le scienze

Il paradosso di Russell

di Marco Fulvio Barozzi

 

“Il problema dell’umanità è che gli sciocchi e i fanatici sono estremamente
sicuri di loro stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi”

 

Ci sono molti motivi per ricordare Bertrand Russell (1872–1970). Innanzitutto la sua attività filosofica e scientifica, di cui si occuperà questo articolo, ma anche la sua figura di pacifista che pagò personalmente per le proprie convinzioni e quella di scettico in campo religioso che lo portò a scrivere tra il 1925 e il 1954 gli articoli e i pamphlet raccolti in Perché non sono cristiano. Un intellettuale poliedrico e completo, pienamente immerso nella sua epoca, qualche volta solitario, sempre convinto assertore delle proprie idee e servitore solo di esse. La sua figura spicca nel cielo del Novecento come una stella di prima grandezza, difficile da imitare.

 

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Il suo paradosso è considerato una delle più celebri antinomie della storia del pensiero logico e matematico.

 

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Nella sua definizione più formale esso afferma:

Sia R l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Allora R appartiene a se stesso se e solo se R non appartiene a se stesso. Simbolicamente,

 

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che è un’evidente contraddizione.

 

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Sembra che Russell abbia scoperto l’antinomia nella tarda primavera del 1901, mentre lavorava ai suoi Principles of Mathematics (1903). Cesare Burali-Forti, un assistente di Giuseppe Peano, aveva già scoperto una antinomia simile nel 1897, quando rilevò che poiché l’insieme Ω degli ordinali è ben ordinato, possiede tutte le proprietà di un numero ordinale e dovrebbe quindi essere considerato a sua volta un numero ordinale. Tuttavia, questo ordinale deve sia essere un elemento dell’insieme di tutti gli ordinali sia essere maggiore di tutti i suoi elementi, generando la contraddizione:

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Diversamente dal paradosso di Burali-Forti, quello di Russell non considera ordinali o cardinali, avendo invece a che fare solo con il concetto originario di insieme.

Russell scrisse del paradosso a Gottlob Frege il 16 giugno 1902. Il paradosso era fondamentale per l’attività logica di Frege poiché, mostrava effettivamente che gli assiomi che Frege stava utilizzando per formalizzare la sua logica erano inconsistenti. Nello specifico, la Regola V di Frege, che stabilisce che due insiemi sono uguali se, e solo se, i valori delle loro funzioni corrispondenti coincidono per tutti gli argomenti possibili, richiede che un’espressione come f(x) sia considerata sia una funzione dell’argomento x, sia una funzione dell’argomento f. Fu proprio questa ambiguità che consentì a Russell di costruire R in un modo tale che poteva sia essere sia non essere un elemento di se stesso.

La lettera di Russell giunse proprio mentre il secondo volume degli Grundgesetze der Arithmetik era in procinto di essere stampato. Comprendendo subito le difficoltà che il paradosso poneva, Frege aggiunse all’opera un’appendice scritta frettolosamente in cui discuteva della scoperta di Russell. In questa appendice Frege osserva che le conseguenze del paradosso di Russell non sono immediatamente evidenti. Per esempio, “È sempre lecito parlare dell’estensione di un concetto, di una classe? E se no, come riconosciamo i casi eccezionali? Possiamo sempre dedurre dall’estensione di una coincidenza del concetto con quella di un secondo che ogni oggetto che cade entro il primo concetto cade anche entro il secondo? Sono queste le domande sollevate dalla comunicazione del signor Russell”. Con grande signorilità e onestà intellettuale, Frege diceva anche: “Uno scienziato può difficilmente scontrarsi con qualcosa di più indesiderabile che avere i fondamenti spazzati via proprio quando il lavoro è terminato. Sono stato messo in questa situazione da una lettera del signor Bertrand Russell, quando l’opera era in procinto di essere data alle stampe”. A causa di queste vicende, alla fine Frege si sentì costretto ad abbandonare molte delle sue idee sulla logica e la matematica. Egli ritenne la teoria degli insiemi responsabile della confusione che si era creata (e Wittgenstein seguì Frege su questo punto) e giunse, negli ultimi anni della sua produzione scientifica, a sostenere che non si può fondare l’aritmetica sulla sola logica, perché tramite la logica sola non abbiamo la certezza che ci venga dato alcun oggetto.

 

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Wittgenstein da Logicomix

 

Naturalmente Russell era anch’egli preoccupato per la contraddizione. Subito dopo aver letto che Frege concordava con lui sul significato della scoperta, iniziò immediatamente a scrivere un’appendice al suo Principles of Mathematics, anch’esso in via di pubblicazione. Intitolata “Appendice B: la Dottrina dei Tipi”, l’appendice rappresenta il primo tentativo dettagliato di Russell di fornire un metodo corretto di evitare ciò che sarebbe divenuto noto come il “Paradosso di Russell”.

