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Democrazia in Italia…e dintorni

Buona parte del dibattito politico degli ultimi mesi si è incentrato su due aspetti riguardanti l’esercizio del diritto di voto dei cittadini in particolar modo rispetto a:

  1.  il giusto mix tra elementi di democrazia diretta e di democrazia rappresentativa
  2. Se ed in quale modo sia corretto, dopo aver contato i voti, assegnare ad essi un peso diverso al fine di assicurare la governabilità di un Paese

Il primo aspetto attiene specificatamente alla opportunità di ricorrere più o meno frequentemente al voto referendario, nonchè alla ricorrente tentazione di leader carismatici a trasformare una votazione (elettorale o referendaria), in un giudizio sulla loro persona, mentre il secondo riguarda il problema del premio di maggioranza (previsto dalla nuova impalcatura costituzionale sulla quale andremo ad esprimerci entro il prossimo inverno), soprattutto alla luce della bassa affluenza alle urne ormai consueta nelle democrazie occidentali.

 

BLG 300716-22

 

A proposito dell’esercizio del diritto di voto, la Costituzione italiana, all’art. 48 sancisce quanto segue:

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. (…..) Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”

Quindi la Costituzione, da un lato non pone alcuna limitazione all’esercizio di voto e dall’altro ha eliminato tutte quelle distinzioni di censo o di genere che avevano contraddistinto le epoche precedenti, rendendo i cittadini maggiorenni e che non abbiano subito sentenze limitative dei loro diritti, uguali nella cabina elettorale.

 

BLG 300716-11

di T.H.

 

Il diritto di voto, in Italia, lo si esercita nelle elezioni politico/amministrative e in caso di consultazioni referendarie limitate però ad alcuni fattispecie: abrogative di leggi ordinarie, confermative di leggi di revisione costituzionale, più altri a livello regionale, provinciale e comunale, sostanzialmente per la modifica degli assetti amministrativi (p.e, accorpamento di Regioni e/o Comuni).

Nel caso dei referendum, inoltre, sono state escluse alcune materie per le quali si è ritenuto che non dovesse essere il corpo elettorale ad esprimersi, ma i suoi rappresentanti (tributarie e di bilancio, amnistia e indulto, ratifica di trattati internazionali.). Questo punto è importante in quanto, unito al divieto di mandato imperativo dei Deputati e Senatori (cd. Vincolo di mandato – art. 67 della Costituzione), sottolinea in maniera forte come si sia voluto, in sede costituente determinare, pur nelle libertà sancite dall’articolo 48, una limitazione, non solo all’esercizio del diritto di voto, ma anche all’impatto che esso può avere su chi poi, in rappresentanza degli elettori, si trova a dover prendere decisioni.

La ratio di queste limitazioni risiede sicuramente nella necessità di dover fare fronte, nell’attività di governo del Paese, anche a problematiche non affrontate durante la campagna elettorale (per le quali, in caso di vincolo di mandato, si dovrebbe ricorrere nuovamente al corpo elettorale), ma anche per poter risolvere adeguatamente situazioni nelle quali risulta difficile immaginare che tutti gli elettori siano in grado di esprimere un parere basato, non solo su convinzioni estemporanee, umorali ed emotive, ma anche sulla conoscenza effettiva degli argomenti in discussione e sulle conseguenze che le decisioni potrebbero avere.

Detto questo, occorre precisare che l’iter che ha portato l’Assemblea costituente alla definizione della Carta Costituzionale attuale, è stato tutt’altro che lineare tant’è che già nel 1948 vi era chi sosteneva che molti fossero i punti sui quali sarebbe stato necessario meglio precisare e altri che denotavano una certa staticità del testo, sicuramente rispondente alle esigenze di un turbolento dopoguerra ma non forse a poter delineare una visione futura dello Stato; in particolare fu Piero Calamandrei ad esprimersi in modo molto critico sul deficit di governabilità espresso dal testo che poi diverrà la Costituzione della Repubblica Italiana, al punto di affermare:

Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici. (discorso all’Assemblea costituente del 5 settembre 1946)“

La cronaca politica italiana ed europea, ci ha offerto e continuerà a proporre eventi utili a comprendere come le dinamiche del voto possano incidere profondamente sulla vita di un Paese. I fatti a cui mi sono riferito sono i recenti referendum (italiano sulle piattaforme di estrazione, e britannico sulla Brexit), le vicende turche relative al recente tentativo di colpo di Stato, l’attuale situazione in Spagna ed il prossimo referendum costituzionale in Italia.

