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Sandro Pertini, un vecchietto rampante per unire il Paese

Sandro Pertini, un vecchietto rampante per unire il Paese

La guerra civile italiana a bassa intensità ha raggiunto il suo punto più alto. I 55 giorni della prigionia di Aldo Moro si sono conclusi con la morte del leader democristiano. Una pugnalata al compromesso storico e ai tentativi di pacificazione fra le forze politiche. L’Italia è smarrita. Il governo ha scelto di non trattare con le Brigate Rosse. Un atto di fermezza pagato a caro prezzo. La politica si è trincerata dietro un esecutivo di solidarietà nazionale. Una soluzione d’emergenza. La sfiducia popolare nelle istituzioni è ai massimi livelli. Il successore di Giovanni Leone deve essere una figura d’impatto, capace di rappresentare un popolo che ormai guarda al Palazzo con sentimenti ostili e diffidenti.

 

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 Sandro Pertini, Presidente dal 1978 al 1985

 

Le consuete schermaglie passano in secondo piano. La questione morale tirata in ballo da Enrico Berlinguer diventa il requisito fondamentale per accedere al Quirinale. La priorità è trovare un simbolo in cui la nazione possa identificarsi. Una sorta di totem. L’identikit è fatto e risponde al nome di Sandro Pertini, un ligure di 82 anni, socialista della prima ora. Pertini riassume tutta la sofferta parabola del ‘900 italiano, un secolo di trionfi e tragedie. Di fughe e ritorni. Di carceri e liberazioni.

Viene eletto con la maggioranza più alta di sempre: l’83% dei votanti. Praticamente tutti, tranne i missini. Per salvare presente e futuro, i parlamentari scelgono la via dei valori costituenti: lavoro, solidarietà e antifascismo. Principi antichi che l’ottuagenario politico savonese riesce a modernizzare. Instaura da subito un rapporto empatico con il Paese. Si presenta come un nonno bonario capace di stare in mezzo alla gente. Ovunque ci sia bisogno di far sentire la presenza dello Stato, Pertini c’è sempre.

Porta il Quirinale in mezzo agli italiani. E apre le porte dell’edificio a tutti. Incontra bambini, anziani, lavoratori. Sempre, ostinatamente, dalla parte dei più deboli. Ama ed è amato. Se fosse una rockstar e provasse a tuffarsi dal palco, la folla potrebbe sorreggerlo per chilometri. Simpatia e rigore morale fanno di lui un esempio da seguire.

 

 

I suoi messaggi alla nazione con la pipa in bocca infondono sicurezza e tranquillità in un periodo di ripetute tragedie pubbliche e private. Parla un linguaggio semplice, dritto al cuore. Non si sente affatto un eroe, ma solo “il primo impiegato dello Stato”. Prende il Quirinale come un ufficio e ogni giorno, all’ora del tramonto, “stacca” e torna nel suo appartamento vicino alla fontana di Trevi.

 

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Pertini e Giovanni Paolo II.

 

È un ateo convinto, ma crea una relazione speciale con il nuovo papa, un polacco che ha i suoi stessi valori umani. Passano ore insieme a parlare, come due amici, dimenticando qualsiasi barriera religiosa.

Da un punto di vista politico, si rende protagonista di discutibili atti di esuberanza istituzionale. Un giorno, cercando di alleggerire la posizione della Dc nell’esecutivo, s’inventa la nomina di due viceministri non democristiani. È un’invenzione extracostituzionale. Tecnicamente una follia. Pertini chiede scusa e la questione si chiude lì. Abituato per indole a rompere gli schemi, usa lo stesso metro in politica.

S’intestardisce nell’assegnare la guida del governo a un esponente repubblicano, schieramento da sempre ago della bilancia per la tenuta dei precari esecutivi del Dopoguerra. Ci prova invano con La Malfa, ma ci riesce con Giovanni Spadolini. È il 1981 e per la prima volta l’Italia non ha un democristiano a Palazzo Chigi.

 

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    Pertini conferisce l’incarico a Bettino Craxi. È il 1983.

 

Due anni dopo pensa di affidare lo stesso incarico a Bettino Craxi, il leader del nuovo socialismo. Personaggi popolari e straordinariamente diversi. Due socialisti alla guida dell’Italia. Uno scenario che si realizza nel 1983. Preceduto da un inatteso momento di suspense. Craxi entra al Quirinale per ricevere l’incarico. Ma esce dopo pochi minuti. I cronisti s’interrogano sul motivo e trovano presto la risposta. Il futuro Presidente del Consiglio si è presentato in jeans. Pertini, più o meno gentilmente, lo ha invitato ad andarsi a cambiare.

 

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Pertini esulta sugli spalti del Santiago Bernabeu.
        L’Italia è campione del mondo ’82.

 

Negli occhi di tutti gli italiani resta la sua immagine festante dei mondiali di Spagna ’82. In quell’esultanza c’è l’orgoglio di una nazione che necessita di gioie, anche solo di una notte, per sconfiggere anni di dolore. Un bisogno semplice che nessuno come lui, eccezionalmente popolare senza falsi populismi, sa incarnare. Chiude il settennato nominando un cardinale come senatore a vita.

 

 

Il suo appello ai giovani del 1981 diventa il manifesto di una generazione. Se vedesse come stanno le cose oggi, con la disoccupazione giovanile al 44%, farebbe una sfuriata delle sue. O forse cercherebbe testardamente un modo per abbassarla. E se non ci riuscisse, troverebbe di sicuro parole di speranza. Autentiche. Senza spin doctor alle spalle.

 

La serie: Tutti gli uomini del Quirinale

 

Sandro Pertini, un vecchietto rampante per unire il Paese

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