Il significato del paradosso di Russell può essere colto una volta che si è compreso che, utilizzando la logica classica, tutte le proposizioni derivano da una contraddizione, Ad esempio, assumendo che sia P sia ¬P, qualsiasi proposizione arbitraria Q può essere provata come segue: da P otteniamo P∨Q dalla regola dell’addizione; poi da P∨Q e ¬P si ottiene Q dalla regola del Sillogismo distintivo. A causa di ciò, e poiché la teoria degli insiemi è alla base di tutte le branche della matematica, molti iniziarono a temere che, se la teoria degli insiemi fosse stata inconsistente, non si sarebbe più potuto fare affidamento su nessuna dimostrazione matematica.

 

La maggior parte dei tentativi di risolvere il paradosso si sono concentrati su diverse maniere di restringere i principi che governano l’esistenza degli insiemi che si trovano nella teoria ingenua degli insiemi, particolarmente il cosiddetto assioma di Comprensione (o di Astrazione) per cui, data una proprietà, si può assumere l’esistenza di un insieme ben determinato che corrisponde a questa proprietà. In termini più formali, questo assioma afferma che ogni funzione proposizionale, P(x), che contiene x come variabile libera può essere usata per definire un insieme. In altre parole, corrispondendo a ogni funzione preposizionale, P(x), esisterà un insieme i cui elementi sono esattamente quelle cose, x, che hanno la proprietà P.

La risposta di Russell al paradosso fu la sua ben congegnata Teoria dei Tipi. Ravvisando che l’auto–referenza si trova nel cuore del paradosso, l’idea di fondo di Russell è che possiamo evitare il coinvolgimento di R (l’insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi) organizzando tutte le proposizioni (o, allo stesso modo, tutte le funzioni preposizionali) in una gerarchia. Il livello più basso di questa gerarchia consisterà di proposizioni riguardanti gli individui. Il livello successivo consisterà di proposizioni riguardanti insiemi di individui. Quello successivo consisterà di proposizioni riguardanti insiemi di insiemi di individui, ecc. È allora possibile riferirsi a tutti gli oggetti per i quali vale una data condizione (o predicato) solo se essi sono allo stesso livello o dello stesso “tipo”.

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Questa soluzione al paradosso di Russell è motivata in gran parte dal cosiddetto principio del circolo vizioso, un principio che, in effetti, stabilisce che nessuna funzione preposizionale può essere definita prima di specificare lo scopo di applicazione della funzione. In altre parole, prima che una funzione possa essere definita, bisogna specificare esattamente quegli oggetti a cui si applicherà la funzione (il dominio della funzione). Ad esempio, prima di definire il predicato “è un numero primo”, bisogna prima definire la collezione di oggetti che potrebbero soddisfare il predicato, in questo caso l’insieme N dei numeri naturali.

Come spiegò lo stesso Russell:

“Un’analisi dei paradossi da evitare mostra che tutti risultano da una specie di circolo vizioso. I circoli viziosi in questione nascono supponendo che una collezione di oggetti possa contenere elementi che possono essere definiti solo per mezzo della collezione nella sua totalità. Così, ad esempio, una collezione di proposizioni sarà supposta contenere una proposizione che afferma che “tutte le proposizioni sono sia vere sia false”. Sembrerebbe, tuttavia, che una tale asserzione non possa essere legittimata senza che “tutte le proposizioni” sia riferita a qualche collezione già definita, la quale non può darsi se le nuove proposizioni sono create da asserzioni riguardanti “tutte le proposizioni”. Dovremo pertanto dover dire che le affermazioni circa “tutte le proposizioni” sono prive di significato. (…) Il principio che ci consente di evitare totalità illegittime può essere espresso come segue: “Qualunque cosa comporti la totalità di una collezione non deve far parte della collezione stessa, o, viceversa, “Se, ammesso che una determinata collezione abbia un totale, essa possiede elementi definibili solo nei termini di tale totale, allora la detta collezione non ha totale”. Chiameremo ciò il “principio del circolo vizioso”, perché ci consente di evitare contraddizioni derivanti dall’assunzione di totalità illegittime” (Whitehead and Russell in Principia Mathematica,1910, ed. 37).

Da ciò consegue che nessuna funzione potrà includere oggetti definiti nei termini della funzione stessa. Perciò le funzioni proposizionali (con le loro proposizioni corrispondenti) finiranno con l’essere organizzate in una gerarchia esattamente del tipo che propone Russell.

