le storie

Estradizione di un assassino

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Estradizione

10 dicembre 2015

Il tribunale di Dortmund ha deciso nella serata di ieri di estradare in Italia Hanefija Prijić (Paraga), il cittadino bosniaco considerato responsabile dell’uccisione di tre pacifisti italiani avvenuta il 29 maggio 1993 a Gornji Vakuf.

La Corte tedesca non ha considerato sufficienti le motivazioni espresse dall’avvocato della difesa, Almin Dautbegović, secondo cui Prijić non poteva essere giudicato due volte per lo stesso delitto, e ha accolto l’istanza presentata dall’Italia.

Prijić era già stato processato e condannato in Bosnia per aver ordinato l’uccisione dei pacifisti italiani, ma non aveva mai rivelato i nomi degli esecutori materiali né i motivi della strage.

Fabio Moreni, Sergio Lana e Guido Puletti stavano attraversando la Bosnia in guerra per portare aiuti umanitari alla popolazione di Zavidovici, e riportare in Italia un pullman con donne e bambini che sarebbero stati poi ospitati da famiglie della provincia di Brescia.

 

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                            Sergio Lana, Fabio Moreni e Guido Puletti

 

Il loro convoglio, composto da un camion e una jeep, era stato fermato dagli uomini di Paraga sulla cosiddetta strada dei diamanti, tra Gornji Vakuf e Bugojno. Dopo averli derubati, i volontari erano stati portati in una località isolata per essere uccisi. Dalla strage si salvarono fortunosamente Agostino Zanotti e Christian Penocchio, che testimoniarono al primo processo contro Paraga che si svolse a Travnik nel 2001.

Secondo notizie non ancora confermate, il processo a Prijić si dovrebbe svolgere a Brescia, città da cui provenivano due delle vittime, il giornalista italo argentino Guido Puletti e il giovane volontario Sergio Lana. La decisione finale delle autorità tedesche dovrà attendere gli esiti di un eventuale ricorso della difesa.

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                       Rovine della città bosniaca di Gornij Vakuf

Una lapide sulla strada dei diamanti

di Andrea Oskari Rossini   (da: Osservatorio Balcani e Caucaso)

 

Gornji Vakuf 20 maggio 2013

Amici e familiari hanno posto una stele nel luogo della strage dei tre pacifisti italiani Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni, uccisi il 29 maggio di venti anni fa mentre portavano aiuti alla popolazione bosniaca
“Voglio condividere con voi la memoria di quel giorno.” Agostino Zanotti, uno dei due sopravvissuti alla strage del 29 maggio, inizia un lungo racconto. Davanti a lui ci sono alcune decine di parenti e amici delle vittime, italiani e bosniaci, i rappresentanti delle autorità locali e dell’Ambasciata d’Italia.

Siamo su una strada sterrata, tra Gornji Vakuf e Novi Travnik, nel punto in cui 20 anni fa il convoglio di aiuti umanitari organizzato dai volontari di Brescia e Cremona per portare aiuti alla popolazione di Zavidovići fu fermato dai soldati di Hanefija Prijić.
Il vento solleva la polvere mentre Agostino scandisce i dettagli di una storia rivissuta chissà quante volte. Nelle cartine delle Nazioni Unite questo era un tratto della “strada dei diamanti”, un nome di fantasia per definire la lunga direttrice che da Spalato portava fino a Tuzla. Era l’unica via aperta per raggiungere Zavidovići, la cittadina a cui i volontari italiani erano legati da un’amicizia che durava da prima della guerra.

Solo poche centinaia di metri più a valle, fuori da Gornji Vakuf, i caschi blu delle Nazioni Unite avevano dato loro il permesso per il passaggio. In questo punto, però, il camion e la jeep italiane furono fermati dai soldati bosniaci.
“Erano le quattro e mezza del pomeriggio. La stagione era questa. Davanti c’era il camion con Fabio e Sergio, io ero dietro nella Lada con Christian e Guido. I soldati ci hanno fermato qui, e subito è arrivato Paraga [Hanefija Prijić, ndr], il capo del gruppo.”
Davanti ai presenti scorrono le immagini del racconto. Agostino non tralascia nessun dettaglio, come aveva fatto 10 anni fa in un’aula del Tribunale di Travnik di fronte a Prijić e ai giudici.
“Dopo averci derubati di tutto, due soldati ci hanno scortati nel bosco. Abbiamo capito che stavano per ucciderci. Eravamo in fila. Guido era il primo, poi Christian, Fabio, Sergio e io l’ultimo.”
Gli ultimi gesti dei soldati sono strappare la croce che Fabio e Sergio tenevano al collo, prima di cominciare a sparare con i kalashnikov mentre Fabio grida: “Perché?”

