le storie

Robert Kurz e la critica al capitalismo globale

Nel 1991, il mondo, dopo aver assistito alla caduta del muro di Berlino due anni prima, assiste al crollo dell’Unione Sovietica e di tutti i regimi comunisti dell’Europa orientale. Questo evento fu visto dall’opininone pubblica mondiale come riprova che il capitalismo liberista delle democrazie occidentali fosse l’unico sistema socio-politico possibile. In quello stesso anno si pubblica, in una Germania proprio allora unificata, un libro dal titolo ‘Il crollo della modernizzazione: Dalla caduta del socialismo da caserma alla crisi economica mondiale’. Libro che apparve, a prima vista, fuori tempo e fuori luogo. L’autore, Robert Kurz (1943 – 2012) a quel tempo era conosciuto solamente nei piccoli circoli della sinistra radicale della Germania occidentale per essere il responsabile di una rivista a bassissima diffusione, Krisis (Crisi). Nel suo libro Kurz, lungi dal proclamare il trionfo del capitalismo occidentale, descrive la caduta dei paesi dell’est europeo come una tappa del graduale collasso del sistema economico capitalista mondiale. La tesi dell’autore è che, dopo due secoli, il modo di produzione e di scambio capitalista (operante – sia ben inteso – in entrambi i paesi ad economia liberista e in quelli socialisti), ha raggiunto i suoi limiti di sviluppo, cominciando a perdere il suo ruolo di modello economico sostenibile. Prendendo gli scritti di Marx come base teorica di elaborazione, Kurz scrive un libro ricco di spunti e di tematiche che, a quasi un quarto di secolo dalla sua pubblicazione, è ancora sorprendentemente originale. L’autore parte dall’analisi dei modi di produzione contemporanei basandosi sulla classificazione data da Marx delle sue componenti: Merce, Valore, Lavoro astratto e Moneta. La razionalizzazione della produzione, che prevede la sostituzione del lavoro umano con la tecnologia, mina alla base la produzione del valore e, quindi, del plusvalore, che è l’unica motivazione per la produzione di beni di consumo. Tuttavia è la manodopera, necessaria per produrre beni, che a sua volta crea valore e plusvalore. In questo contesto, il modello economico dell’URSS non è stato altro che una variante nel mercato liberista mondiale, operante con gli stessi principi, gli stessi metodi e gli stessi valori. Unica differenza sostanziale tra il capitialismo liberista occidentale e il capitalismo di stato di modello sovietico è l’avvenuto trasferimento della proprietà dal privato alla collettività, gestita da una oligarchia per tutto simile in struttura ai consigli di amministrazione dei grandi agglomerati d’impresa occidentali. Quindi, se l’URSS non agiva come paese veramente socialista, questo non era solo dovuto alla dittatura della classe privilegiata dei burocrati sul proletariato e il popolo tutto, ma soprattutto perché le principali categorie del capitalismo, la Merce, il Valore, il Lavoro, la Moneta, erano stati messi in discussione ma, alla fine, mai aboliti. Il sistema socio-politico instaurato con la rivoluzione d’ottobre, quindi, non era un alternativa al sistema capitalista, piuttosto la rimozione dello zarismo agrario russo, anello debole e obsoleto del sistema capitalista, con un modello economico più moderno, del tutto simile a quello occidentale, con uno sviluppo economico basato sull’industria e su un efficente e sistematico uso delle risorse, sia naturali che umane. Il ragionamento, per molti versi profetico di Kurz, è che, tuttavia, il meccanismo per il quale i paesi del socialismo reale erano rimasti vittime, sta portando in crisi anche i ‘vincitori’. Col capitalismo dei paesi occidentali che sarebbe ben presto entrato in una fase di grande fermento, concludendosi col collasso finale delle società liberiste basate sul consumismo e sul feticismo delle merci. Crisi, questa, creata dall’impossibilità di contenere gli enormi guadagni di produttività – in particolare derivate dalla microelettronica a cominciare dagli anni ‘70 – nella camicia di forza del valore della produzione delle merci. Il Valore infatti, come forma sociale, non riconosce l’utilità effettiva delle Merci. Esso considera solo la quantità di Lavoro astratto che essi contengono, cioè, la quantità spesa in termini di pura energia umana, misurata nel tempo. Crisi che, in effetti, si è puntualmente verificata e che ora attanaglia stabilmente le economie liberiste dell’occidente. La ‘preveggenza’ di Kurz è il risultato del rigore e alla serietà della sua analisi, parzialmente condivisa anche da analisti ben lontani dall’area marxista. Il nocciolo della crisi delle società liberiste attuali è l’evoluzione – o involuzione, a seconda del punto di vista – del libero mercato da economia reale a economia fittizia, col credito e le altre forme di valore monetario astratto – come i valori azionari e i prezzi immobiliari – che sono aumentati irragionevolmente. Questo per poter continuare a nutrire investimenti speculativi e, conseguentemente, profitti di rendita che inevitabilmente finiscono in una spirale di crescita destinata periodicamente a sgonfiarsi, con deleterie ripercussioni sull’economia reale. La sperequazione sociale e la presenza di un ceto in posizione privilegiata ai ceti medi e inferiori, era in precedenza legittimizzata dal fatto che il primo, investendo capitali (ricchezza), generava ulteriore ricchezza della quale si avvantaggiava