le muse

Dolore, lacrime e sangue

Sorrow, tears and blood: Fela Kuti, l’Africa e l’Occidente

di Alex Bardascino

 

Sir Paul McCartney mise piede a Lagos nel 1972 ritrovandosi all’improvviso in una città caotica, stracolma di lebbrosi e mendicanti, posti di blocco ed esercito a ogni polveroso angolo di strada. L’ex Beatles, dopo aver declinato la proposta della sua label di trasferirsi temporaneamente a Rio de Janeiro, è alla ricerca di ispirazione in vista del suo quinto album solista, Band on the Run. Il motivo per cui il baronetto opta per la Nigeria non è di certo legato alle attrazioni turistiche o alle lunghe spiagge sabbiose: pur mantenendo una parvenza di città violenta e inospitale, Lagos ha qualcosa di estremamente interessante da offrire agli intenditori di musica. E non è solo Sir Paul a rendersene conto: la casa discografica Motown prova a trasferire in Nigeria (senza mai riuscirci) alcune delle sue sedi statunitensi; persino mostri sacri come James Brown e Gilberto Gil organizzano immediate spedizioni in Africa per assistere personalmente al nuovo fenomeno, ovvero alla nascita del sound che caratterizzerà maggiormente la musica africana nel XX secolo e che avrà inaspettate ripercussioni sulla musica mondiale. Per molti critici e giornalisti dell’epoca si stava assistendo alla creazione di una “musica classica africana”, e solo un grande appassionato di classica europea (con una conoscenza maniacale dell’opera omnia di Bach, Händel e Schubert) come Fela Anikulapo Kuti poteva ambire a tanto.

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È lui l’artefice principale di questa svolta epocale nella storia musicale del continente nero nonché la causa del successivo flusso migratorio verso l’Africa di innumerevoli artisti internazionali: la nuova Terra Santa si trova in Nigeria, la sua rivoluzione si chiama Afrobeat. Il mondo intero è affascinato, quasi sconvolto dall’incredibile impatto del nuovo sound che stravolge le regole della ritmica imposte nel mondo occidentale dal pop e dalle major; Fela da parte sua non si scompone dinnanzi al successo, non si abbassa a compromessi e non si svende a quelli che considera senza mezzi termini come “colonizzatori”: congeda difatti McCartney dandogli del “ladro”, rifiuta un contratto da un milione di dollari dalla Motown, registra brani della durata di un’ora cosicché non possano essere trasmessi dalle radio. Accoglie invece a braccia aperte James Brown e Gilberto Gil – con cui condivide le origini africane -, interessati al mood e affascinati dalla figura della leggenda vivente Fela Kuti, nato nell’ottobre del 1938 da Israel, un pastore anglicano, e Funmilayo Kuti, una fervente femminista e militante comunista, figura rivoluzionaria in una nazione totalitaria e conservatrice, nota per essere stata la prima donna nigeriana ad ottenere la patente di guida e ad aver viaggiato fino in Russia e Cina (dove inoltre venne ricevuta da Mao).

 

 

A 20 anni il padre lo manda in Inghilterra per iniziarlo agli studi in medicina, ma Fela dal canto suo si iscrive al Trinity College of Music e inizia a frequentare i clubs londinesi, costruendosi una reputazione come musicista e maturando la conclusione che il jazz, a causa delle numerose contaminazioni, ha definitivamente smarrito quelle radici che una volta affondavano nella ritmica africana. Quando Fela torna a casa nel ’63 con il suo primo gruppo a seguito chiamato Koola Lobitos molti equilibri sono stati sovvertiti nel frattempo sul continente: la Nigeria si era proclamata indipendente nel ’60, Patrice Lumumba era stato assassinato nel gennaio del ’61, Mandela sarà condannato all’ergastolo pochi mesi dopo. In seguito ai due colpi di stato del 1966 e al massacro degli Igbo scoppia una sanguinosa guerra civile in Nigeria, mentre negli Stati Uniti nel ’65 e ’67 vengono uccisi rispettivamente Malcolm X e Martin Luther King, due icone del movimento per i diritti dei neri. Non a caso nasce in quegli anni in California il movimento delle Black Panthers, mentre è in maniera fortuita che Fela Kuti, negli Stati Uniti per una serie di concerti nel ’69, legge Malcolm X e avverte una nuova coscienza, un forte sentimento panafricano, un crescente spirito rivoluzionario che trasforma in musica, in energia creativa.

