la società

Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte

 

Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte

Isolato dal potere, il partito repubblicano si è ripiegato su se stesso e si è spinto, praticamente, alla follia grazie ad un mix tossico di paura e di rabbia. Trump è il suo naturale capo rappresentativo.

di Ben Fountain, scrittore
(Traduzione Redazione Modus)

Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte

 

“La cosa peggiore che potrebbe mai accadere è accaduta dopo che la cosa peggiore che potrebbe mai accadere è accaduta dopo che la cosa peggiore che potrebbe mai accadere è accaduta.”

Carlton Douglas Ridenhour, alias Chuck D (dei Public Enemy)

 

Così, dopo un paio di settimane miserabili per tutti coloro che ci tengono a pace, amore e comprensione (peace, love and understanding ¹, N.d.R.) , e con altre cattive notizie in arrivo a breve da Baton Rouge, la parola d’ordine ci è pervenuta da Cleveland: niente palle da tennis.

Per motivi di sicurezza pubblica e nazionale, le palle da tennis non sarebbero state permesse all’interno del cordon sanitaire intorno all’Arena Quicken Loans, sede della Convention nazionale repubblicana, né sarebbero lasciate passare pistole ad acqua, armi giocattolo, coltelli, corda, nastro, ombrelli con punte metalliche, lampadine, maschere antigas o diverse decine di altri oggetti. Le armi da fuoco, tuttavia, erano autorizzate. Le pistole erano OK, un pronunciamento che è stato subito ripreso da gruppi tanto divergenti nei loro orientamenti come i Motociclisti per Trump e le Nuove Pantere Nere, tra gli altri.

Appena una settimana dopo che cinque agenti di polizia sono stati uccisi a Dallas ad una marcia pro – Black Lives Matter ² , Cleveland era vincolata a rispettare lo statuto dell’Ohio sul porto d’armi in pubblico. “Il nostro intento è quello di seguire la legge”, ha detto stoicamente il sindaco Frank G Jackson. “E la legge dice che si può, avendo regolare licenza, portare l’arma in pubblico e a vista, questo è quello che dice. Se sono d’accordo con questo o no è tutt’altra questione.”

 

 

Pistole consentite, ma vietate le palle da tennis. È il genere di proposizione pacchianamente folle che indica quanto sia solo un altro giorno normale in America, il tipo di bravata che un gruppo di dadaisti sui generis potrebbe inventarsi per evidenziare l’alienazione sociale e il degrado. Che si sparga la voce: l’America ha perso la testa! O forse la demenza è una metafora migliore: il paese assimilabile ad un cittadino anziano e fuori di senno che ambula in giro con un pannolone sulla testa e scatole di Kleenex al posto delle scarpe.

 

SET 240716-04

 

Percorrendo la Euclid Avenue, il secondo giorno della convention, lungo un tratto urbano pieno di bar, bancarelle turistiche ed eccitati venditori ambulanti che propongono T-shirt e merchandising  – trash misto della campagna di Trump, mi sono imbattuto in un predicatore da strada che infuriava verso i miscredenti con l’aiuto di un amplificatore truccato del suo furgone-per-Dio, un’apocalisse gommata decorata con foto di feti abortiti, dipinti di africani affamati , versi della Bibbia scarabocchiati e simili ausili visivi. Ma non era Dio dall’alto a parlare al predicatore, no, ma una robusta donna di colore affacciata dalla sua finestra al secondo piano che intonava, “Predicate l’amore! Predicate l’amore! Predicate l’amore! ”  E ancora, “Tu non sai niente di cosa significhi essere una donna in questo mondo!”
Un dibattito tra profeti, mentre proprio dietro l’angolo la rete televisiva MSNBC stava trasmettendo in diretta da uno studio mobile, tuttologia politica blaterata in piena espansione su e giù per la Fourth Street.

 

SET 240716-02

Al di fuori dell'arena dove si svolge la convention repubblicana, un
manifestante regge le scritte  :  "Fermate la follia. Mai Trump"  e
"La fine è vicina, grazie repubblicani"          Foto: ZUMA WireREX

 

Che cos’ha l’America, dove ogni avvenimento pubblico diventa un carnevale delle stranezze e del surreale? Ogni tanto schegge misericordiose di sanità mentale tagliano le stramberie. Quando il concerto de The Art of Rap a Dallas è stato annullato a seguito della sparatoria contro la polizia, Chuck D, il leader dei Public Enemy, ebbe a dire alla Dallas Morning News:

“È comprensibile”, ha detto l’uomo che ha scritto Fight the Power nel 1989. “Quei poliziotti erano là fuori per proteggere una manifestazione per Black Lives Matter” ³.