tutta la società, tramite la creazione di posti di lavoro nel manufatturiero e nei settori ad esse collegate. Si è creato quindi un mercato internazionale basato, piuttosto che sul valore delle merci e dello scambio, sul credito e sulle altre forme di valore monetario astratto, trainato da un mercato azionario sempre più scollegato con l’economia reale, Questo è all’antitesi del fondamento del capitalismo liberista e ne sta minando irrimediabilmente le fondamenta. Al punto che oggigiorno non si riescono a trovare correttivi per fermare quello che sta diventando una vera e propria catastrofe. In questo contesto si colloca la teoria dell’analisi al Valore elaborata da Kurz, che è da una parte una critica al capitalismo e a tutte le sue varianti e, dall’altra, una critica all’approccio attuale alla teoria anti-capitalista. Critica cioè ai concetti di lotta di classe e del proletariato come soggetto rivoluzionario, alle concezioni progressiste di difesa del lavoro e dei lavoratori e alla concettualizzazione del capitalismo come costituito essenzialmente da una dominazione da parte della classe capitalista proprietaria dei mezzi di produzione. Infatti, non solo il capitalismo come modello economico si stà dimostrando fallimentare, ma sono entrati in crisi anche le vecchie concezioni di emancipazione basate sul proletariato e sulla classe operaia. Categorie oramai superate e rimpiazzate dai disoccupati, dai sottoccupati e da una classe di persone messa peggio della classe operaia dei tempi di Marx: coloro che non troveranno mai lavoro. Derubati, non solo della possibilità di provvedere alle proprie necessità, ma anche della stessa dignità e del diritto di poter vivere alla stessa maniera e con gli stessi parametri di tutti gli altri. Una classe in continuo movimento e evoluzione, alla quale appartengono una moltitudine di persone che si allarga sempre più, quasi tutte appartenenti alla sfera del ceto medio. Sia giovani in perenne carenza di lavoro, i sottoccupati, i disoccupati, vittime di una recessione sempre più feroce e incalzante. Per Kurz, l’evoluzione del capitalismo nelle forme attuali, l’evolversi dello sfruttamento, dalla classe operaia alla classe dei disoccupati e sottoccupati, necessita una risposta fondata dal presupposto che il capitalismo non sarà sconfitto dall’opposizione delle masse operaie, piuttosto dalla crisi sopravvenuta nell’economia liberista che ha bisogno, per esistere, di una continua e costante creazione di Valore. Creazione di Valore reale che si è ridotta notevolemente con lo sviluppo tecnologico e con la rivoluzione microelettronica, e che è ora stato sostituito da Valore fittizio, necessario ad alimentare il mercato azionario e quindi l’illusione di crescita economica. Come è possibile spiegare altrimenti il fatto che, nonostante la crisi e l’impoverimento generale, l’economia dei paesi occidentali continua – anche se in misura molto ridotta – ufficialmente a crescere? Certamente i dati ufficiali non ne hanno decretato la decrescita, mentre il livello di vita, la produzione e l’occupazione sono calate notevolmente. E qui Kutz torna al pensiero di Marx come punto di partenza per la comprensione di come il Valore assume un ruolo fondamentale, sia nel successo iniziale che nel fallimento finale del capitalismo. Marx aveva capito che la società capitalista, nel suo complesso, è dominata da fattori anonimi e impersonali. A questo, aggiungeva il fatto che il lavoro nella forma di “lavoro astratto”, pura spesa di energia, che dà valore delle materie prime, e che quindi costituisce la sostanza del capitale. è categoria “feticista” e negativa. Per Kurz, al fine di trovare un’alternativa alla crisi finale del capitalismo liberista, è necessario in primo luogo mettere in discussione la natura della Merce e della Moneta, del Lavoro e del Valore, categorie che appaiono ai più astratte ma che, in ultima analisi, determinano il nostro fare quotidiano. Bisogna quindi scollegare il concetto di Produzione dal concetto di Lavoro e il concetto di Valore da quello di Surplus. Le conclusioni di Kunz sono che nessun progetto di emancipazione può essere basato sul lavoro come inteso dal capitalismo, in quanto il lavoro non è mai corrisposto alle attività produttive umane, o come lo spiega Marx col metabolismo con la natura. Il Lavoro, inteso come forma sociale, è un’astrazione che riduce tutti gli attori sociali a espressioni quantitative della stessa sostanza sociale priva di contenuto, finalizzata a nient’altro che al proprio accumulo. Produzione che non serve per soddisfare i bisogni, ma solo l’obiettivo di creare surplus, o, come viene comunemente chiamato, profitto. Esso non fa altro che ripetersi, ma su scala sempre più ampia, seguendo un cieco dinamismo che consuma energia umana e risorse naturali. Kurz, morto purtroppo precocemente, ha aperto un’interessante capitolo alla critica post marxiana, dimostrando che, nonostante (o meglio, grazie al) esaurimento dell’esperienza del socialismo reale, è possibile partire dal pensiero di Marx per sviluppare una teoria politico-sociale progressista che possa rispondere positivamente alle tematiche odierne. Con l’obiettivo di formulare tematiche che creino una reale alternativa al capitalismo liberista attuale, in preda ad una crisi che la sta portando velocemente alla sua fase finale.

 

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