le storie

L’Italia di Weimar

 

Il paradosso Giapponese è dato dal fatto che il Paese con il debito pubblico più alto al mondo, espresso in moneta nazionale e detenuto quasi esclusivamente nel mercato interno, non rappresenta un pericolo per nessuno, mentre l’Italia ha un ammontare di debito percentualmente della metà circa rispetto a quello giapponese, ma espresso in moneta comunitaria (euro) e detenuto anche da investitori stranieri, ed è vista con grande preoccupazione. La contemporanea presenza di questi due fattori (assenza di una moneta nazionale e tipologia di creditori) ci rende assai più vulnerabili e crea le premesse perché questo debito determini il motivo principale per cui tutti gli strumenti convenzionali di possibile impulso alla crescita del PIL siano inutilizzabili, stante la necessità di ferreo rispetto dei criteri di Maastricht richiesto dagli organismi comunitari.

 

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   La moneta di pietra Rai, dell'isola Yap (Micronesia)

 

Nella fase di introduzione alla moneta unica noi, come altri paesi non virtuosi (Grecia in primis) abbiamo perso l’opportunità di approfittare di un lungo periodo di tassi molto bassi per fare riforme strutturali della nostra macchina pubblica, tali da riportare il moloch debitorio in dimensioni accettabili, per non dire funzionali ad un sano sviluppo economico. Perso quel treno ci troviamo oggi a combattere, da un lato con quel debito in lenta, inesorabile crescita e dall’altro a non trovare strumenti idonei per dare impulso ad un’economia asfittica senza andare ad intaccare le regole che abbiamo accettato di rispettare. I problemi che, strada facendo, ci si prospettano (p.e. la crisi del sistema bancario) non sono altro se non facce della stessa medaglia e le soluzioni appaiono, spesso, peggiori del male che si vuole curare.

In questo clima di incertezza i movimenti populisti che invocano il ritorno alla moneta nazionale si trovano dinanzi a immense praterie ove poter cavalcare senza colpo ferire perchè la tentazione di ritenere che le soluzioni a problemi così complicati siano facilmente alla portata e basti coglierle al volo è assai appetita, specialmente da parte delle fasce più deboli della popolazione, le quali, pur di uscire dal baratro nel quale stanno precipitando sono disposte a credere a qualsiasi cosa.                 L’Italia di Weimar

L’occupazione ed il PIL crescono con esasperante lentezza, i consumi latitano ed i prezzi, inesorabilmente, tendono a diminuire in una corsa al ribasso che sembra l’estremo tentativo, per molte aziende, di resistere sino all’ultimo respiro in attesa che l’aria finisca ed il corpo si accasci. Le strade delle nostre città sono disseminate di saracinesche abbassate e di cartelli “Vendesi/Affittasi” i quali sono latori delle ultime grida disperate di una popolazione nella quale il disagio economico e sociale sta erodendo, man mano, la fiducia in un futuro possibile.        L’Italia di Weimar

Viene scontato il parallelo con quella Germania uscita in situazione, per certi versi, analoga, dalla Prima Guerra Mondiale: piena di debiti, con un’industria a pezzi, mortificata dagli accordi di Versailles (a leggerli, scapperebbe quasi da ridere; in parte venne prescritto alla Germania ciò che l’Europa, a trazione tedesca, sta prescrivendo alla Grecia e a noi); ciò che è più difficile ricordare è come la Germania di Weimar sia uscita da quel periodo talmente buio da essere rimasto ben impresso nel DNA dei tedeschi.          L’Italia di Weimar

 

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Iperinflazione del marco

 

Nei libri di storia si racconta di un paese economicamente e socialmente distrutto, con una disoccupazione dilagante e la svalutazione del marco alle stelle; fu così che, un popolo orgoglioso, ferito e allo stremo delle forze, cedette alle lusinghe di un giovane austriaco un po’ bizzarro ma dalle idee assai chiare. Ed è qui che la Germania entra nel suo periodo “carsico” per riemergere poi potenza economica e militare, pronta alla conquista del mondo; tutto questo in 5 anni, dal 1933, anno in cui Hitler arrivò alla Cancelleria di Berlino sino al 1938 anno in cui si completò la rinascita tedesca per preparare quella che poi è stata, l’anno successivo, l’invasione della Polonia con il conseguente scoppio della seconda guerra mondiale.    L’Italia di Weimar