E dopo una pausa, “Non c’è niente che si può dire così a ridosso. Dobbiamo lasciar calmare per un po’… Andare là Sabato (il giorno dopo l’eccidio, N.d.R) ? Sarebbe inappropriato. “

Ma l’America non può essere zittita o rallentata di un secondo, e così abbiamo tirato avanti dopo Dallas, abbiam passato Black Lives ²  e Blue Lives   e poi Baton Rouge  la mattina di Domenica con tre poliziotti morti e altri tre feriti, tutto questo in solo pochi giorni dopo gli oltre 80 morti in Francia, gli attentati a Baghdad, attacchi Isis nel Bangladesh, e un tentativo di colpo di stato in Turchia con centinaia di vittime.

Benvenuti a Cleveland! Dove il movimento Trump è arrivato come un roboante maremoto (poche sono le cose così nitide o pulite quanto una ondata di marea), come una melassa spessa che porta con sé ogni sorta di fanghi dai fondali, insieme a 37 vittorie nelle primarie e nei caucus repubblicani, un accumulo di 1.543 delegati, l’equivalente di iper-miliardi di pubblicità mediatica gratis grazie alla “copertura dei media”, e di quel che fu l’establishment del partito repubblicano: il relitto in frantumi con scia di effetti personali. Tutto trascinato alle rive del Lago Erie e fin dentro al canale del fiume Cuyahoga che si incendiò notoriamente nel 1969 , emblema del declino della Rust Belt (la cintura della ruggine industriale, N.d.R.) , quando Cleveland era messa alla berlina ed era la battuta finale di mille barzellette.

Nessuno più ride di Cleveland. Ha un centro città tirato a lustro, una notevole popolazione hipster , e a suo nome un monarca – e un campionato NBA .  King James vive qui, LeBron James, e ora un aspirante ad un diverso tipo di trono arrivava sbraitando in città. Trump, ci si immagina, non vuole veramente essere presidente; solo essere re lo accontenterebbe. Vale la pena provare ad immaginare quale sarebbe lo stile di tale maestà americana, il nec plus ultra di pacchian-eleganza di una presidenza Trump con le sue spennellate d’ottone lucidato ad oro e cascate di vetro riflettente, l’estetica, per render l’idea, di un mafioso del 1970 di medio livello da una città di provincia, tipo Buffalo, con aggiornamenti di high-tech e sfarzo à la reality Real Housewives. Richard Nixon, cresciuto in una famiglia quacchera, ci andò duro con lo sfarzo reale, con il sigillo presidenziale impresso su ogni superficie, dai gemelli alla macchina da golf, e ridicoli trombettieri per annunciare ogni suo ingresso e uscita. Nixon arrivò ad un soffio dalla follia – che lo stile imperiale sia un indice di instabilità mentale? Pacifico dire che quella di Trump non sarebbe una presidenza modesta.

 

 

Norman Mailer, scrivendo nel 1968 della nomina di Nixon a Miami e l’assedio (alla convention, N.d.R.) di Chicago, fece questa profezia per il partito repubblicano:

 

“Erano stati una minoranza maledetta per troppo tempo, una enorme pietra
indigesta nel voluminoso intestino ruminante di ogni amministrazione
democratica, una folle minoranza repubblicana con ampi poteri di negazione
e di controllo, una minoranza che gestiva l’economia, e la metà delle finanze
del mondo, e troppi degli affari interni di quattro o cinque continenti, e il Pentagono,
e la tecnologia del paese, e la maggior parte della polizia segreta, e quasi ogni
poliziotto in ogni piccola città, eppure alla fine loro non governavano il paese, un
paese che non capivano, il paese era sciolto da loro, più avanti di loro, lo stile di
vita del paese continuava a negare i loro sforzi, le vite dei migliori americani
acceleravano fuori dalla loro portata. Erano la forza più potente in America, e
tuttavia erano un’isola psichica. Se non trovavano un ponte, sarebbero solo,
ogni anno di più, diventati più folli, come un ricco nobile chiuso in una roccaforte
vuota ad inseguire gli elfi e gli orchi con il suo bastone. ”

