la società

Dialogo sull’Africa (1)

L’Europa osserva con stupore e preoccupazione la gran massa di migranti che attraversano il Mediterraneo e che cercano rifugio nel vecchio continente, ma sembra inconsapevole che questa diaspora rappresenta la punta di un iceberg, le cui dimensioni saranno sempre più evidenti negli anni a venire. L’europeo medio, di fronte a questo esodo, si limita a considerare quali possono essere le conseguenze immediate sul suo sistema economico o sulla sicurezza domestica nella sua città.

Per i più, l’invasione dei “diversi” rappresenta un problema pratico ma transitorio, da risolvere o in chiave sociale, delegando quindi le istituzioni dello stato, oppure solidaristica, introducendo concetti di caritatevole filantropia. Una sorta di buonismo umanitario da affidare alle associazioni di volontariato.

Anche i media peccano di superficialità quando, salvo lodevoli eccezioni, si soffermano a evidenziare che la traversata del Mediterraneo costa a questi disperati qualcosa come 1.500 dollari.

Nulla di più lontano dalla realtà. L’arrivo alle coste libiche o tunisine è già costato ad ogni migrante dai 3 ai 5.000 dollari, estorti nei vari attraversamenti di confine o dalle varie milizie, polizie o gendarmerie incontrate nel lungo cammino.

Ho cominciato a girare l’Africa nel lontano 1982, quando ancora aveva un senso cercarvi le origini, la cultura e la bellezza delle popolazioni. Ma già allora a ogni posto di blocco bisognava essere pronti ad elargire il “cadeau de passage en douane”, senza il quale le sbarre non si aprivano e si rimaneva giorni e giorni a smontare i bagagli per le interminabili verifiche. Per inciso, in più di trent’anni le procedure in frontiera si sono “perfezionate”: a gennaio di quest’anno, per entrare in Marocco con un’ambulanza, destinata a una missionaria in Costa d’Avorio, i doganieri di Tangeri (città a loro dire “città europea”), dopo averci tenuto fermi tre giorni, hanno preteso il “cadeau” di 1.000 euro, rigorosamente in nero!

 

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Ricordo che già negli anni lontani delle mie prime traversate del Sahara, ci stupivamo quando, in pieno deserto, si scorgevano dei mezzi e degli uomini fermi tra le dune. Se ci si avvicinava, per quel senso di solidarietà che ha sempre caratterizzato gli incontri in queste regioni, il verificare cioè un’eventuale necessità o una difficoltà, lo scenario che si proponeva era sempre quello di un gruppo di persone impaurite sorvegliate da militari armati. E quando i mitra si giravano verso di noi, capivamo che era meglio far finta di nulla ed allontanarci ignorando l’incontro.

 

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Il copione si ripete da molti anni, sono cambiate soltanto le dimensioni del fenomeno, legato adesso a motivazioni non più individuali ma condivise da intere popolazioni. Che partono lasciando dietro di sé tutto. Sono costretti a vendere quel poco che hanno ai prezzi imposti loro dai soliti strozzini, in molti casi s’indebitano, lasciando come garanti quei parenti che non si sentono di affrontare il viaggio, obbligando chi resta all’onere della restituzione.

Attraversato il Mediterraneo, l’esborso non è finito, perché li attendono altri trafficanti, quelli che poi li smistano in Europa con percorsi sempre diversi e fantasiosi, appesi sotto gli autocarri, stipati nei container piombati, nei frigoriferi della verdura, o con documenti falsi sui mezzi pubblici.

Poi la ricerca di un lavoro, per pochi euro, ogni giorno a raccogliere pomodori o portare cemento nei cantieri agli ordini di un caporalato sempre più spietato, con l’etichetta, per i benpensanti, di sottrarre lavoro ai nostri ragazzi, quel lavoro che loro si guardano bene di fare!

Stiamo adesso assistendo ad un fenomeno epocale. Migliaia di migranti fuggono dalla povertà, ognuno di loro ha un reddito valutabile in poche decine di dollari annui. Eppure l’Africa è uno dei continenti tra i più ricchi di risorse, ha minerali, petrolio, legname, frutta, ma queste enormi potenzialità non producono un minimo benessere alle popolazioni, anzi si assiste ad un evidente, progressivo peggioramento del loro livello di vita. La gente vive per gran parte in miseria, mentre a un’esigua classe dirigente appartengono gli uomini più ricchi del mondo, con conti miliardari nelle banche svizzere e inglesi.

Quando, nei mesi scorsi, sono iniziate le rivolte in Tunisia, Libia ed Egitto, l’occidente le ha etichettate definendole “primavere”, intendendo con quel termine lo sbocciare della democrazia in quei territori. Chi scriveva quelle cose sui giornali probabilmente non è mai stato in Africa, o l’ha frequentata nel chiuso ovattato degli alberghi a cinque stelle. O ancora, con quei termini forse voleva soltanto dare fiato alla speranza, alla fiducia che finalmente la vera democrazia sostituisca gli assolutismi delle dittature.

 

 

L’errore sta nella terminologia. Quando noi occidentali parliamo di democrazia, con quel termine identifichiamo il concetto di equivalenza. È la visione “orizzontale” della parità tra tutti gli uomini, che ci proviene dalla nostra storia. Nei secoli abbiamo via via superato le baronie medioevali, il dualismo sinergico tra la Chiesa e l’Imperatore, abbiamo scoperto l’uomo nei valori del Rinascimento, separato la religione dalla scienza con l’Illuminismo e con la stampa ne abbiamo diffuso i meriti, abbiamo tagliato le teste coronate con la rivoluzione francese, creato le nazioni con l’indipendenza americana ed il Risorgimento, poi abbiamo abolito la schiavitù con le dichiarazioni dei diritti dell’uomo.