 

BLG 300716-10

di Stivers

 

Apparentemente non sembra esservi coerenza tra eventi così diversi e lontani tra loro, ma se si legge una recente intervista di Dario Ronzoni allo storico Luciano Canfora, pubblicata il 2 luglio su Linkiesta, dal titolo “La tentazione dei liberali di togliere il voto alla gente”, ci si rende conto di come esista una corrente di pensiero diffusa (non solo tra i liberali, aggiungo io), per creare una selezione nel corpo elettorale andando ad individuare criteri di accesso e, conseguentemente di esclusione dal voto.

Credo che l’approccio più corretto alla discussione sia quello di ritenere che niente debba poter essere escluso dal dibattito al di fuori dei diritti sanciti nella “Carta dei diritti della Comunità Economica Europea”, nella quale, guarda caso, agli articoli 39 e 40, si fa riferimento al diritto di voto in sede europea e comunale, rimandando ai vari ordinamenti nazionali il compito di emanare le norme che regolano questi diritti. In detta Carta, di fatto si afferma in maniera inequivocabile, semplicemente non dichiarando niente in contrario, che le decisioni vengono prese da organi elettivi senza vincolo di mandato.

Il recente Referendum sul rinnovo o meno delle concessioni alla trivellazione per estrazione di idrocarburi, ha riportato alla ribalta la polemica mai chiusa con il Referendum sul nucleare del 1987 nel quale in Italia si decise la chiusura delle centrali esistenti e l’abbandono di quella tecnologia. Ma mentre il referendum recente riteniamo abbia poco spostato gli equilibri del Paese, e poco avrebbe spostato anche in caso di esito contrario, la chiusura delle centrali nucleari ha determinato grossi cambiamenti nella politica energetica italiana inducendo un massiccio ricorso a fonti energetiche fossili con le conseguenze economiche ambientali e geopolitiche che tutti noi conosciamo. Nella storia del nucleare si sa che vi sono stati diversi incidenti dagli esiti catastrofici, ma non sono pochi gli scienziati i quali ci dicono oggi che le normative italiane ci avrebbero messi al riparo da simili eventi e molti dubbi sono emersi sul fatto che l’esito referendario ci abbia creato un enorme danno economico senza peraltro metterci al riparo dagli esiti di disastri nelle centrali di oltralpe, dalle quali, per di più, acquistiamo energia che a noi manca.

 

BLG 300716-24

Il Ministro degli Esteri inglese Boris Johnson

 

Sul Referendum relativo alla Brexit, c’è poco da aggiungere se non che in Italia non sarebbe stato ammissibile. E’ utile però sottolineare che una parte consistente dell’elettorato britannico ha votato basandosi sulla propaganda cialtrona e menzognera dell’UKIP senza che vi fossero adeguate fonti informative a confutazione. In questo caso ha prevalso la volontà dei maggiori esponenti politici delle varie fazioni in campo, di farsi meno male possibile da un punto di vista elettorale, andando ad assecondare la marea montante di un’opinione pubblica insofferente nei confronti della Comunità; è accaduto a Cameron che ha proposto il referendum per vincere le elezioni politiche, a Johnson che ambiva alla leadership dei conservatori, a Corbyn che non voleva trovarsi stretto all’angolo in posizione minoritaria ed a Farage il quale ne ha sparate talmente tante da ritirarsi poi, dopo la schiacciante vittoria, per evitare di dover dare risposte a domande imbarazzanti. Oggi è probabile che molti i quali hanno votato “leave”, voterebbero “remain”. Fatto sta che Theresa May, trovatasi , alla fine, con il cerino in mano, se da un lato ostenta sicurezza e ottimismo, ancora non ha dato segno evidente di ciò che intende fare per ottemperare all’esito referendario, se non andare a giro per l’Europa, alla ricerca di improbabili sponde ad un’uscita onorevole ed economicamente non troppo penalizzante.

