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Francesco Cossiga, il sardomuto che si mise a picconare

Francesco Cossiga, il sar

Dopo l’uragano Pertini, il Quirinale è percepito in modo diverso rispetto al decennio precedente. Ma finita la stagione dell’emergenza, la politica sente il bisogno di rimarcare i confini. In chiave elettorale, la situazione è abbastanza fluida. Assorbita l’ondata emotiva seguita alla morte di Enrico Berlinguer, la Dc ha arginato l’avanzata del Pci. Funzionale in tal senso è il consenso registrato dai socialisti di Craxi, saldamente alla guida del governo.

 

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Francesco Cossiga, capo di Stato fra il 1985 e il 1992

 

A dare le carte nelle elezioni presidenziali del 1985 tocca di nuovo alla Dc e precisamente al segretario Ciriaco De Mita che impone senza esitazioni il nome di un cinquantasettenne sardo che ha vissuto un decennio complicato Francesco Cossiga.

 

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  Ciriaco De Mita e un giovane Francesco Cossiga.

 

Nel nostro racconto lo abbiamo lasciato a Montecitorio, 1962, svenuto al momento dell’elezione di Segni. Ma sa quel giorno il giovane giurista sassarese che lavorava per lo zio appena eletto, ha fatto parecchia strada. Fiero anticomunista, nonostante la stretta parentela con Enrico Berlinguer (sono cugini), dimostra sia per maturità politica, sia nell’aspetto più dei suoi 57 anni. Nel discorso di inizio mandato, appare teso, pallido, col volto segnato dalla vitiligine. Ha somatizzato i fatti degli ultimi anni.

Quando le Br rapiscono Moro, Cossiga è ministro degli Interni. Lo statista pugliese non è un semplice collega di partito. È un amico vero, il primo a credere nelle sue capacità all’inizio degli anni ’60. Non aver potuto fare niente per fermare il calvario di Moro lo tormenterà per tutta la vita. Da presidente del Consiglio, incarico ricoperto fra l’estate del ’79 e quella dell’80, assiste inerme alle stragi di Ustica e Bologna. Sale al Colle con “prudenza, moderazione e buon senso”. Sette anni dopo, ripensare a quell’ingresso in punta di piedi farà sorridere.

 

 

La sua presidenza è da dividere in due fasi. La caduta del muro di Berlino è lo spartiacque della sua attività al Quirinale. Fino alla fine del 1989, Cossiga assolve le sue funzioni diligentemente. Una sorta di notaio. È una figura silenziosa e invisibile. Lo ribattezzano il “sardomuto”. Per comunicare usa prevalentemente un baracchino per radioamatori. I destinatari delle sue comunicazioni non sono gli italiani, ma appassionati di tutto il mondo che condividono il singolare hobby. Riempie di collaboratori sardi il Quirinale, sul quale s’ironizza possa sventolare presto la bandiera dei 4 mori.

 

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 9 novembre 1989: cade dopo 28 anni il muro di Berlino.

 

I fatti di Berlino sono un elettroshock. “È tutto finito”, gli grida al telefono l’ambasciatore italiano nella Ddr. Il Cossiga “picconatore” invece inizia proprio in quella notte di novembre. Tutto a un tratto la “democrazia bloccata” italiana non ha più senso. Sveste i panni del notaio istituzionale e comincia a parlare a braccio. Non più agli amici radioamatori, ma a tutta la nazione. Va a braccio, senza titubanze. Invoca “il vento della libertà”, la “caduta del muro italiano”. Di fatto chiude l’epoca della conventio ad excludendum nei confronti dei comunisti. La Dc scopre di trovarsi davanti un altro Pertini. Stavolta ce l’ha addirittura in casa. Perde qualsiasi remora. Confessa candidamente di aver fatto parte di un’organizzazione militare segreta, Gladio, voluta dalla Nato per prevenire l’espansionismo sovietico.

 

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Coperina del settimanale satirico Cuore del 1990.

 

Caduto il muro, si vuole togliere autentiche pietre dalle scarpe. La sinistra s’infuria, i compagni di partito restano attoniti. Ma lui prosegue quotidianamente in una sistematica dissoluzione delle ipocrisie. Si fa scudo del fatto che molti suoi critici hanno scheletri voluminosi nell’armadio. I suoi rapporti con gli esponenti del panorama politico si fanno complessi. In un discorso alla fiera di Roma del 1991, definisce Craxi “un burattinaio qualunquista, anticipandone i nefasti destini giudiziari. In tanti lo ritengono pazzo, ma al di là di una forma di ciclotimia che gli provoca frequenti sbalzi d’umore, è lucidissimo. Confessa d’ispirarsi a certi personaggi del teatro elisabettiano. In sostanza, fa il matto per dire la verità.

Nel giugno del ’91, invia alla Camera un lunghissimo messaggio. Ottantadue cartelle in cui propone una profonda revisione costituzionale. In parole povere, esorta i deputati a fare uso dell’articolo 138 per rinnovare una carta costruita in un mondo che non è più lo stesso del 1946. Il parlamento lascia cadere il suo appello. I giornali, loro sì, impazziscono per stargli dietro. Sono costretti a inventare la figura del “quirinalista”, un cronista che ogni giorno raccoglie le sue “picconate”. Un termine entrato nel gergo giornalistico e suggerito dallo stesso Cossiga.

