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I muri d’Europa

I muri d’Europa

Il mondo è pieno di muri costruiti dagli uomini che sono stati aggirati, scavalcati o distrutti con una facilità spesso irrisoria, a volte da eserciti stranieri, altre volte da uomini determinati a non farsi “chiudere fuori” o “chiudere dentro”.

I più vecchi sono ormai diventati cicatrici sul corpo della storia, monumenti alla propria inutilità, ma oggi, a meno di trent’anni dalla caduta del muro che ha simboleggiato il secolo breve, in Europa se ne stanno costruendo di nuovi, soprattutto a difesa delle piccole patrie che smembrano dal di dentro un’Unione forse troppo grande e diseguale.

Non è sorprendente, difficilmente la storia insegna qualcosa, e paradossalmente sembra che nulla faccia più scuola dell’insuccesso: fa un po’ ridere pensare alla piccola Austria, uno dei paesi meno importanti d’Europa, che costruisce un recinto attorno alle sue frontiere, spinta da una pubblica opinione ad un tempo spaurita e determinata, e facendo finta di dimenticare che il muro di Berlino, a suo tempo presidiato da uno degli eserciti più organizzati del mondo, è stato spazzato via nello spazio di una notte, destinato per questo ad essere ricordato proprio per la sua caduta e non per la sua durata.

 

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 Il muro di Berlino nel 1962

 

Eppure la piccola Austria, che non inventa nulla di nuovo, e che come ogni fortezza assediata finirà probabilmente per cadere, ci sta insegnando molto sulle trasformazioni che sono avvenute nella società e nella politica negli ultimi 30 anni, di fronte ad uno dei più grandi flussi migratori mai avvenuti, che nessuno ha saputo governare in modo accettabile.

Sono trasformazioni profonde, che stiamo vedendo anche nella Polonia clericale e nell’Ungheria filofascista, oltre che nei grandi e incompiuti successi delle destre razziste e xenofobe dei paesi dell’Europa occidentale; sono avvenute in silenzio, sotto i nostri occhi e un po’ alla volta, mentre magari pensavamo che non sarebbe successo nulla e che una soluzione si sarebbe trovata: alla fine sono state le soluzioni a trovare noi, e oggi non sappiamo bene come affrontarle.

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   Il muro al confine Ungheria - Serbia

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La prima cosa che salta all’occhio della nuova destra che presidia le frontiere, con la le facce di Orban, Le Pen e Salvini, è la sua natura compiutamente politica, che non ha nulla a che fare con l’antipolitica dilagante, che invece scarica i suoi effetti prevalentemente nel campo della sinistra.
E’ una destra ideologica, profondamente identitaria, coesa, legata a valori che magari saranno pure indecenti, ma sfrontata nella sua decisione, nella sua ragione e nella sua visione del mondo.
Non ha imbarazzi, non si vergogna della sua banalità e della sua povertà culturale, ma le rivendica come valori fondanti del suo progetto di sopravvivenza; non è qualunquista, non dice che i politici sono tutti uguali, ma dice che i suoi sono diversi dagli altri, e che salvando l’identità e i confini delle piccole patrie rifonderanno anche la politica.
Orban, che probabilmente è il più cattivo, è già riuscito a farlo.

 

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Il muro di Calais

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La seconda novità riguarda la composizione sociale di questa destra, genuinamente popolare ed autenticamente capace di rappresentare gli strati sociali più poveri ed emarginati della popolazione, come alla sinistra non riesce più da almeno un paio di decenni; certo, è favorita dal fatto che la rivoluzione liberista ha arricchito la società e impoverito le persone, e dal fatto che oggi i poveri, compresa la ex classe media falcidiata dalla crisi, sono disposti a credere che la politica delle frontiere chiuse porterà più lavoro, più benessere e più sicurezza, ma resta il fatto che il linguaggio semplificatore della destra tocca oggi le corde e la sensibilità di un elettorato sul quale fino a ieri non raccoglieva che le briciole, indebolendo simmetricamente quello dell’avversario.

 

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Belfast

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La terza questione riguarda la palese inadeguatezza della sinistra a fronteggiare questo scenario, la sua incerta identità, la sua indefinibile visione del mondo, e l’assordante mancanza di proposte concrete e credibili per affrontare il combinato disposto dei flussi migratori e della corrispondente paura dei poveri d’occidente; certo, la destra è più naturalmente populista della sinistra, e usa tradizionalmente soluzioni semplici per problemi complessi, al contrario della sinistra, che invece non rifugge dalla complessità del mondo, ma non credo che questa difficoltà dipenda solo da ragioni formali, quanto piuttosto da qualcosa di più profondo e sostanziale.