 

BLG 300716-23

Manifesti di Mustafa Kemal Atatürk in Piazza Taksim, Istanbul

 

In Turchia è accaduto che un presidente democraticamente eletto con una maggioranza schiacciante, si appresti ad approfittare del mancato golpe ai suoi danni per porre mano ad una riforma in senso presidenziale che accentri ancora più il potere nelle sue mani con lo scopo di perseguire l’abbandono della laicità dello stato fortemente voluta da Ataturk, con conseguente pericolo che minoranze come i curdi e altre anche non confessionali, si trovino, in un lasso breve di tempo, a dover correre pericoli analoghi a quelli che già vivono sulla loro pelle le minoranze in stati ove la sharia è la legge fondamentale dello stato. Ciò che emerge da questa vicenda è lo stravolgimento totale di uno stato democratico e laico in una repubblica presidenziale (che molto assomiglia ad una dittatura) di forte stampo confessionale; il tutto attraverso ripetute elezioni svolte democraticamente.

 

BLG 300716-26

Iglesias, Sanchez, Rivera e Rajoy disegnati da Kap

 

Lo scorso 28 giugno si è tenuta in Spagna la seconda consultazione elettorale per il rinnovo del parlamento nell’arco di circa 6 mesi; questa tornata si è resa necessaria in quanto la Spagna sta vivendo una situazione, per certi versi assai simile a quella italiana: una divisione del corpo elettorale su tre schieramenti più o meno grandi,  dei quali uno risulta prevalere sugli altri ma con numeri i quali non solo non bastano ad avere una maggioranza autonoma, ma rendono difficile l’aggregazione ad altre forze minoritarie in modo tale da assicurare la governabilità del Paese. Dopo la prima  consultazione infruttuosa, la seconda, sia pur portando a risultati per certi versi sorprendenti, ha riproposto le stesse identiche difficoltà di quella precedente, tanto da indurre il Re Juan Carlos a sollecitare Rajoi (leader dei popolari i quali hanno avuto la maggioranza relativa) a formare in ogni caso un governo ed a presentarlo alle camere con il chiaro intento di mettere il parlamento di fronte all’evidenza di uno stallo che potrà essere superato solo se alcuni dei deputati (giacchè la fiducia, in Spagna è solo il Congresso dei Deputati ad attribuirla e non il Senato) decideranno di non rispettare, non solo il programma elettorale sul quale sono stati votati, ma anche le indicazioni dei Partiti di appartenenza. Se anche questo tentativo non avrà esito, si arriverà alla terza consultazione nella quale gli elettori si esprimeranno, per la Camera dei Deputati, con un sistema proporzionale e per il Senato (che interviene solo nella funzione legislativa), con il maggioritario.

Premesso che persino i più accaniti detrattori della riforma costituzionale italiana ritengono che essa non rappresenti un pericolo per la democrazia nel nostro Paese e che le maggiori perplessità contenute nel famoso manifesto riguardano imperfezioni formali che potranno ripercuotersi su problemi di funzionamento specialmente nei rapporti tra i vari organi dello Stato con conseguente e frequente ricorso alla Corte Costituzionale per conflitti di attribuzione, il problema maggiore di tutta l’impalcatura sembra essere rappresentato dalla natura unilaterale del progetto. Questo era già avvenuto varie volte in passato e sempre con esiti negativi: prima fu il centro destra con il cd. “Porcellum” e la riforma costituzionale (poi abrogata da referendum), poi anche il centro sinistra con una pasticciata riforma del Titolo V. La riforma attuale però non si colloca nel solco ideale delle precedenti e anche se partorita con il probabile intento di consolidare il Potere del PD di Renzi, pare adesso, con il PD in calo di gradimento, assumere l’aspetto più oggettivo di facilitare l’insediamento di un governo con una maggioranza solida che possa attuare il programma sul quale essa sarà stata eletta. La cosa sulla quale è opportuno soffermarsi è però il fatto che la discussione, anziché sul merito, si è spostata sulla figura di Renzi il quale ha trasformato quel referendum in un voto pro o contro il suo governo. Questa situazione sta determinando un’evidente asimmetria informativa tra coloro i quali hanno approfondito i termini del problema, ed i molti che finiranno per appiattirsi sulle opinioni dei rappresentanti dei vari partiti o dei movimenti di opinione

 

BLG 300716-20

 

Ecco che anche in questo caso si arriverà, probabilmente, ad un’espressione del voto su una materia così importante come la Costituzione, nella quale la decisione potrebbe essere motivata da fattori non inerenti al merito portando ad effetti, potenzialmente non voluti dal corpo elettorale il quale, poi, nel 2018 al massimo, sarà chiamato nuovamente ad esprimersi, o con un parlamento composto da due camere regolate da due diversi sistemi elettorali, e la potenziale tripartizione del corpo elettorale, oppure con un Parlamento con una sola camera eletta con un sistema che consentirà ad una parte minoritaria nel Paese di avere stabilità di governo per i cinque anni della legislatura. E pare, al momento difficile anche solo ipotizzare una soluzione che stemperi il potere della maggioranza e, nel contempo, consenta la governabilità del Paese.