Cosa è accaduto in quei 5 anni di così potente da risollevare un Paese distrutto sino a farlo diventare una delle potenze economiche e militari più importanti al mondo? Come riuscì Hitler a ricostruire, mattone dopo mattone, un paese alla fame e dichiarare poi guerra la mondo in soli 5 anni? La rinascita ha un nome ed un cognome, Hjalmar Schacht (figura politicamente ambigua che fu tra gli imputati al processo di Norimberga), ed uno strumento finanziario, la “moneta fiscale”.         L’Italia di Weimar

 

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 Hjalmar Schacht

 

Hjalmar Schacht venne nominato da Hitler a capo della Banca Centrale Tedesca nonché del Ministero dell’Economia, con il compito, apparentemente impossibile, di rianimare un cadavere pronto per la sepoltura. Il buon Schacht, che riuscirà poi a sopravvivere alle vicende del nazismo uscendo indenne dai numerosi processi del dopoguerra, per morire infine di vecchiaia nella sua città di elezione, Monaco di Baviera, si trovò a dover, sostanzialmente, combattere la stessa guerra la quale, in proporzioni ridotte, sta combattendo Piercarlo Paodan: paese in crisi economica, impossibilità di indebitare ulteriormente uno Stato già al collasso, stretti vincoli di bilancio imposti dalle nazioni uscite vincitrici dal primo conflitto mondiale. In sostanza, e come adesso (fatte le debite proporzioni), impossibilità ad utilizzare in modo efficace alcuna delle armi a disposizione del responsabile economico di uno Stato, senza arrivare, alternativamente, ad affamare di più il popolo o ritrovarsi con eserciti stranieri in patria.

 

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La storia dell’uomo è fatta di ingegno ed il progresso ha avuto l’apporto di menti raffinate le quali, di fronte a problemi apparentemente irrisolvibili, hanno trovato quella strada che, sino ad allora, nessuno aveva mai trovato; fu così che Schacht si inventò le cambiali-MEFO che oggi, in un’accezione più moderna, potremmo definire i Certificati di Credito Fiscale. Nell’impossibilità di battere nuova moneta e titoli del debito pubblico, al fine di aumentare la disponibilità liquida per le aziende, Schacht fece emettere a favore delle aziende tedesche questi certificati i quali potevano essere utilizzati come moneta di scambio per beni e servizi o addirittura (ma solo dopo due anni dall’emissione) scontati attraverso un’ente terzo (il Mefo, appunto) per essere convertiti in marchi. Queste cambiali potevano anche essere utilizzate per pagare i debiti fiscali e consentirono nel giro di pochissimo tempo allo Stato tedesco di dare impulso prorompente all’industrializzazione risollevando un’economia allo stremo, ma nel pieno rispetto dei vincoli imposti a Versailles alla fine della Prima Guerra Mondiale.

 

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Cambiale MEFO

 

 

Senza addentrarci in inutili e difficili argomentazioni computistiche, nella sostanza, lo Stato tedesco ripagò questi debiti nominalmente contratti dai cittadini nei suoi confronti, con l’enorme incremento di introiti fiscali dovuti all’esplosione del PIL per effetto della prorompente ripresa economica e ben prima che le potenze alleate potessero rendersene conto, accadde esattamente ciò che con gli accordi vessatori post bellici avevano in tutti i modi cercato di evitare: che la Germania risorgesse.          L’Italia di Weimar

 

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Più d’uno, oggi, pensa che il trattato di Maastricht sia stato studiato con lo stesso identico scopo: impedire alla nostra economia quell’espansione che la nostra inventiva e genialità (unite ad un bel po’ di spregiudicatezza) hanno ripetutamente consentito nei decenni passati; purtroppo adesso non abbiamo la svalutazione competitiva a fare da traino e il dissesto dei conti pubblici sta li a dimostrare che non è stampando moneta all’infinito che si può alimentare l’economia, cosicchè le sirene che vaticinano l’uscita dall’euro alimentano solo falsi miti. Ecco, la Germania di Hitler ci ha fornito lo spunto di riflessione su come poter alimentare l’economia di liquidità senza dar luogo ad impennate inflazionistiche incontrollabili e nel pieno rispetto degli accordi giacchè, formalmente, i Certificati di Credito Fiscale aumentano i debiti privati e non quelli dello Stato i quali vengono poi coperti con interventi fiscali (utilizzo di surplus) che nessun accordo vieta di utilizzare; già, sembra l’uovo di colombo: perché nessuno se ne accorge e quei pochi che ne parlano sono completamente inascoltati?