I muri d’Europa

La globalizzazione non rende universale solo la ricchezza, legata all’impersonalità del denaro che governa la politica, ma universalizza anche la povertà, le tensioni sociali, le disuguaglianze e i conflitti, dentro i confini e attraverso le frontiere, senza considerare collocazione geografica, nazionalità, razza, colore della pelle, visione del mondo o religione; non esistono più mondi ricchi e mondi poveri separati da barriere precise, ma esiste un unico mondo nel quale tutto si muove secondo logiche che nessuno governa in modo completo, anzi, è più facile che siano queste logiche a governare noi.

 

Esiste una risposta di sinistra a questa complessità? A me non pare; bisognerebbe porre il problema di una più equa distribuzione del reddito a livello globale, che comunque in qualche modo avverrà, con le buone o con le cattive, bisognerebbe pensare a porre dei limiti al liberismo imperante, introducendo dei correttivi politici di tipo liberale, bisognerebbe immaginare una politica che riprende in mano il pallino del gioco e impone l’agenda alla finanza, oltre ad immaginare un modello di sviluppo che guarda al futuro del pianeta e non solo al profitto di domani.

Su questi temi esiste un pensiero di sinistra, perché la sinistra è storicamente capace di pensare e di produrre cultura, ma non esiste alcuna politica di sinistra, perché alla fine la terza via è solo la versione meno draconiana e più moderata del liberismo di Reagan e della Thatcher.

 

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Il muro al confine Grecia - Macedonia

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Di fronte alla paura della povertà e del declino la destra ha una politica, quella dei muri e della forza, la sinistra non ne ha nessuna, perché usa ancora le carte che la destra ha distribuito negli anni ’80, con le quali ha giocato da allora senza riuscire a contaminarne la natura; quella della sinistra non è una politica, non è un progetto e non è una visione, ma è al massimo una gestione dell’emergenza che guarda alla successiva scadenza elettorale, un tecnicismo che non scalda il cuore del suo elettorato e rende più greve e feroce quello dell’avversario, una rassegnata rinuncia al proprio ruolo per paura della sconfitta, senza considerare che tutto ciò potrebbe creare una disfatta ancor più rovinosa.

Perché dovrebbe essere credibile la sinistra? Perché alla lunga in un occidente destinato a diventare più povero, meno garantito e più insicuro, i cittadini dovrebbero credere a chi ha poche idee e per giunta confuse? Se la sinistra rinuncia al suo principale ruolo storico, che è quello di equilibrare la distribuzione della ricchezza, chi potrà mai impedire il suo accumulo infinito? Non sarà credibile questa sinistra figlia della sconfitta, perchè se la ricchezza dovrà essere redistribuita solo all’interno delle fasce più povere della società, con ordine e disciplina, la destra sarà più brava di lei nell’eseguire il compito, come è sempre successo.

Quel che a me sembra, e mi pare drammatico, è che la sinistra, sospesa fra liberalismo e socialdemocrazia, stia assistendo impotente alla morte di entrambe, contribuendo con ciò a realizzare la visione politica della destra rozza, populista e forcaiola del terzo millennio, che fa il verso a quella più feroce del secolo scorso; poi, siccome i muri non stanno in piedi, non ci sono mai stati, immagino che possa solo scorrere il sangue, e noi siamo troppo più ricchi, troppo più vecchi e troppo meno numerosi degli altri.

 