Sebbene Russell introdusse la sua teoria dei tipi per la prima volta nei Principles of Mathematics del 1903, essa raggiunse la sua espressione matura cinque anni più tardi nell’articolo del 1908 “Mathematical Logic as Based on the Theory of Types” e, soprattutto nell’opera monumentale Principia Mathematica, scritta in collaborazione con Alfred North Whitehead (1910, 1912, 1913), di cui quest’anno ricorre il centenario. La teoria dei tipi di Russell appare così in due versioni: quella “semplice” del 1903 e quella “ramificata” del 1908. Entrambe le versioni sono state criticate per essere concepite troppo ad hoc per eliminare con successo il paradosso. Inoltre, anche se la teoria dei tipi riesce a eliminare il paradosso di Russell, non è essa che essa riesca a risolvere altri paradossi.

 

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Russell mostrò che non è detto che, dato un concetto o una proprietà, si possa sempre definire un insieme ad esso corrispondente, senza cadere in contraddizione. La discussione sul paradosso di Russell ebbe il merito di rendere i logici più consapevoli della natura dei sistemi formali e delle implicazioni metalogiche e metamatematiche ad essi associati. Come ha scritto Douglas C. Hofstadter nel celebre Gödel, Escher, Bach, Adelphi, Milano, 1984:
“La teoria dei tipi aveva risolto il paradosso di Russell, ma non aveva nessun effetto sul paradosso di Epimenide [del mentitore] o sul paradosso di Grelling. Per chi non spingeva il proprio interesse oltre la teoria degli insiemi ciò bastava, ma quanti erano interessati ad eliminare i paradossi in generale avrebbero dovuto procedere ad una qualche analoga “gerarchizzazione”. Alla base di una gerarchia del genere vi sarebbe un linguaggio-oggetto. In esso sarebbe possibile riferirsi soltanto a un dominio specifico e non ad aspetti del linguaggio-oggetto medesimo, come regole grammaticali o enunciati particolari del linguaggio; per parlare di questi, vi sarebbe un metalinguaggio. Questa esperienza dei due livelli linguistici è familiare a tutti coloro che imparano una lingua straniera. Vi sarebbe poi un metametalinguaggio nel quale si discute sul metalinguaggio, e così via. Si richiederebbe ad un enunciato di appartenere a un preciso livello della gerarchia. Di conseguenza, se per un dato costrutto linguistico non fosse possibile individuare un livello di appartenenza, questo costrutto dovrebbe essere giudicato privo di significato e dimenticato”.

Doveva ancora arrivare Gödel, ma questa è un’altra storia.

 

Questo articolo è in gran parte debitore a: Irvine, A. D., “Russell’s Paradox”, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Summer 2009 Edition), Edward N. Zalta (ed.).

Le illustrazioni disegnate da LogicomixEditrice Guanda

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13 comments

  1. dinamite bla 3 ottobre, 2015 at 15:32

    un insieme qualsivoglia di regole non è sufficiente ad auto spiegarsi, ergo il quesito non ha risposta. godel in salsa ossolana. ciò detto è divertente pensare come i tre principi fondamentali della conoscenza prima, godel, heisemberg e pauli siano delle negazioni… duemila e quattrocento anni e siamo ancora a socrate 😉

  2. Genesis 3 ottobre, 2015 at 05:59

    La risposta al paradosso di Russel è “Probabilmente Si”, il che vuol dire che si, in un numero irrazionale, che ricordo a tutti essere composto da infinite cifre dopo la virgola, può esserci una stringa che ricomponga pi greco o qualsiasi altra diavoleria irrazionale anch’essa…”probabilmente” indica che nell’infinità che la mente umana concepisce può esserci spazio per l’irrazionalità…ma questo lo sapevamo.
    Quindi, legandomi ad un altro articolo su modus, posso indicare quanto affermavo in quei commenti: spesso la filosofia sfocia nelle scienze, invadendo il campo…quasi mai è possibile il contrario…la difficoltà, comunque, la creiamo ad arte!

    • Kokab 3 ottobre, 2015 at 11:41

      sul “probabilmente si” ho già espresso più sotto le mie perplessità, ma vorrei che tu chiarissi in quale modo leghi il problema di zamboni al paradossso di russel.
      sulla parte conclusiva del tuo ragionamento, senza entrare nel merito del rapporto fra filosofia e scienza, che ci porterebbe lontano, e fermo restando che spesso complichiamo la vita per mera irrazionalità, chedo che quest’ultima abbia diversi significati in psicologia e in matematica.
      in ogni caso a me pare che la scienza in generale semplifichi i problemi, e che il suo livello di apparente complicazione dipenda solo dalla complessità dei problemi.