 

Mailer mancò il bersaglio di pochissimo: invece di un’isola abbiamo un muro, il muro è il simbolo più azzeccato per definire la campagna di Trump. A Cleveland era difficile distinguere tra la retorica della marmaglia in strada e il lessico della retorica ufficiale sentita all’interno dell’Arena Quicken Loans, quella presumibilmente controllata. “Costruisci quel muro! Costruisci quel muro!poteva essere urlato ovunque, in qualsiasi momento, così come canti con gli stivaloni tipo, “Trump, Trump, Trump.” Si segnala il discorso di Martedì notte alla convention fatto da Chris Christie (Governatore del New Jersey, N.d.R.) – una sorta di tribunale ombra con tanto di accusa ad Hillary Clinton, sicuramente una fantasia animale del governatore, ed anche un provino per il posto di procuratore generale per una eventuale amministrazione Trump – ha ispirato euforiche esplosioni diRinchiudetela! Rinchiudetela! “ – con le voci squillanti dei fedeli, a piena gola, assetate di sangue, tanto quanto quelle dei romani dovettero suonare mentre i leoni erano lasciati liberi di scagliarsi contro i rappresentanti di qualche povera minoranza.

 

 

Lo stesso spirito è stato in mostra Lunedi al “Comizio America First” sulle rive del Cuyahoga, un evento ospitato, tra gli altri, da Cittadini per Trump, Tea Party per Trump, Bikers per Trump, i Cristiani per Trump, Donne Unite per Trump, Veterani per Trump, Millennials per Trump, Camionisti per Trump… si rende l’idea. Più di una volta quest’anno ho sentito il fenomeno Trump descritto come una rivolta dei cafoni. Bene, erano qui, ed erano fortemente incazzati, la loro rabbia, per quanto potesse essere giustificata – e molta pare lo fosse – era accoppiata alla loro evidente incapacità di gestire anche il più basilare vocabolario della vita politica americana.

La maestra di cerimonie, tale Trish Cunningham, una florida donna bionda in un corto abito arancion-corallo che è stata descritta come “la madrina del Tea Party ¹º del Pennsylvania”, sembrava non capire la differenza tra un senatore statale e senatore degli Stati Uniti. L’inno nazionale è stato gravemente mutilato, il solista che mancava circa ogni terza parola (“bagliore rosso dei razzi”). Uno degli oratori, un ex sergente dei marines e attualmente un rappresentante dello stato del New Hampshire (congressman statale, N.d.R.) , ha insistito che quest’anno il partito repubblicano avrebbe “ripreso la collina”, con la quale credo volesse dire, Capitol Hill (campidoglio, N.d.R.)? Il Congresso? Scordandosi allegramente che i repubblicani attualmente detengono diggià la maggioranza in entrambe le camere.

 

SET 240716-10

    Il delegato di New York David DiPietro reagisce durante il terzo giorno
    della convention nazionale repubblicana -          Foto: Carolyn Kaster

 

Lì, sui pendii erbosi del Landing Park, sono stato informato dai miei compagni di comizio che il 9/11 era “falso”, che Israele “ha organizzato” l’elezione di Barack Obama, che “dobbiamo riprenderci il nostro paese”, e che “i media liberali ritraggono Trump come un razzista perché vuole proteggere i nostri confini, e questo non è vero ed è totalmente ingiusto”.  In altre parole: la gente sa quando viene presa in giro. Magari non sanno esattamente da chi o come o a qual fine, ma prima o poi lo stimolo si fa strada lungo il midollo spinale, e alla fine genera una reazione. Per 30 anni gli elettori repubblicani hanno doverosamente nominato ogni candidato che l’establishment gli ha piazzato davanti, rifiutando le tentazioni primordiali di un Pat Buchanan, un Rick Santorum, una Michelle Bachmann, ma questo Lunedì, il primo pomeriggio della convenzione, abbiamo visto come l’ultimo estremo tentativo degli sforzi anti-Trump è stato annullato in una finale rumoroso e sciatto. Quella sera ho vagato fuori per una passeggiata, e sedendomi in piazza ho notato la massiccia presenza della polizia, un pellegrino allucinato che trascinava una croce di due metri e mezzo, due finte suore su dei trampoli che invocavano una tassa sulla carne animale per i peccatori, e bambini felici che erano in ammollo nelle fontane. Nelle vicinanze una sorta di gruppo anarchico d’improvvisazione ha fatto una scenetta di satira sul fenomeno Trump, che si è conclusa con questa canzoncina:

 

Se riesco a farti paura,

Posso farti odiare,

Se riesco a farti odiare,

Non riuscirai a ragionare,

Se non ce la fai a ragionare,

Diventerai un idiota,

E così finirai con Trump.

Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte

Beh, non c’è niente di nuovo in questo. La paura è stata la forza motrice del partito repubblicano dall’inizio della guerra fredda – la paura di comunisti, la paura della gente di colore, la paura dei messicani, dei gay, delle femministe, dei musulmani, dei terroristi, dei federali e così via, l’allarmismo coltivato ​​ad una alta forma d’arte negli anni successivi al  9/11. La differenza questa volta è di natura economica. L’establishment repubblicana ha detto alla base degli elettori di fare una cosa, e la base, alla fine, ha fatto il contrario.

“Spennare la gallina, sì, ma non farla urlare,” disse ai suoi un dittatore del Nuovo Mondo tanto tempo fa  ¹¹ (Imperatore Jacques I d’Haiti, N.d.R.), ma dopo 35 anni di Reaganomics ¹² , della globalizzazione all’ingrosso, e della più grande redistribuzione di ricchezza nella storia – non sgocciolante dall’alto verso il basso, ma aspirata verso l’alto – nell’ America del 2016, la gallina si è messa ad urlare.

 

SET 240716-13

Jean-Jacques Dessalines era un leader della rivoluzione haitiana,autoproclamato
  Imperatore Jacques I dal 1804-1806, primo sovrano di un Haiti indipendente

 

“La famiglia dei Bush – mentre ci piacerebbe averli con noi – fa parte del passato,” ha dichiarato Paul Manafort, responsabile della campagna di Trump, in una conferenza stampa del mattino durante la settimana della convention. “Noi ci interessiamo del futuro”. Ma da come è andata nei 13 mesi da quando Trump ha percorso le scale mobili del suo Trump Tower per annunciare la sua candidatura, “Facciamo l’America Grande di Nuovo” (Let’s make America Great Again, N.d.R.) assomiglia molto al passato Wasp ¹³  idealizzato, la cui incarnazione più reale era depositata da qualche parte nel cervello di Ronald Reagan, un ordine sociale progettato che si rivolgesse efficacemente ai maschi bianchi di inclinazione autoritaria. E per quel che riguarda tutti gli altri – le donne, “i negri” e, ah, latini? – Beh, non sarebbe stato tutto molto bello anche per loro?

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SET 240716-11

  Il senatore degli Stati Uniti e candidato repubblicano Barry Goldwater, 1964
                          Foto: William Lovelace

 

Ecco alcune notizie: non viviamo più in quel mondo. Mercoledì sera Ted Cruz e Paul Ryan hanno fatto discorsi altisonanti esaltando il GOP (Grand Ole Party, il Buon Vecchio Partito = Il Partito Repubblicano, N.d.R.) come il partito di Lincoln, dell’emancipazione, e dei diritti civili, mentre la realtà è che i repubblicani non sono più stati quel partito dal lontano 1964. Nel luglio dello stesso anno, presso il Cow Palace di San Francisco, il partito scelse come candidato presidenziale il senatore Barry Goldwater, che aveva appena poche settimane prima votato a voce alta e con orgoglio contro il Civil Rights Act ¹. Il GOP da allora ha lavorato su una crescente scala di razzismo; per averne prova, basta guardare alla lunga e contorta storia della strategia del sud (Southern Strategy, N.d.R.) ¹, o le statistiche del voto degli ultimi 50 anni, o la coalizione di procuratori generali che hanno citato, con successo, contro le disposizioni pre-autorizzazione del Voting Rights Act ¹⁶.