Agostino e Christian si salvano fortunosamente, l’uno gettandosi in un fiume, l’altro nascondendosi nel bosco. Si ricongiungeranno solo due giorni più tardi.
I cinque volontari appartenevano al “Coordinamento bresciano iniziative di solidarietà”, un’associazione laica che portava aiuti alla popolazione bosniaca e ospitava in Italia chi fuggiva dalla guerra, e al gruppo “Caritas di Ghedi”. Guido Puletti era giornalista, Christian Penocchio è tutt’ora fotografo.

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            Familiari e autorità italiane nel luogo della strage, 20 anni dopo

 

Il monumento

Il monumento deposto venerdì nel punto in cui il convoglio fu fermato è opera dell’artista bresciano Pietro Zanotti, fratello di Agostino. È diviso in due volumi, “per mostrare la frattura, l’atto violento che ha separato il gruppo dei cinque.”
Nel corso della breve cerimonia Esther Puletti, la sorella di Guido, unisce con una fune i due elementi, “per sancire la separazione fisica ma anche il permanere di una unione.”
Il sindaco di Gornji Vakuf – Uskoplje, Sead Čaušević, esprime le condoglianze alle famiglie delle vittime e il “rispetto per coloro che hanno dato la loro vita per una Bosnia Erzegovina migliore.”
Suad Omerašević, sindaco di Zavidovići, la cittadina verso cui i pacifisti erano diretti e dove prosegue ancora oggi l’esperienza di cooperazione e solidarietà avviata negli anni ’90, rivolgendosi ai presenti li ringrazia “per aver trovato la forza di accettare che quanto avvenuto il 29 maggio non appartiene alla Bosnia Erzegovina, e per aver mantenuto il ponte di amicizia creato con questo paese.”
La rappresentante dell’Ambasciata d’Italia, Ilaria Ragnoni, esprime il cordoglio dell’Ambasciata ricordando “i molti italiani che hanno portato aiuto al popolo bosniaco durante e dopo la guerra.”

Cercavamo la pace

Durante i conflitti nei Balcani degli anni ’90 furono decine di migliaia gli italiani che parteciparono a missioni umanitarie in favore delle popolazioni colpite dalla guerra. A oltre vent’anni dall’inizio di quella mobilitazione, “Cercavamo la pace” intende indagare questo importante capitolo della storia politica e sociale europea.
Hanefija Prijić, il capo del gruppo responsabile della strage, è stato condannato in secondo grado dalla giustizia bosniaca il 3 aprile 2002 a 13 anni di carcere per l’uccisione dei tre pacifisti. Ha scontato una parte della pena nel carcere di Zenica prima di accedere ad un regime di semilibertà. Secondo il computo della pena, nell’estate prossima  sarà definitivamente libero. Nel corso del processo non ha detto perché, dopo aver derubato gli italiani, li ha consegnati ai soldati per farli uccidere.

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I responsabili materiali delle uccisioni non sono mai stati individuati. Sono due dei (molti) criminali che non hanno trascorso neppure un giorno dietro le sbarre per i delitti commessi in Bosnia negli anni ’90.
Una donna di Srebrenica, amica dei pacifisti, abbraccia la sorella di Guido. “So cosa vuol dire seppellire un fratello. Io ne ho sepolti due, oltre a mio marito e mio figlio.”
La cerimonia laica si scioglie dopo gli ultimi interventi delle istituzioni. Sono rappresentati gli enti locali di Alba, Brescia e Cremona, le tre comunità che, dopo il 29 maggio,  hanno dato vita alla “Ambasciata della Democrazia Locale” a Zavidovići, e la Caritas della Bosnia Erzegovina.
Venti anni dopo, nessuno è in grado di dare una risposta alla domanda gridata da Fabio Moreni.

Restano un monumento nel bosco e il testo della lapide vergato dal poeta e scrittore Giacomo Scotti:
“Compiendo una missione umanitaria
i volontari della pace Guido Puletti, Fabio Moreni e Sergio Lana
furono qui massacrati il 29 maggio 1993.
Questa lapide posero i loro compagni.”

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