le storie

I Navigli di Leonardo

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Alla scoperta di Milano e dei suoi canali

di Michele Broccoletti

 

La città di Milano riassume in sé un paradosso: è distante dai grandi fiumi, ma allo stesso tempo è ricchissima d’acqua. Dove sia quest’acqua, pochi lo sanno, ma già citando la parola Navigli, possiamo dare una parziale spiegazione. Il termine ‘navigli’ significa letteralmente ‘navigabili’ e si riferisce al sistema dei canali che in passato circondava la città.

Attualmente, per i milanesi, la parola Navigli identifica i due tratti scoperti del Naviglio Grande e del Naviglio Pavese, quest’ultimo collegato con la Darsena. Oltre a questi, vi è anche il Naviglio Martesana situato nel nord-est della città.

Dell’antico sistema dei canali quindi, ne restano oggi visibili solo tre, mentre tutti gli altri navigli vennero progressivamente coperti dall’Ottocento in poi, fino a quando, negli anni Trenta, fu realizzata la copertura totale della cerchia interna.

Per entrare nello specifico, dobbiamo dire che il sistema dei Navigli ha un’origine antichissima e tutt’oggi rappresenta uno degli aspetti più caratteristici ed affascinanti di Milano.

Costruiti fra il XII ed il XVI secolo, i navigli sono sostanzialmente dei canali artificiali, progettati, almeno inizialmente, a scopo difensivo, ma utilizzati in seguito anche al fine di fornire l’acqua necessaria per la vita della città e per le attività artigianali e mercantili.

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È il 1179 l’anno in cui i milanesi decidono di scavare un lungo canale in modo che, prendendo l’acqua dal Ticino, la portasse in città: non a caso questo canale prende inizialmente il nome di Ticinello. I lavori del Ticinello, che poi diverrà il Naviglio Grande, si concludono nel 1257.

Siamo invece intorno alla metà del XV secolo, quando Francesco Sforza ordinò di trasformare il già esistente canale della Martesana (fatto costruire, nella seconda metà del 1300 da Galeazzo II, per portare acqua dall’Adda al parco del Castello di Porta Giovia) in naviglio. Iniziata nel 1464, quest’opera procede speditamente fino alle porte di Milano, superando, per mezzo di sofisticati ponti-canali, i fiumi Molgora e Lambro. Successivamente i lavori si interrompono per parecchi anni, soprattutto a causa del forte dislivello presente nell’ultimo tratto del percorso: questi problemi tecnici saranno superati alla fine del Quattrocento, con la costruzione di un sistema di conche.

Arriviamo infine al 1805, anno in cui Napoleone fece ultimare la costruzione del Naviglio Pavese, che da Milano si estende fino alla città di Pavia per trentatre chilometri. Anche questo naviglio, come la Martesana, nasce da un canale già esistente fatto costruire, sempre da Galeazzo II, per convogliare verso sud le acque del Ticinello. È quindi nel 1805 che venne realizzato quello che per secoli fu il sogno dei milanesi: il mare si poteva raggiungere tramite il Naviglio Pavese ed il Po, il lago Maggiore tramite il naviglio Grande ed il Ticino, il lago di Como tramite il Naviglio della Martesana e l’Adda.

Il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese e la Martesana sono i tre canali principali – ancora oggi esistenti – dell’intero sistema dei navigli, che comprendeva anche una serie di canali più piccoli, i quali scorrono ora sotterraneamente.

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Ma qual è il contributo che Leonardo da Vinci diede per migliorare il sistema dei Navigli? Leonardo trascorre a Milano quasi venticinque anni della sua vita, inizialmente presso la corte degli Sforza (1482-1499) e, a partire dal 1506, al servizio dei Francesi.

Prima di arrivare a Milano, Leonardo scrive a Ludovico il Moro di saper condurre acque da un loco all’altro. Come ogni ingegnere chiamato a una corte così importante, anche Leonardo stila un promemoria con le cose da fare, da vedere e da verificare a Milano e, in partenza per la capitale del Ducato, porta con sé certi strumenti per novili.