 

 

Il genio di Trump, particolarmente adatto per un periodo di stress finanziario per gran parte della classe media e quella dei lavoratori, sta nel modo in cui ha reso popolare la parte estrema di quella scala mobile, costringendo proposizioni palesemente razziste verso il centro della scena. È stato abbracciato ben presto dai neonazisti, dai nazionalisti bianchi, e simili, e lui li ri-abbracciò in forma di citazioni Mussoliniane, retweet di suprematisti bianchi, e con quel trascinare le tardive smentite con cenno del capo ed una strizzatina d’occhio anche al sostegno ricevuto da David Duke e il Ku Klux Klan. Eventuali dubbi sul fatto che una massa critica della leadership repubblicana potrebbe anche non aver abbracciato il suo candidato sono vaporizzati nel corso della settimana della convention, e da Giovedi sera Trump può sinceramente affermare che il partito è stato unificato. O sufficientemente unificato per fare la domanda senza essere folgorati da un fulmine.

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Due volte nella loro storia gli Stati Uniti sono stati costretti a ricreare se stessi, entrambe le volte di fronte a crisi esistenziali. L’abolizione della schiavitù è stata la prima di queste ri-fondazioni, nata dalla crisi della guerra civile. Il New Deal è stata la seconda, la formazione del moderno stato sociale in risposta alla crisi della Grande Depressione; se Roosevelt avesse agito meno radicalmente, i profondi disordini che in certi luoghi si erano allargati in vera e propria insurrezione – un episodio della storia degli Stati Uniti che è in gran parte dimenticato, o ignorato – si sarebbero potuti trasformate in ri-fondazione, sì, ma con ben altri mezzi. Ora ci troviamo con un disperato bisogno di una terza ri-fondazione, una rivoluzione nella psiche, della struttura del paese che tenga conto delle realtà che ci sono già a ridosso. Un allargamento oltre l’isola psichica, la roccaforte folle, il muro dei Wasp sui quali Norman Mailer ha scritto quasi mezzo secolo fa. Deve accadere; i cambiamenti demografici del paese, e il nudo e crudo peso dell’esperienza umana che essi rappresentano, lo richiedono. L’unico modo in cui possa non accadere sarà per il sovvertimento assoluto della democrazia, che, per definizione, costituirebbe un diverso tipo di ri-fondazione.

Alcuni anni fa ho letto l’autobiografia di Gabriel García Márquez, Vivere per raccontarla, e mi ricordo di essere stato colpito dalla sua descrizione delle tensioni politiche nella sua nativa Colombia alla fine del 1940, poco prima dello scoppio nel paese della guerra civile che durò decenni. Quelle che sembrarono  iniziare più o meno come posizioni politicamente rigide  da parte dei liberali e dei conservatori, andarono a svilupparsi nel tempo in qualcosa di più crudo, più caldo, e, in ultima analisi, intrattabile. Ho continuato a fare la stessa nota a margine delle pagine di Marquez:

gli USA ora.
Gli USA ora.
Gli USA ora.

Vale la pena pregare a tutti gli dei che abbiamo che non si arrivi a questo – che la terza ri-fondazione americana arrivi con mezzi più dolci.

 

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Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte Donald Trump: il pazzo nella sua roccaforte

 

¹ (What’s so funny ‘bout) peace, love and understanding – autore: Nick Lowe

² Black Lives Matter

³ La strage di Dallas

Blue Lives Matter

Imboscata di Baton Rouge

 Il fiume Cuyahoga

  Nuova ondata “hipster”

Miami e l’assedio di Chicago di Norman Mailer
(Miami and the Siege of Chicago: An Informal History of the Republic and Democratic Conventions of 1968)

 Chris Christie

¹º Tea Party

¹¹ Imperatore Jacques I d’Haiti

¹² Reaganomics

¹³ WASP, White Anglo-Saxon Protestant

¹ Civil Rights Act (1964)

