo punto farà di tutto in termini economici per mettere una toppa ad un buco che si preannuncia clamorosamente grande, a meno che i geni che ci governano non decidano veramente di allinearsi dietro a Di Maio, revocare la concessione ed andare incontro ad un contenzioso lungo decenni, durante i quali lo Stato dovrà riprendersi in carico le autostrade attualmente in concessione, procedere immediatamente a tutti quei lavori di manutenzione dei viadotti che, dopo il crollo del ponte Morandi, si preannunciano estremamente consistenti, e magari, alla fine di un contenzioso estenuante, pagare anche una penale che, alle cifre evidenziate sui giornali, è superiore a molte delle finanziarie degli ultimi anni; ed il bello è che con queste geniali pensate aumenteranno il consenso elettorale perché il dividendo politico di questa mossa è decisamente alto.

Nel frattempo, indifferente al crollo del ponte Morandi, lo spread che lo Stato italiano paga sugli interessi dei BTP decennali rispetto ad analogo titolo tedesco si aggira intorno ai 300bp, avvicinandosi pericolosamente a quella quota di 400 che tecnicamente porterebbe la maggior parte delle banche italiane in default per effetto della diminuzione consistente della loro patrimonializzazione, in parte consistente rappresentata dai nostri titoli di Stato; a quel punto molte banche sarebbero costrette, da un lato a vendere pesantemente sul mercato secondario, a chi non si sa, i nostri titoli, e dall’altro a procedere ad aumenti di capitale che non si sa chi dovrebbe sottoscrivere, con il risultato di un immediato declassamento dei nostri titoli di Stato a titoli “spazzatura”, e con l’impossibilità, a quel punto di acquisto da parte di tutte le banche (compresa la BCE), e lo straripamento dello spread come un fiume in piena. Il piano “B” del Professor Savona prevedeva che l’Italia sarebbe dovuta uscire dall’euro in una notte di un fine settimana; la cosa sarebbe dovuta avvenire in gran segreto, ed a mercati ovviamente chiusi: non siamo a conoscenza di un piano “C”, ma quello al quale assistiamo gli assomiglia molto, e rischia di essere messo in pratica ben prima che le varie sciocchezze sul reddito di cittadinanza o l’abolizione della Fornero vengano tramutate in provvedimenti di legge. Come si può ben vedere, le opzioni per uscire dal giogo europeo sono molteplici e tutte di facile accesso; resta solo da capire se gli elettori, almeno in maggioranza, l’hanno capito e veramente lo vogliono.

 

 

 

 

 

 

 

catastrofe

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