Da numerosi disegni contenuti nei codici, sappiamo che Leonardo è sempre stato attirato dalle opere idrauliche e dall’acqua: questo suo interesse mostra solamente un aspetto del suo metodo di osservazione e rappresentazione del paesaggio, allo stesso tempo artistico, naturalistico ed ingegneristico.

È proprio durante il primo soggiorno milanese, che Leonardo disegna una suggestiva pianta della città: per la prima volta, oltre ad essere annotate le porte di Milano, con le loro distanze espresse in braccia milanesi, appare nella cartografia anche il tratto del naviglio della Martesana, tra Porta Nuova e Piazza S. Marco.

Appena arriva a Milano, Leonardo decide di impegnarsi ed applicarsi per apportare ulteriori miglioramenti all’intero sistema dei canali: « prima farò alcuna esperienza avanti che io proceda ».

Tra tutti i navigli milanesi, quello a cui dedica maggiore attenzione, è il Naviglio Grande: « vale 50 ducati d’oro. Rende 125.000 ducati l’anno il Naviglio ed è lungo 40 miglia e largo braccia 20 ».

È così che Leonardo definisce il Naviglio Grande, sintetizzandone le caratteristiche tecniche ed economiche prima di elaborare le note idrauliche sulle quantità erogate dalle ‘bocche’.

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Dobbiamo sapere che anche all’epoca di Leonardo, l’acqua di irrigazione veniva fatta pagare e per questo, una delle prime innovazioni del genio fiorentino, fu quella di migliorare il funzionamento delle bocche, in modo da far corrispondere effettivamente le once d’acqua erogate con il prezzo pagato.

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I navigli sono da sempre stati importanti anche per fornire energia alle molte ruote idrauliche che, nel XV secolo, contribuiscono a rendere il sistema produttivo milanese uno dei più sviluppati in Europa. Leonardo si sbizzarrisce disegnando e progettando numerose macchine utensili che sfruttano l’energia dell’acqua: basandosi sulle sue conoscenze di meccanica, produce movimenti sempre più complessi ed automatizzati applicando tali innovazioni, in particolar modo alle macchine tessili.

In età sforzesca infatti, l’industria tessile era molto vivace e sviluppata, e il commercio di tessuti di lusso aveva una grande importanza per l’economia del Ducato: è proprio grazie alle invenzioni di Leonardo, sia nel campo della filatura che in quello della tessitura, che si iniziano ad avere i primi telai completamente automatici, anticipando di tre secoli i modelli utilizzati durante la Rivoluzione Industriale.

Altre due innovazioni importanti realizzate da Leonardo, riguardano le draghe e i ponti. In particolare progettò una draga per ‘cavare la terra’ dai fondali di conche e canali. La draga era costituita da quattro pale, le quali, mosse da una manovella, raccoglievano fango e detriti, per poi depositarli in una zattera ormeggiata al centro della draga.

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Per quanto riguarda, invece, i ponti, Leonardo si concentrò sulla realizzazione di due tipologie: il ponte-canale ed il ponte-mobile. Secondo Leonardo, soprattutto i ponti-mobili erano estremamente importanti per consentire la navigazione o connettere e isolare palazzi, borghi e città. Ecco ciò che affermava Leonardo rivolgendosi a Ludovico il Moro: « Ho modi di ponti leggerissimi e forti, e atti a portare facilissimamente, e con quelli seguire e alcune volte […] fuggire li inimici, e altri securi e inoffensibili da foco e battaglia, facili e comodi da levare e ponere ».

Tali ponti, come spiega Leonardo, avevano spesso funzioni militari e venivano progettati per essere costruiti velocemente, utilizzando materiali di fortuna, come assi e barche.

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Infine, tra tutti i miglioramenti che Leonardo apportò alla rete dei navigli, sono da ricordare tutte le innovazioni collegate al sistema delle conche, fondamentali per permettere le comunicazioni fra bacini di diverso livello.