¹ Southern Strategy, La strategia del Sud

¹⁶ Selma e il Voting Rights Act

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5 comments

  1. Canadair 2 agosto, 2016 at 05:12

    L’ascesa di Trump alla candidatura repubblicana per le prossime presidenziali (e speriamo, anche se non ne sono sicuro, che l’ascesa si interrompa qui) e’ sintomatica del periodo di crisi nella quale stiamo vivendo. Una crisi nel sistema socio-politico del mondo occidentale che da congiunturale e’ oramai diventata endemica. Quello che e’ in crisi non e’ piu’ semplicemente l’economia, piuttosto la base dei valori nella quale la societa’ occidentale si e’ basata per buona parte del secolo scorso. Cioe’ la liberal-democrazia, l’ibrido tra il pensiero liberale con quello democratico della quale si tratta ampiamente in un recente blog di questo sito. Un sistema che non risponde piu’ alle necessita’ intrinseche delle societa’ occidentali e che, mano a mano, dall’ essere prima semplicemente contestato e’ oramai sempre piu’ osteggiato da una massa sempre piu’ grande di quello che fu il ceto medio, ora alla deriva. Trascinato in un vortice che, lentamente ma inesorabilmente, lo sta risucchiando sempre piu’ verso il basso e che sembra non voglia proprio fermarsi.
    Cosi’ ora assistiamo negli USA a quello che gia’ si era cominciato a vedere in Europa. La legittimazione dell’anti politica nel contesto socio politico di una nazione dove, almeno a mio modo di vedere, c’era meno da aspettarselo. Sembra proprio che una nuova ‘maggioranza silenziosa’ stia sorgendo e stia prendendo sempre piu’ piede. Nel leggere le interviste ai sempre piu’ numerosi supporters di Trump si trova solo e sempre (sin gia’ dagli inizi della campagna elettorale di questo scellerato) la ripetizione dei soliti e sempre stessi argomenti. Un mantra ripetuto monotamente e ossessivamente come se fossere le preghierine imparate alla scuola di catechismo. A mio modo di vedere, la scaltrezza di Trump e’ stata quella di aver trovato la formula giusta per scalare un potere che fino a poco tempo fa sembrava granitico e a prova di bomba (sia quelle figurative che quelle reali). Cioe’ il ripetere per filo e per segno davanti alla Tv e ad ogni manifestazioni pubbliche tutta quelle serie di cazzate che tanta gente (la gente del popolo, come era comune definirla una volta) diceva a casa o tra vecchi colleghi di lavoro o amici stretti ma che che non aveva l’ardire di dire pubblicamente. Sia per per non scatenare la sicura indignazione nel prossimo, sia per amor proprio, dato che, a parte rari casi di gente che non sta bene, sono loro stessi i primi a sapere che, nonostante guai, disoccupazione e miserie (vere o presunte), parecchio di quel che pensano e sbraitano davanti ad una paio di bottiglie di birre la sera sono effettivamente nient’altro che cazzate senza senso che vengono fuori solo per frustrazione.
    Questo e’ il genio di Trump. L’aver fiutato l’aria che tira e l’aver cinicamente adottato il linguaggio di un segmento della popolazione, di una classe sociale la piu’ lontana e antitetica a lui e della quale e’ piu’ che ovvio che , conoscendo il suo passato e il modo nel quale si e’ fatto ricco, se n’e’ sempre fregato e sempre se ne freghera’. (Mmmmh, mi ricorda parecchio qualcuno che recentemente e’ andato alla grande per quasi vent’anni in Italia….)
    Guardiamo per esempio alla controversia riguardante gli immigrati (legali e non) messicani e l’idea del muro. Una persona di discreta intelligenza come me avrebbe formulato la faccenda nel dire: costruiamo un bel muro alto e grosso, cosi’ abbiamo risolto la faccenda. Ma la genialita’ di Trump non sta in questa formulazione abbastanza ovvia e scontata. Lui il muro ha detto che lo fara’ costruire ai messicani. Se l’idea del muro (della lunghezza di qualche migliaia di chilometri) e’ oltraggiosa, quella di farlo fare ai messicani e’ oltraggiosa al quadrato. Oltraggiosa e ovviamente impossibile da far implementare. Ma qui e’ il punto. Trump non ha programmi da offrire. Non capisce niente di economia ( parte quella di far soldi), niente di politica, sua interna che estera. Niente di niente. Vende sogni. E per chi si e’ stufato di eleggere persone competenti che poi – a loro modo di vedere, spesso a ragione- non riescono a combinare niente, questa e’ troppa ghiottta occasione per farsela mancare. E se venisse eletto ma poi il muro non venisse costruito non sara’ certo colpa di Trump. Mai fidarsi dei messicani.