Ogni individuo è uguale o almeno equivalente a un altro e l’uomo occidentale, anche se non sempre riesce ad applicare questi concetti, almeno, quando usa il termine “democrazia”, ne riconosce il significato. È l’idea che ci permette di accettare che il voto espresso da ogni cittadino abbia lo stesso peso, sia che provenga da un plurilaureato, che da un miliardario o da un modesto manovale analfabeta.

Nei secoli del nostro medioevo la teocrazia gestiva la società feudale, ogni Imperatore aveva bisogno dell’avvallo del Pontefice, e il Papa era eletto perché gradito all’Imperatore! Sistema che per diversi secoli ha dominato la nostra storia, imponendo le Crociate, che sono sempre state presentate come la liberazione della Terra Santa e non come conquista degli sbocchi per i commerci con l’Oriente.

Per arrivare poi ai frati che accompagnavano le razzie dei “conquistadores” e per tacere dei roghi della Santa Inquisizione, che bruciava tranquillamente gli ebrei o tutti quelli che definiva eretici perché non ortodossi al proprio credo.

Ricordiamo le discussioni sull’anima delle donne, e se gli schiavi la possedessero. A proposito, quando in Tanzania, a Dar es Salaam ho visitato il National Museum, appese a una parete erano in mostra le ultime patenti di libertà, che il Kaiser (la Tanzania era colonia tedesca), previo esborso di un congruo pagamento, concedeva agli ultimi schiavi.

L’anno delle ultime concessioni era il 1917!

 

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Fatte salve le debite differenze, non pare molto distante il nostro mondo medioevale da quanto sta adesso succedendo in Africa. Teocrazia, guerre sante in nome della religione, rigida divisione tribale, discriminazione della donna, schiavitù…

A differenza dell’Occidente in questo continente, il concetto di democrazia ha un significato diametralmente opposto, con una visione “piramidale” del potere, che riproduce fortemente la nostra storia lontana. E questo nel ventunesimo secolo!

Le ragioni sono molte e complesse, a molte delle quali non è estraneo ”l’uomo bianco”.

 

Continua nella seconda parte …

 

 

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3 comments

  1. Han Solo 2 ottobre, 2014 at 17:40

    Hai iniziato un viaggio interessantissimo in una parte del mondo che cerchiamo di tenere lontana nel momento in cui tende ad avvicinarsi a noi come non mai. Gli spunti di riflessione sono tanti e, tutti, non esauribili in poche parole. Essendo il primo di una serie che, mi auguro, vorrai protrarre a lungo, mi limito solo a considerare che un simile lavoro utilizzato in area test del sito, ci allieta il compito di approfondire la conoscenza di Modus, ma rischia di risultare “sacrificato” in un momento in cui la platea che ne può beneficiare è ancora limitata; per questo motivo, nel ringraziarti per il prezioso contributo che hai portato e, spero, vorrai continuare a portare in futuro, ritengo indispensabile che la pubblicazione venga reiterata dopo il giorno 12 quando lanceremo il lavoro di mesi on line e la serie si potrà visionare completa per i futuri fruitori del sito. Benvenuto Bruno!

  2. Kokab 2 ottobre, 2014 at 12:42

    sul concetto di democrazia piramidale discuteremo dopo le puntate successive; per adesso vorrei solo fare una riflessione sull’atteggiamento dell’europa di fronte al fenomeno della migrazione dal sud del mondo, che hai definito di tipo sociale o solidaristico; non so se questi due approcci esauriscono i possibili comportamenti del vecchio mondo nei confronti di questo esodo di massa, ma di certo non ne comprendono le motivazioni e non ne governano gli effetti, perchè non hanno natura e contenuto politico, ma sono, al massimo, una semplice gestione dell’emergenza, prevalentemente intesa come ordine pubblico.
    il declinante occidente della nostra epoca, in crisi economica, demografica e di idee, conta meno di un miliardo di persone, ma detiene, sia pur con grandi squilibri interni, una parte preponderante della ricchezza della terra; che questa ricchezza sia anche frutto di 4 secoli di economia di preda nei confronti del resto del mondo ha ormai una importanza relativa, ciò che mi appare rilevante, in un pianeta senza confini, nel quale anche il più povero e derelitto dei migranti si sposta ad una velocità straordinaria, è che questa stragrande maggioranza di uomini e donne del sud, in viaggio verso nord, pone oggi un problema di sviluppo, e di redistribuzione del reddito, che non può essere risolto coi muri, coi ghetti o con le cannonate.
    c’è una parte ormai significativa dell’occidente che immagina di percorrere questa strada, le vediamo dai nascenti nazionalismi, oltre che dai più volgari regionalismi, e lo vediamo anche da molti risultati elettorali, ma è un’idea di corto respiro, e senza prospettive: non abbiamo la ragione, e non abbiamo la forza, per difendere con le cattive il nostro mondo e i suoi privilegi, e se non impareremo ad integrarci con questa maggioranza che preme, e ad integrarla, saremo semplicemente travolti, perchè non possiamo paragonare le nostre motivazioni alle loro, la nostra disperazione alla loro, e le nostre paure al loro coraggio.
    e naturalmente, con noi sarà travolto il patrimonio di cultura, di pensiero e di idee che rappresentiamo, unitamente ai modelli di convivenza e di gestione del potere che abbiamo prodotto in 2000 anni, che non sono un piccolo patrimonio per l’umanità: una grande responsabilità per una società dalla vista corta.

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