 

 

Apostrofa gli avversari politici con appellativi dispregiativi e farseschi. Occhetto, leader della sinistra post comunista, è lo “zombie coi baffi”; De Mita, suo principale sostenitore nel 1985, diventa il “Lepido di Nusco”, bollandolo come un boss di provincia intento a spartirsi il potere, come il triumviro romano che divise l’impero con Antonio e Ottaviano. Nella Dc ci si interroga su come placarlo. La sinistra di Occhetto, coadiuvata dai Radicali, chiede l’impeachment. Cossiga reagisce dimettendosi prima dal suo partito e poi dal suo incarico presidenziale.

 

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Una tipica espressione di Cossiga.

 

Lascia il 25 aprile del 1992. È la sua liberazione. La seconda dopo quella del 9 novembre dell’89. La magistratura poche settimane dopo archivia le accuse nei suoi confronti. Nel frattempo è appena nata Tangentopoli. Ma quello Cossiga ce l’aveva già raccontato.

 

La serie: Tutti gli uomini del Quirinale

 

 

Francesco Cossiga, il sardomuto che si mise a picconare

 

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5 comments

  1. nemo 27 maggio, 2016 at 16:40

    Si, non si può avere un bel ricordo di Cossiga, o meglio di Kossiga, altro frutto non certo dolce del grande albero della Democrazia Cristiana, Con lui agli interni vi furono gli attentati e “l’incidente” Ustica, che viene ricordato, con lui agli interni vi fu il rapimento Moro, con lui agli interni vi fu la morte di Giorgiana Masi a ponte Garibaldi a Roma, coadiuvato in questo dalla volontà di Pannella di forzare la mano malgrado i divieti. Ma sopratutto, e questo lo abbiamo saputo dopo, con lui al potere quella organizzazione chiamata Gladio ebbe la possibiltà di inquinare tutte le indagini che in quegli anni , finirono,inesorabilmente in un nulla di fatto. sarà dietrologlia, forse, ma di certo venuta alla luce, dopo, la sua appartenenza a quella organizzazione non si può, certo, non pensare a quanto peso questo abbia avuto! Non a caso e per questo fu sull’orlo della destituzione d’imperio dalla carica di Presidente della Repubblica, carica che di certo negli ultimi anni del suo mandato alla quale non rese grandi servigi, meritandosi il nomignolo di “picconatore”, Lui che in altro Paese sarebbe stato immediatamente arrestato per tradimento! Prima di lui, ma per altre ragioni, più bottegaie fu costretto un altro Presidente, mazzette sugli aerei Looked, costui resistette fino alla fine, appunto ma finì per essere accompagnato al portone del Quirinale, Leone. Se si volesse completare un elenco non dimentichiamo le simpatie golpiste che ebbe un’altro di questi frutti del famoso albero di cui ho parlato. Ecco, e vorrei che fosse chiaro ai tanti “politici” che impazzano con i loro deliranti interventi, vorrei che fosse chiaro chi e cosa sono stati e da cosa ci viene la attuale classe politica. Ma, lo so, costoro non avranno pazienza di leggere, quindi è una speranza, la mia, vana!

    • Jair 28 maggio, 2016 at 10:57

      Uno strano commento, nemo. Assolutamente condivisibile fino alla chiusa. Ma la conclusione, che accomuna tutti i politici del passato in una sola, nefasta categoria, è molto tranchant e dal sapore grillino. Non tutti i vecchi politici furono come Scelba, Segni, Cossiga, e via tramando nell’oscurità fino ad Andreotti; non abbiamo avuto solo frutti dell’albero della CIA e di Licio Gelli.

      • Por Quemada 28 maggio, 2016 at 15:13

        Mi sa che ha ragione Nemo, se tutte le classi politiche di questo paese, almeno negli ultimi 50 anni, non fossero state a distanza siderale dai cittadini comuni, le cosesarebbero andate diversamente.
        E Renzi è il figlio legittimo di gente come Leone e Cossiga.

      • nemo 29 maggio, 2016 at 12:12

        Se hai visto una cosa simile la smentisco immediatamente caro Jair, come smentisco la discendenza di Renzi , quella politica sia chiaro da costoro, almeno fino ad ora, poi si vedrà ! Tra il qualunquismo generico e la azione politica ci sono differenze, notevoli. Gridare da un palco non è la stessa cosa del guidare un governo! Ma torniamo ai nostri eroi. Costoro erano non dimentichamolo sotto la tutela del grande fratello, ovvero quell’alleato d’oltre oceano che vedeva come fumo negli occhi l’avanzata del partito di Berlinguer, se rammenti vi furono grosse polemiche nelle ultime elezioni che sancirono questa avanzata, per i brogli, supposti o reali avvenuti in Campania. ma questa è storia passata, restano le ferite, quelle gravissime prodotto nel tessuto sociale di questo Paese, ma non solo! Le altre sono i morti ammazzati dal terrorismo ,che si sviluppò e crebbe in quegli anni, sempre e solo spontaneo? Non abbiamo documenti per dimostrare il contrario, e da questa mala pianta nasce, spontanea, l’autonomia. Possiamo risalire fino ai giorni nostri, non deve far piacere deve solo far riflettere, se si è in buona fede !

  2. Tigra 23 maggio, 2016 at 10:04

    Non ho un bel ricordo di Cossiga, mi è sempre sembrato una macchietta anche quando diceva la verità, un presidente del tutto privo di autorevolezza, diviso tra la soffernza personale del caso Moro, e le surreali passioni per i servizi segreti, le uniformi, le organizzazioni paramilitari e il familismo sfrenato, non ultima la carriera politica del figlio nell’armata di Berlusconi, forse il parlamentare più inutile dell’intera storia della repubblica…

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