    • nemo 4 agosto, 2016 at 09:12

      Quello che ha fatto da lievito alla resistibile ascesa di Trump è la totale mancanza di alternative che il partito non ha saputo mettere in campo. Voglio dire con ciò che il partito, repubblicano, attraversa il momento peggiore, fino ad ora, della sua storia. Non ha saputo, o potuto, contrapporre una personalità allo strapotere mediatico del miliardario ed il risultato è questo, aggiungiamo che non ha di certo giovato la ultima presidenza che loro hanno occupato con Busch! I seguaci del novello messia repubblicano non sono, solo, gli americani conservatori ma tra loro ci sono i figli di quegli immigrati che vedono nei nuovi un pericolo. Dalla notte dei tempi il pericolo viene dal nuovo da quello che parla una lingua diversa ed ha, questo è peggio, un colore della pelle diverso. Costoro sono come gli abitanti delle periferie romane degli anni 60, il degrado era il loro pane quotidiano per il 90 per cento professavano sentimenti di sinistra ma per il restante dieci si dichiaravano di destra, un modo per distinguersi dagli altri, un modo per credere di aver fatto il salto sociale, un modo per illudersi. Chi ha fallito, perchè non c’è, almeno per il momento, è quella dirigenza nazionale del partito, ostile fino all’ultimo al milardario ma che non ha saputo , o voluto, contrastralo fino alla fine. Ed alla fine si è arresa, ora saranno gli elettori, quelli che si recheranno alle urne a decidere, al netto degli immancabili imbrogli, sia chiaro. Ora toccherà agli elettori dire la loro, ma, attenzione, il sistema lo conosciamo, gli elettori sono solo coloro che hanno o chiederanno la iscrizione alle liste elettorali, quindi coloro che intendono partecipare direttamente, non certo tutti, quelli sono la maggioranza, ma non partecipa. Fosse una nazione qualsiasi si potrebbe liquidare il tutto con una alzata di spalle, ma non lo è, questa nazione è quella che potrebbe far diventare questo pianeta un deserto nucleare, e questo dovrebbe farci, e farli, riflettere!

  2. Tigra 25 luglio, 2016 at 17:12

    Ci sono due immagini che in questo articolo colpiscono allo stomaco, e che fanno capire molte cose, quella delle palline da tennis vietate perchè più pericolose delle armi da fuoco, e quella degli elettori repubblicani che hanno ascoltato il loro partito e poi hanno fatto il contrario.
    C’è un fondo di irrazionalità nella pancia dell’America che considera normale comprare armi al supermercato, come ce n’è altrettanta nella testa di quella classe dirigente repubblicana che ha fatto urlare la gallina, e oggi queste due irrazionalità si tengono per mano.
    Probabile che a Trump non basti per vincere, ma persino Il giovane Bush era un candidato infinitamente più potabile, e non era facile regredire da quel livello…

    • Jair 25 luglio, 2016 at 18:55

      L’irrazionalità forse si manifesta in Donald Trump condita con una certa grandiosità kitsch, ma non mi pare che nel vecchio continente siamo messi tanto meglio. Le derive fascistoidi sono realtà già in troppi governi dell’Europa Centrale e Orientale, e quei governi (Ungheria, Polonia, Ucraina…) sono considerati del tutto rispettabili anche da parte nostra. Anche l’Austria è in pericolo di cadere in mano agli estremisti xenofobi, ma scommetto che a nessuno nella UE domani verrà in mente di sottoporre l’Austria a quel cordone sanitario adottato nei confronti del governo di Haider una ventina d’anni fa. Ma quello che accomuna le due sponde dell’Atlantico è prima di tutto la mancanza di politici che sappiano esprimere un progetto profondo e credibile, una visione complessiva di un modello di società. La stessa presidenza di Obama sotto questo aspetto è stata, nonostante le aspettative, molto deludente. Non possiamo stupirci che oggi abbiano successo, in America e in Europa, in mancanza di personalità che sappiano risolvere le contraddizioni della società, quelli che si appropriano e cavalcano sfacciatamente solo le posizioni più estremiste e clamorose.
      A favore dell’America mi sembra di poter dire però che ha una classe intellettuale dotata di anticorpi all’irrazionalità più vitali dei nostri. Da noi, almeno in Italia, è impossibile trovare scrittori come Ben Fountain (a me sconosciuto fino ad oggi) che si cimentino nella novella giornalistica, genere da noi praticamente estinto, e che riescano a raccontare un grande Paese con la penna leggera del narratore e non del polemista furioso.

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