Ciò dipende, anche dalla scarsa qualità degli eletti espressi dalla società; alla fine di loro non si fida ne chi è incaricato di governare, ne gli elettori stessi e questo è uno dei grandi problemi sui quali dovremmo riflettere.

Democrazia in Italia….e dintorni

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5 comments

  1. Kokab 11 agosto, 2016 at 22:21

    non saprei dire se l’inserimento del link che contiene il discorso di piero calamandrei, uno dei più importanti e famosi fra l’altro, sia segno di grande saggezza o di sconsiderato avventurismo, probabilmente lo è di entrambe le cose, ma certo si resta un po’ in imbarazzo di fronte alla profondità di pensiero, alla chiarezza dell’esposizione, all’attualità dei temi e allo spirito arguto.
    naturalmente non intendo commentarlo, sarebbe ridicolo, quanto piuttosto invitare alla non breve lettura, ma tre cose, due in chiusura del discorso e una nella parte iniziale mi hanno particolarmente colpito, e su queste vorrei richiamare l’attenzione, perchè mi paiono assolutamente pertinenti ai temi del blog.
    la prima riguarda il problema dei partiti, la cui fondamentale importanza per il funzionamento della democrazia viene evidenziata da calamandrei assieme alla loro inadeguatezza in termini di funzionamento trasparente e democratico: se rilevava dei problemi allora, non oso pensare a quello che direbbe oggi…
    la seconda riguarda le libertà e i diritti individuali che le costituzioni del XVIII° secolo riconoscevano come preesistenti a sè stesse, libertà e diritti che calamandrei giudica anche più importanti della forma repubblicana dello stato, per la quale non è prevista revisione: poichè oggi sono sempre più spesso e sempre più diffusamente messi in discussione è evidente che il loro valore fondante non è neppure più percepito.
    la terza, che poi è cronologicamente la prima, riguarda il tema del lavoro, che teoricamente dovrebbe fondare la repubblica, che invece è stato trattato in modo ambiguo (io avrei detto sconclusionato) e oggi è probabilmente il punto più dolente della nostra democrazia malata.
    oggi un discorso di questo genere potrebbe risuonare in un prestigioso convegno di studi, ma in parlamento non sarebbe neppure compreso, e sarebbe probabilmente deriso, avrà ben un significato questa decadimento di pensiero…

  2. nemo 8 agosto, 2016 at 09:29

    Bene ha i fatto a citare Calamandrei, pericoloso sovversivo, quando fece quelle dichiarazioni nel suo intervento. Non esiste, al momento alternativa, se non quella pavesata dai soliti, che possa dare risposta al problema. Avere dato a tutti, indistintamente, cosa giusta, sa chiaro, la possibiltà di influire, con il voto, sulla vita democratica ha avuto un effetto bomba, come quello che ha concesso a tutti, indistintamente di accedere ai social tramite un semplice clic ed approfittare con questo strumento alla diffusione, da un lato della coscienza democratica, dall’altro della più becera delle risse. Non è certo nella soluzione proposta da Platone, e del suo modello educativo, la soluzione, ma invita a riflettere, senza per questo chiedere modifiche, sia chiaro. Nella vignetta che pubblichi citi uno dei pensieri di Jefferson, eppure egli aveva una legislazione che favorisce proprio quel 51 per cento, che poi a conti fatti neppure quello si può definire tale, inutile ricordare che in quel paese si vota non certo per un diritto di nascita per una formale richiesta di accesso a tale diritto! Il caso Spagna è sintomatico e dovrebbe farci riflettere, ma credo non sarà così, lo stallo spagnolo è la dimostrazione che una legge elettorale deve, per prima cosa, puntare alla soluzione della governabiltà, termine che incude paura, ma che se non c’è allora, come disse Calamandrei si può andare verso quella dittatura che neppure, sia chiaro una chiara affermazione, vedi Turchia, democratica esclude. Quindi, il cerchio si chiude con la esistenza din un corpo elettorale ben preparato, Platone ? Cosa che evidentemente non esiste se non in poche e ben individuate parti del globo, neppure in quel Paese dove, per noi, c’è il massimo della consapevolezza e della partecipazione, vedi Inghilterra, eppure al referendum così non è stato. Perchè questo?