Per approfondimenti:

 

L’Italia di Weimar

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7 comments

    • M.Ludi 6 luglio, 2016 at 17:14

      Ci siamo abituati, negli anni, a dover approfondire la nostra capacità critica nei confronti di ciò che viene o non viene fatto dai nostri governanti in virtù del fatto che, evidentemente, si sono reiyteratamente dimostrati inadatti a risolvere i problemi. La democrazia rappresentativa non consente di essere attori oltre i momenti in cui si esercità il diritto di voto, ma ormai ci siamo abituati anche a maneggiare con disinvoltura termini e concetti che fino a pochi decenni or sono non facevano certo parte del bagaglio di un elettore medio; impareremo, strada facendo, anche altro.

  1. Genesis 6 luglio, 2016 at 09:00

    La storia, quella vera, forse, noi comuni mortali, non la conosceremmo mai, ma possiamo intuirla?
    Da dove nasce l’impero di Weimar? Da una sommatoria di annessioni e battaglie del XIX secolo, fino all’apice delle rivoluzioni interne del dopo 1918. Mantennero i reali del tempo, benché più perdenti del più perdente del mondo, forse perché le ricchezze accumulate nei secoli, a partire dalle scorrerie barbare, sarebbero servite a qualcosa?!? Uscì un austriaco dal nome che fece storia della prima metà del XX secolo: Adolf Hitler. Chi era costui?
    Per i tedeschi l’Austria sta alla Germania come al nord Italia sta il mezzogiorno: continui sfottò per via delle “differenze culturali”…eppure il baffetto ce la fece…ma come?
    Fece, appunto, l’affabulatore sia nei confronti della popolazione ormai allo stremo “la ricchezza del III Reich è nostra, non dei principi che ci hanno portato in questa situazione”, sia nei confronti dei potentati Esteri che avevano investito nelle fabbriche d’acciaio della Ruhr…
    Ma come mai, in pochi anni, dopo due guerre mondiali così vicine Perse nuovamente la Germania detta legge? Sono più bravi di tutti? Hanno l’inventiva italiana? No…nulla di tutto questo!
    Do uno spunto per trovarne spiegazione: i trattati del dopoguerra (la seconda) portarono il grosso dei risarcimenti agli Stati vincitori: Russia, Francia, Inghilterra e USA. Francia e Inghilterra avevano già possedimenti germanici e presero di sana pianta le fabbriche tedesche facendole fruttare nelle proprie nazioni. Spesso e volentieri le fabbriche rimasero in Germania, ma a conduzione estera…poi naturalizzata. A nazioni devastate come Grecia, Italia, Spagna ecc. promisero risarcimenti che da lì a poco sarebbero stati dimezzati (con l’annessione della DDR) e poi non più riconosciuti. In pratica è stato lasciato modo ai tedeschi di comandare nuovamente per la terza volta in un secolo. Ora guerre non se ne fanno più in Europa…forse…perché con questo termine si identificano armi e rovine, ma una guerra c’è comunque, radicata da quando tempo fa nacque una moneta falsa ECU, che permise l’iper valutazione del marco…
    Questa è la storia che le più disparate letture mi hanno portato a pensare. Non c’è storico che fin ora abbia distrutto la mia tesi…

    PS: l’articolo inizia col rapporto del debito pubblico giapponese confrontato con quello italiano. Effettivamente la differenza sostanziale è quella che indica il buon Ludi…, ma…dei vari debiti pubblici, l’Italia è tra le poche nazioni che può vantare un debito coperto dal solo patrimonio in oro detenuto dalla Banca d’Italia che è il III al mondo dopo USA e Germania (di questi ultimi bisognerebbe capire, per quanto sopra, quanto sia l’oro rubato…)

    • Por Quemada 6 luglio, 2016 at 17:31

      Non sono una storica, e non ho conoscenze che mi permettano di commentare questo blog e interloquire con chi ne ha scritto, ma onestamente pensavo che Weimar fosse una reubblica scalcinata, perchè lo definisci addirittura un impero?

      • Genesis 8 luglio, 2016 at 06:30

        …perché fu esattamente l’espressione di una repubblica monarchica fondata sull’impero prussiano…ciò che diede i natali al III Reich e che fece del popolo tedesco l’incontrastato e incontrastabile dominatore d’Europa per diversi decenni, libero di fare ciò che più gli aggradava. Per “fortuna” che gli interessi mondiali sull’Europa erano già di gran lunga sovraesposti e le manie espansionistiche naziste (del baffetto) divennero maniacali e pericolose, tali per cui, dopo le varie invasioni tedesche in Mitteleuropa, si decise di contrastarle. Poi venne fuori la storia delle ruberie. Poi venne fuori la storia delle uccisioni sommarie. Poi venne fuori la storia del tentato sterminio degli ebrei, del quale nessuno, ripeto, nessun buon tedesco sapeva e non si chiedeva da dove provenisse quella cenere che tingeva di grigio strade e case come fosse neve.
        Ancora oggi nessuno si chiede quali siano o da dove provengano le enormi ricchezze tedesche…quasi per timore reverenziale. Ma sarà un timore?…bah, forse un minimo di fondamento ce l’ha…