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5 comments

  1. Canadair 8 maggio, 2016 at 15:18

    Come sopra accennato, la globalizzazione, figlia della postmodernita’ , ha azzerato tutta una serie di fondamenta sulle quali si e’ basata la societa’ occidentale nel secolo passato: frontiere e identita’ nazionali, la classe media come componente sociale maggioritaria, portatrice di istanze di sviluppo e equita’, la supremazia della politica che dettava e guidava il mercato e ne regolava la crescita nell’ambito delle varie classi sociali, l’efficacia di interventi legislative per regolare la ciclica alternanza di sviluppo e crisi.
    Oggi tutto questo e’ stato azzerato e alle vecchia fondamenta e ai vecchi valori non si e’ ancora trovato sostituto.
    Il pensiero socio-politico della sinistra e’ in crisi dato che e’ nato, cresciuto e si e’ sviluppato nell’ambito del liberismo economico ottocentesco, le cui regole sono durate fino la seconda meta’ del secolo scorso. Ma se indubbiamente la sinistra e’ in crisi, a mio avviso ancora lo e’ di piu’ il liberalismo, il pensiero capitalista o neo-capitalista, se cosi’ lo vogliamo chiamare, specie la sua espressione di movimento di massa maggioritario e che, con l’eccezione di parentesi autoritarie relativamente brevi e marginali, ha dominato il mondo della politica dell’occidente e, quindi, del mondo.
    Se, quindi, non si puo’ negare il presente stato di crisi della sinistra, oramai incapace di proporre una valida politica alternativa al neocapitalismo liberista, bisogna pur porre attenzione a quello che veramente e’ il piu’ grande fallimento politico attuale: quello della destra moderata – riformista le cui basi sono state eradicate dalla globalizzazione e da un mercato che, come accennato sopra, si muove su logiche che si sono rese indipendenti dalla politica e che oramai non sono piu’ ne’ controllabili ne’ indirizzabili.
    Si e’ creato dunque un vuoto nel quale oramai destra illuminata e sinistra riformista si sono azzerate e hanno perso la loro identita’. Scomparse, essendo oramai incapaci di trovare un senso a quello che e’ rimasto nel loro bagaglio politico- culturale.
    Assistiamo quindi a due fenomeni. Da una parte l’attuale snaturamento della sinistra, ridotta alla ricerca di una continuita’ con quella che era la politica conservatrice illuminata, appropriandosi dei suoi valori e delle sue istanze riformiste. Dall’altra la totale inazione della destra la cui base politica fondamentale, il libero mercato, non ha piu’ bisogno di essa per esistere e operare.
    C’e assolutamente bisogno di una terza via, non intesa pero’ come una nuova versione del liberalismo, piuttosto come alternativa al capitalismo liberista cosi’ come lo conosciamo. Alternativa che non necessariamente debba essere radicale ma che ponga come base una seria riflessione sulle leggi di mercato e che ne possa fondamentalmente correggere le aberrazioni create dalla globalizzazione.

    • nemo 9 maggio, 2016 at 08:21

      Non sempre, io credo, la globalizzazione è creatrice di aberrazioni, ma è interessante la tua analisi! Lo è perchè, lo confesso mi è sfuggita , lo è perchè esamini la caduta di quelli che erano i capisaldi del pensiero sia della sinistra che della destra tradizionali.
      Sia l’una che l’altra ora sono come il famoso Re , nudi ! La rivoluzione, innazitutto geopolitica, seguita da quella sociale che oggi noi chiamiamo globalizzazione, ha creato in queste forze una…crisi d’identità, ed ha di conseguenza creato nuove, e diverse, forme di messaggi. Veniamo ad esaminare tutto questo. La sinistra, quella tradizionale, ha perduto sia chiaro in modo parziale, poi vedremo in quale percentuale, la forza del messaggio iniziale, perchè la differenza è nella modificata composizione delle classi che lo hanno ricevuto, oggi, almeno ufficialmente, nessuno parla più di proletariato. La destra, quella legaliatria si intende, ha invece perduto il suo messaggio identitario per ritrovarsi in quello classista di censo, ma molto più edulcorato da quello iniziale ! Ambedue, però hanno prodotto il loro cloni, sa pure metaforici, l’uno ha creato il gruppi, sempre spontanei, contro la globalizzazione vista come il fumo negli occhi per la sua, supposta, azione di controllo delle masse, l’altro un rigurgito del nazionalismo e, del razzismo, più becero che si credevano ormai sconfitti dalla storia. Sia gli uni che gli altri trovano terreno fertile in quella fascia di popolazione che ha naturali problemi di convivenza o di inserimento. Quel che resta sono le due ideologie, una volta, contrapposte che sono costrette alla convivenza e, a volte, addirittura a sovrapporsi con il loro messaggio, quando non ci sono, come accade oggi negli USA, forti differenze per l’insorgere di uno dei due estremismi. E quindi forti difficoltà nello schieramento che lo ha prodotto. Ecco che il messaggio della sinistra, quella non radicale somiglia al messaggio della destra , sempre non radicale. da questo,nasce la frse che sempre più spesso sentiamo ripetere, tanto sono tutti uguali, non si capisce quale è la destra e quale la sinistra. Ambedue, oggi, cercano e si rivolgono a quella classe medio borghese, che fa la maggioranza e che la determina politicamente. Che sia anche questo uno dei frutti della globalizzazione?