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La conca sfrutta il principio della chiusa che è, sostanzialmente, uno sbarramento che separa due specchi d’acqua con differente livello. La funzione principale della conca è quella di consentire il passaggio di navi ed imbarcazioni tra due specchi d’acqua a quote diverse. La chiusa è composta dai seguenti elementi: due o più porte stagne mobili, un invaso situato tra le porte, un sistema di tubazioni e valvole per mettere in comunicazione l’invaso con l’esterno della chiusa e, eventualmente, un sistema di pompaggio per il riempimento o lo svuotamento forzato dell’invaso. Aprendo le valvole, si mette in comunicazione l’invaso con uno specchio d’acqua.

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Il livello, all’interno della chiusa, per il principio dei vasi comunicanti, raggiunge quello esterno al lato in cui è stata aperta la comunicazione. Questa operazione permette l’apertura della porta senza turbolenza, consentendo l’accesso ai mezzi all’interno della chiusa. Ripetendo l’operazione sull’altro lato, il livello dell’acqua nella chiusa aumenta o diminuisce fino a raggiungere quello dello specchio d’acqua esterno; l’apertura della porta consente l’uscita del mezzo.

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Nel miglioramento del sistema delle conche, Leonardo risultò fondamentale. Oltre a progettare gradoni per attutire l’impatto dell’acqua, inserì un portello a doppio battente: un perno decentrato garantiva un’apertura graduale sotto la spinta dell’acqua. Il portello veniva azionato da un chiavistello, manovrabile dall’alto, che permetteva una migliore regolazione della pressione esercitata dall’acqua sulle porte delle chiuse, azionate di continuo durante il passaggio delle imbarcazioni.

STONavigli10Di tutte le invenzioni e progetti che Leonardo ideò, dobbiamo infine dire che molti rimasero sulla carta, ma, al di là di ciò, ci piace ora immaginare cosa farebbe Leonardo ai nostri giorni, nel momento in cui stanno nascendo progetti di riaperture, seppure parziali, della rete originaria dei navigli, che fanno pensare alla riscoperta di un patrimonio unico della città di Milano.

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3 comments

  1. Blue 9 novembre, 2015 at 17:15

    Bellissimo articolo dell’arch. Broccoletti. Mi permetto alcune precisazioni/integrazioni.