  2. Jair 6 luglio, 2016 at 07:55

    Non essendo un economista, trovo la lettura di questo pezzo abbastanza impegnativa, ma ugualmente intrigante. Cercando di andare oltre i “peccati” politici incancellabili dell’ideatore di questo strumento nella Germaniza nazista, il progetto è sicuramente interessante, ma mi fa sorgere qualche dubbio. A differenza della Germania del 1933, noi non ci troviamo in una fase economica di depressione che dipende solo da avversità temporanee o dall’ostilità di alcune potenze straniere. Siamo un’economia fortemente depressa soprattutto per cause profondissime e interne al nostro Paese. La nostra capacità produttiva è andata evaporando negli ultimi tre decenni, a causa sia della delocalizzazione che della finanziarizzazione scelta dalle imprese già manifatturiere. Parallelamente, non abbiamo sostituito gli impieghi persi dal manifatturiero con equivalenti (almeno in termini di stipendi complessivi) impieghi nel terziario avanzato, soprattutto per la nostra insufficiente preparazione scolastica e universitaria. In aggiunta, abbiamo una popolazione che invecchia assai più rapidamente di quelle dei Paesi nostri vicini e concorrenti, e che non ha più propensione ad aumentare gli acquisti, senza contare che i nostri mercati sono già saturi in tutti i settori, particolarmente in quelli tradizionalmente strategici dell’edilizia e dell’automobile. Il mio dubbio è appunto che uno strumento come i CCF sia sufficiente a rilanciare un’economia così profondamente depressa, perchè la scommessa sta tutta lì: o la distribuzione dei CCF riesce a rilanciare i consumi in modo poderoso, oppure si traduce, già a medio termine, in una drammatica riduzione delle entrate fiscali, creando ulteriori e gravi situazioni di sofferenza.

    • M.Ludi 6 luglio, 2016 at 17:10

      Ti ringrazio per l’approfondita disamina che denuncia, anche se dichiari di non essere un economista, di avere una masticazione discreta della materia; per fare si che la tua digestione, nel complesso, sia congrua 🙂 , si rendono necessarie un paio di puntualizzazioni:
      1) Per quanto riguarda la tua difficoltà nel sorvolare sul fatto che Schacht sia stato organico al nazismo, ti riporto le testuali parole scritte da J.M. Keynes in proposito:
      “Il dottor Schacht è inciampato per disperazione in qualcosa di
      nuovo che aveva in sé i germi di un buon accorgimento tecnico.
      L’accorgimento consisteva nel risolvere il problema eliminando
      l’uso di una moneta con valore internazionale e sostituendola
      con qualcosa che risultava un baratto, non però fra individui,
      bensì fra diverse unità economiche. In tal modo riuscì a tornare
      al carattere essenziale e allo scopo originario del commercio,
      sopprimendo l’apparato che avrebbe dovuto facilitarlo, ma che
      di fatto lo stava strangolando. Tale innovazione funzionò bene,
      straordinariamente bene, per coloro che l’avevano introdotta, e
      permise a una Germania impoverita di accumulare le riserve
      senza le quali non avrebbe potuto imbarcarsi nella guerra.
      Tuttavia, come osserva Henderson, il fatto che tale metodo sia
      stato usato a servizio del male non deve impedirci di vedere il
      vantaggio tecnico che offrirebbe al servizio di una buona causa”.
      2) La frase di cui sopra, credo che possa egregiamente servire a dare spiegazione anche alle ulteriori perplessità che manifesti nel corso del tuo intervento.
      Le differenze tra La Germania del 1933 e l’Italia di oggi sono evidenti ma vorrei focalizzarti sul fatto che certe volte, una semplice medicina riesce a curare mali apparentemente dotati di diversa complessità; certo, non è con i CCF che potremo supplire a madre natura (ed a qualche piccolo sforzo umano) per porre rimedio all’eccessivo invecchiamento della popolazione, ma, anche in questo, l’analisi degli eventi bellici ci può essere di aiuto: con la fine della guerra la natalità esplose nuovamente indice del fatto che in momenti di crisi si fanno sicuramente meno figli.

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