 

 

Tornato a Lagos vi fonda una comune nel quartiere povero dichiarandolo territorio indipendente, ribattezza il suo gruppo Africa 70, comincia a scrivere testi impegnati in pidgin nigeriano contro la corruzione delle autorità politiche e la repressione delle libertà individuali, denuncia in prima persona gli scandali di una nazione alla mercé degli interessi economici dell’Occidente legati allo sfruttamento delle risorse petrolifere. Il suo album Zombie, in cui non si risparmiano critiche alle istituzioni e alle forze dell’ordine, è considerato il disco più rivoluzionario del 1976 (l’anno tra gli altri dell’uscita di Anarchy in the UK). Di tutta risposta, mille uomini armati dell’esercito irrompono nella comune, torturano Fela e defenestrano la madre proprio sotto i suoi occhi, uccidendola. A seguito di tali fatti la band lascia la Nigeria e si trasferisce temporaneamente in Ghana. Dopo vari concerti in giro per il mondo Fela torna nuovamente in Nigeria, fonda il MOP (Movement of the People) e si candida per le votazioni presidenziali, ma il suo progetto viene palesemente osteggiato, il partito è screditato e non può pertanto presentarsi alle elezioni. Negli anni ’80 la sua figura è letteralmente perseguitata dalle autorità nigeriane; trascorre buona parte del tempo in carcere per accuse di ogni genere, dalla detenzione di droga all’omicidio, dalla rapina a mano armata alla detenzione illegale di valute straniere (una manciata di dollari il giorno prima della partenza per la tournée americana). Quando non è in stato di arresto, però, Fela e gli Egypt 80 (ex Africa 70) infiammano i palchi di mezzo mondo con il loro sound irrefrenabile, da Parigi al New Jersey, da Amsterdam a Chicago fino a Glastonbury: addirittura David Byrne e Brian Eno, con l’uscita di My Life in the Bush of Ghosts nel 1981, ammettono di aver largamente tratto ispirazione dall’Afrobeat. All’apice della celebrità e all’alba degli anni ’90 Fela Kuti contrae il virus dell’AIDS di ritorno da un viaggio in Burkina Faso: mentre in Sudafrica cessa l’apartheid e viene liberato Mandela dopo 27 anni di prigionia, Fela si stabilisce in maniera definitiva nella Nigeria del dittatore Abacha, lo stesso che condannerà a morte (con la complicità di una nota multinazionale del petrolio) lo scrittore e attivista Ken Saro Wiwa nel ’95 con l’infamante accusa di istigazione all’omicidio. Due anni dopo l’impiccagione di Wiwa, il 2 agosto 1997, Fela Kuti muore a Lagos all’età di 59 anni. Un milione di persone partecipano ai suoi funerali: suo figlio Femi ricorda che «per due giorni nessuno andò a lavoro e nessun criminale compì alcun atto di violenza a Lagos perché lo amavano tutti, ed erano al contempo impegnati a rendergli omaggio al suo funerale».

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Nonostante il carattere anticommerciale della sua musica e il dichiarato spirito sovversivo dei testi al giorno d’oggi si sta assistendo ad una graduale riscoperta del maestro indiscusso dell’Afrobeat: Damon Albarn, che nel 2002 ha inciso l’album Mali Music e che ha suonato con l’ex batterista degli Africa 70 Tony Allen, ha definito il brano Zombie di Fela Kuti come «il brano più sensuale di tutti i tempi». Anche Thom Yorke, parlando delle fonti di ispirazione e dei gusti musicali che accomunano i vari membri degli Atoms For Peace, asserisce che l’intero progetto «è un prodotto dello stare insieme, divertirsi e ascoltare Fela Kuti». Ancora più recentemente, il premio Oscar Alex Gibney ha raccolto e selezionato oltre 1500 ore di filmati inediti provenienti da tutto il mondo per realizzare il monumentale documentario Finding Fela, una vera e propria opera definitiva sulla vita del musicista militante nigeriano, presto nelle sale italiane. Il rinnovato interesse internazionale nei confronti di Fela Kuti testimonia indubbiamente l’attualità e la lungimiranza del suo messaggio, la necessità di un impegno sociale, il bisogno di ricreare una forma d’espressione troppo spesso soffocata dagli interessi economici dell’industria musicale. E se da una parte il tentativo di mantenere originale un prodotto tipicamente africano non è andato a buon fine, dall’altra, paradossalmente, potrebbe essere proprio questa la sua più grande vittoria.

 

 

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1 comment

  1. Kokab 19 gennaio, 2016 at 18:05

    grande personaggio fela kuti, straordinario musicista oltre che leader culturale e sociale carismatico, in un paese fra i più difficili e violenti del mondo.
    non capita spesso che il talento artistico sia coniugato ad un tale coraggio civile, in un luogo dove si muore anche per molto meno, e in fondo non importa se i risultati politici non sono stati all’altezza delle aspettative, quelli passano e spesso deludono, ma il segno nella cultura, non solo musicale, resterà.
    certo, è stato aiutato da una grande presenza scenica, era quel che si dice un animale da palcoscenico, ma sentirlo è sempre un piacere, e a volte anche un’emozione.

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