  3. Genesis 8 agosto, 2016 at 06:51

    Io penso che la Democrazia funzioni solo quando chi la esprime, e chi la espleta, sia effettivamente democraticamente inserito nella società. Può avere idee diverse da chi gli si contrappone, ma questa diatriba deve avere in breve tempo una soluzione che porti del bene alla società stessa.
    L’esempio lampante è quello che ad ogni votazione si facciano spallucce nel merito dell’affluenza alle urne e che l’esito della votazione stessa porti i politici ad inerpicarsi in interviste pubbliche ove indicare, sempre, la propria vittoria.
    …ma si sa…oramai siamo così menefreghisti che, non votando, daremo sempre colpa “all’altro” per i problemi della società…
    Chi ci ha insegnato questo modo di fare? La politica stessa, assenteista, uscente dalla camera…per protesta?…allorquando vi sia una discussione…

  4. Por Quemada 7 agosto, 2016 at 12:45

    No pensi Ludi che proprio le cattive prove che sta dando la democrazia rappresentativa, ormai piena di ladri e corrotti, giustifichino un maggior ricorso alla democrazia diretta?
    Non penso proprio che i rischi che si corrono giustifichino certi timori di cui si legge in giro, spesso anche su Modus…

  5. Tigra 7 agosto, 2016 at 11:15

    Se la democrazia fosse perfetta non sarebbe umana, e ci dobbiamo quindi rassegnare ad accettare alcuni sui difetti, primo fra tutti il fatto che riflettendo di norma il convincimento della maggioranza delle persone produca spesso risultati sbagliati.
    Direi però che questi risultati sbagliati conviene accettarli, perchè rinunciare al suffragio universale non vuol dire consegnare il potere ai saggi che governeranno per il bene della comunità, ma vuol dire, nella generalità dei casi, consegnarlo ad un minor numero di persone che più facilmente sbaglieranno a proprio beneficio, senza poi la possibilità di mandarli a casa, se non con la ghigliottina, o altro simile attrezzo.
    Ciò detto, alcuni limiti la democrazia li deve avere, e i più importanti mi sembrano l’indisponibilità di alcuni diritti fondamentali, sui quali la maggioranza non deve poter mettere becco, il rigido rispetto della separazione dei poteri, e la forma rappresentativa della sua organizzazione.
    Mi pare che oggi nel mondo tutti e tre questi limiti siano variamente messi in discussione, e non è un bel segnale perchè riflette, a mio parere, l’insofferenza verso il “costo” della democrazia, che non accetta di farsi semplificare come molti vorrebbero, ma molti non accettano i doveri e le fatiche che questa comporta.
    Due note infine, che messe assieme mi pare producano risultati paradossali.
    Sulle residue forme di democrazia diretta, e cioè i referendum, credo sia giusto che non possano riguardare alcune materie, anche perchè se ciò fosse non si comprenderebbe l’esigenza della democrazia rappresentativa; ricordiamoci però che alcuni referendum “sconfitti” dall’astensione, a memoria, legge elettorale, fecondazione assistita e trivelle, hanno raccolto un consenso superiore a quello di qualsiasi maggioranza di governo.
    Sulla generale partecipazione all’esercizio della democrazia, diretta o rappresentativa, va registrata quella che a me pare una crisi sistemica, sopratutto nei paesi più avanzati, che presumo dipenda in gran parte dal fatto che viene considerata uno strumento spuntato; personalmente credo sia vero che la punta è ormai abbastanza arrotondata, ma ciò rischia di produrre, nei fatti, il potere di una oligarchia persino peggiore di quella che risulterebbe dall’abolizione del suffragio universale.
    Non ho grandi idee per risolvere il problema, ma credo che l’aumentata ignoranza di eletti ed elettori, quanto meno rispetto alla complessità del mondo globalizzato, sia una buona chiave di lettura.

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