    • Tigra 9 maggio, 2016 at 23:37

      Mi sembra che il tuo intervento, largamente condivisibile in tutti i suoi aspetti, ponga il tema della collocazione del liberismo in un mondo sospeso fra sistemi liberali e sistemi socialdemocratici, il che ci porta inevitabilmente ad interrogarci sulla natura del liberismo.
      Io credo che il liberismo sia essenzialmente una dottrina economica, che presuppone l’esistenza della libera iniziativa imprenditoriale, cosa del tutto compatibile sia con il sistema liberale, sia con quello socialdemocratico; ciò che mi pare diventi incompatibile con entrambi i sistemi, è il liberismo trasformato in sistema politico, perchè rende la libertà economica assoluta e prevalente nei confronti di tutte le altre libertà, nella pia illusione che il mercato si possa equilibrare da solo, cosa mai successa nella storia, ma sempre raccontata con dovizia di particolari.
      I sistemi liberali e socialdemocratici sacrificano in una certa misura, diversa fra i due, tutte le libertà, morali, etiche, civili, politiche ed economiche, per restare alle principali, al fine di garantire un sistema bilanciato che tenga assieme una molteplicità di interessi; se una di queste libertà diventa assoluta a discapito delle altre, lo squilibrio conduce inevitabilmente a situazioni dove le libertà e la democrazia vengono sacrificate e compresse, in due parole nella situazione nella quale ci troviamo, magari in modo ancora discontinuo, ormai da un paio di decenni.
      Una sola cosa non mi convince del tuo ragionamento, ed è il fatto che la crisi del liberalismo possa essere più grave di quella della socialdemocrazia: mi sembrano analoghe, ma siccome fra le due c’è compatibilità con il liberismo economico contemperato dalla politica, ma non equidistanza, mi sembra che alla fine la sinistra sia messa un po’ peggio, nel senso che dal liberismo è comunque un po’ più lontana.

  2. Remo Inzetta 7 maggio, 2016 at 18:54

    Ma scusate, se la terza via non fosse stata la risposta di sinistra, per capirci i governi di Clinton e Obama in America, e quelli di Blair e Schroeder in Europa, quale avrebbe dovuto essere, quella velleitaria ed estremista della sinistra laburista, che perde le elezioni e le partite a rubamazzo, e quella della Linke?
    Proprio mai contenti, dalla sindrome della divisione la sinistra non guarirà mai, e alla fine arriverà il Trump di turno.

  3. nemo 7 maggio, 2016 at 09:19

    Di muri l’uomo ne ha costruiti molti, storici sono quello Cinese e quella Romano in Inghilterra, per dire ciò che di muri, pare, che ve ne sia stato sempre bisogno, in determinati momenti storici, nel presente ci sono , ancora, muri che dividono gli Israeliani dai Palestinesi, gli Americani dai Messicani, gli Spagnoli dagli Africani nella enclave in terra africana, quindi di muri ce ne sono stati e ce ne sono. Interessante, invece, la conclusione del tuo intervento, la sinistra, questa strana che non ha mai concluso, storicamente, il suo percorso di rinnovamento della società e di distibuzione del reddito, divisa tra le visioni demagogiche e quelle pratiche del quotidiano, eppure una strada, possibile, in Europa è stata tracciata dalla socialdemocrazia. Oggi la guardiamo estasiati per la sua ordinata società per le sue coperture sociali, non certo per il suo liberalismo, che pure c’è! Cosa vi è di diverso tra noi e quella società, così lontana dai nostri miseri parametri?
    Eppure, anche in quei posti vi è una destra, diversa da quella che conosciamo noi, la nostra accentua le paure dell’invasione esalta con i suoi messaggi la, cosidetta, superiorità morale e di razza , in quei posti è diversa la composizione sociale ma la matrice è la stessa. Oggi in Europa non ci sono più i proletari, abbiamo un grande problema, appunto di natalità, oggi in Europa ci sono le classi meno agiate, che in qualche modo il sistema sociale di protezione fa sopravvivere, ma non le tiene lontane dal vento della protesta e delle rivendicazioni, quello che, rammento, soffiò forte nel momento che Hitler conquistò la Germania. Si, la sinistra, ha grandi responsabilità, come si fa a non ammetterlo ? Auguriamoci riesca a trovare la strada giusta per venirne fuori, l’aternativa è quella che descrivi, senza remore, del bagno di sangue, spero solo metaforico.

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