    La storia delle acque milanesi si può riassumere in due momenti fondamentali. Il primo, che risale ancora all’epoca imperiale (Massimiano III sec. d.C.) in cui le acque dei vari fiumi, rogge e canali che solcavano la Mediolanum tardo-romana – Seveso ed il canale da esso derivato, la Vettabbia, l’Olona, il Vepra (successivamente Vetra) e numerosi altri minori – conferivano alla città un aspetto idilliaco con “immagini di fiumi e canali, sponde arboree lussureggiati ed un argenteo guizzare di pesci” (frate Bonvesin de la Riva: “De magnalibus urbis Mediolani”). Ad esso seguì il periodo delle grandi aziende agricole cistercensi che con le loro intense canalizzazioni determinarono un forte depauperamento delle portate originali dei fiumi veri e propri. A quel punto, in epoca comunale, basandosi sul già avviato sistema fluviale cittadino, si rese possibile una organizzazione ed un adeguamento in senso militare – quale opera di difesa – e mercantile – quale mezzo di comunicazione e di trasporto – dell’impianto idraulico costituito dai canali urbani.
    Allora (1179) come specificato nell’articolo, si iniziò l’opera di derivazione dal fiume Ticino del canale denominato “Naviglio” (il Tesinello) fino a Gaggiano. Agli inizi del XIII sec. (1209) si iniziò a parlare di un Naviglio “extra Portam Ticinensis”, intendendo prolungare l’esistente fino entro il territorio urbano. Nel 1271 in Ticinello (Naviglio Grande) arriva fino a Sant’Eustorgio. Si ha notizia che si era arrivati a costituire un sistema di canali navigabili solcati da un notevole flusso di imbarcazioni – cariche di legname, carbone, fieno, materiali da costruzione – a fronte di un notevole sviluppo economico della città.
    Si rese necessaria in quel frangente una serie di lavori particolarmente onerosi per eliminare le chiuse e le intersezioni incontrollate con i corsi d’acqua esistenti che il Naviglio incontrava nel suo tracciato verso il territorio urbano dopo uno sviluppo che, a lavori ultimati, misurava oltre 50 km con un dislivello di quasi 34 m. Il progetto idraulico, molto complesso (seconda metà XIII sec.), fu affidato all’ingegner Giacomo Arribotti che fece costruire volte sotterranee, canali secondari di scarico, paraporti, paratie etc, applicando i principi fondamentali dell’idrostatica a quel tempo ancora in fase di studio sperimentale. Alla fine del 1300 si diede inizio ai lavori di costruzione della “Fabrica” (il Duomo) e si arrivò ad ipotizzare di mettere in comunicazione i canali della fossa interna con il Naviglio (Grande) allo scopo di sfruttare l’intero percorso fluviale per il trasporto dei marmi di Candoglia (in prossimità del fiume Toce, all’imbocco della Val d’Ossola) con i quali si andava edificando la cattedrale. Per colmare il dislivello tra la darsena del Naviglio a Sant’Eustorgio ed il laghetto della Fossa interna a Santo Stefano (dislivello di 5 braccia, 3 m circa) – il punto più prossimo alla erigenda cattedrale – si dovette ricorrere all’aumento della portata del canale di congiunzione – sospendendo ad ore determinate tutte le erogazioni di acqua – e all’innalzamento del livello con il sistema di chiuse. Nella fase iniziale il sistema idraulico adottato si avvalse di paratie primitive in legno che dovevano essere montate di volta in volta e creava notevoli disagi (con conseguenti lamentele) ai monaci che si occupavano delle campagne, a causa delle sospensioni di fornitura d’acqua. Fu allora che si elaborò il progetto delle “conche” (la cui paternità fu erroneamente attribuita, dalla iconografia ottocentesca, a Leonardo che, comparendo a Milano molti anni più tardi, operò solamente un ammodernamento del sistema di vincolo e scorrimento delle paratie medesime).
    Dunque una Milano fluviale e moderna, all’avanguardia nel sistema dei trasporti. Peccato, come sostiene Kokab, che tutto quel patrimonio di opere e di cultura si sia dissipato poi successivamente. D’altra parte per una città “liquida” era naturale che si sfociasse nella craxiana Milano “da bere”. 🙂

    • Gennaro Olivieri 9 novembre, 2015 at 19:31

      E non solo si è perso tutto il patrimonio di competenze e gran parte di quello storico: con l’urbanizzazione selvaggia di Milano e hinterland, nell’ultimo secolo si è parallelamente realizzato un gigantesco e stupidissimo disegno di imbrigliamento, sotterramento e cementificazione delle acque milanesi. Finche copri i Navigli , quelli non protestano: ma se cementifichi i fiumi, come Seveso e Olona, che scorrono per decine di chilometri sotto l’asfalto e il cemento di Milano, qualche guaio c’è da aspettarlo. Se a questo aggiungiamo l’enorme innanlzamento delle falde acquifere sotto la città, causato sia dalla chiusura di tutti i fontanili e risorgive di cui era ricca la pianura milanese, che dal mancato prelievo d’acqua in seguito alla chiusura di tutti gli stabilimenti industriali nel corso degli ultimi trent’anni, i guai diventano certi.
      E i guai succedono ripetutamente, a ogni pioggia abbondante. Seveso e Olona esplodono fuori dai tombini e allagano le strade delle zone nord della città, la falda buca le pareti delle gallerie della Metropolitana nella zona sud. Da città d’acqua siamo riusciti a trasformare Milano in città nemica dell’acqua.

  2. Kokab 8 novembre, 2015 at 22:33

    per quel che capisco i navigli sono stati una fantastica opera di ingegneria, ed uno straordinario volano di svilupppo economico e culturale, di secoli all’avanguardia sul loro tempo, sui quali leonardo ha lasciato un’impronta molto significativa.
    non so quali altri paesi avrebbero lasciato morire un’opera che collegava milano al mare e ai grandi laghi del nord ovest, e i secondi al primo, ma questo è successo e come spesso accade abbiamo perso un’opportunità e un pezzo della nostra storia.
    naturalmente sarebbe stata una sorpresa il contrario.

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