      • Genesis 3 ottobre, 2015 at 12:06

        Vedi Kobab, fin da piccolo davo risposte ad enigmi che mi facevano pensare: ricordo che una volta destabilizzai un prete dando una semplice risposta ad un “mistero”…semplicemente possibile!
        Non lego Russel a Zaniboni, ho provato a dire la mia sul paradosso! Infinite cifre indicano un’infinità di variabili tra le sequenze dei numeri…variabilità che possibilmente potrebbe portare ad una sequenza conosciuta, meno irrazionale…

  3. dinamite bla 1 ottobre, 2015 at 22:55

    Russell è un genio talmente sfaccettato e brillante (anche se una volta fu sonoramente dialetticamente bastonato) che non oso neppure commentare manco uno dei suoi più nazionalpopolari arzigogoli quale è il paradosso, o meglio antinomia, del barbiere…
    molto più terraterramente invece vi giro una domanduccia, sempre in materia, dell’amico vincenzo zamboni, mente acuta: “dite se a parer vostro data una stringa di n cifre, con n a piacere, è obbligatorio che essa compaia, prima o dopo, nello sviluppo decimale di pi greco, o radice di due, o radice di tre, o comunque un numero irrazionale . detto in altri termini, dite se un irrazionale debba necessariamente contenere una qualsivoglia stringa data, oppure no.” egli risponde, brillantemente argomentando (post visibile sul mio fb) di no… io invece antinomicamente, dico ni (argomentando)… voi che ne pensate? pongo in palio la soffiata su chi bastonò dialetticamente nientepopòdimeno che il nostro bertie… 😉

  4. M.Ludi 28 settembre, 2015 at 09:17

    Credo che le caratteristiche principali dei paradossi siano sostanzialmente due: il fatto di essere costruzioni logiche che portano a contraddire l’opinione comune su di un dato argomento o esperienza, e il fatto che siano possibili solamente se si applica al ragionamento un rigore assoluto, tale da smontare l’abitudine corrente di adattare la realtà a ciò che vorremmo anzichè vederla per ciò che realmente è.
    In sostanza il paradosso è un esercizio difficile e faticoso, che finisce per essere ostico ai più, non tanto perchè non comprendano ciò che esso significa, quanto perchè la libertà di pensiero che il paradosso esprime, fa paura, mina le cinvinzioni radicate, tende a far mancare la terra sotto i piedi.
    Il suo limite è dato dal fatto che, spiegato un paradosso, bisogna subito prepararsi a quello successivo in una sorte di dannazione perpetua nella quale l’umanità vive. Dobbiamo però, onestamente ammettere che se l’uomo ha visto un costante progresso, lo si deve non solo all’esperienza empirica di coloro i quali, osservato un fenomeno, si sono impegnati a spiegarne le dinamiche, ma anche al percorso tortuoso del pensiero di altri che hanno scoperto le falle nella conoscenza ufficiale, proprio applicando ad essa metodologie di analisi come quella per cui Russel è rimasto, giustamente famoso.

    • Tigra 28 settembre, 2015 at 11:20

      Condivido, in fondo Galileo, che se ne intendeva, ci ha spiegato che la matematica è la lingua nella quale sono scritte le leggi dell’universo, e il paradosso di Russel sta al confine fra logica e matematica.
      Probabilmente il fatto di non dare il giusto peso al pensiero più sofisticato è uno dei limiti della nostra cultura, e non credo sia un caso che alcuni dei paesi emergenti, mi vengono in mente Cina e Corea, considirano la matematica uno dei fondamenti del sapere e dei programmi scolastici; magari emergono un po’ anche per quello.

  5. Kokab 28 settembre, 2015 at 00:58

    biografia straordinaria quella di bertrand russuel, III° conte di russel e membro di una delle più importanti famiglie dell’aristocrazia inglese fin dal XII° secolo.
    è stato un convinto pacifista ed un noto sciupafemmine: durante la prima guerra mondiale è stato imprigionato per sei mesi per essersi schierato contro la guerra, ma siccome era pur sempre il nipote di un primo ministro, ha potuto godere di vari trattamenti di favore, non escluso il fatto di poter ricevere liberamente le visite delle sue molte donne, il cui traffico era diretto, con difficoltà, dalle guardie carcerarie.
    le sue idee su sesso, morale e religione hanno poi fatto si che negli stati uniti, dove ha soggiornato durante il secondo conflitto mondiale facendo il professore, fosse espulso da ogni ordine di scuola e rimanendo per questo privo di risorse; a seguito di questa momentanea indigenza è stato obbligato a scrivere la “storia della filosofia occidentale”, libro al quale deve sostanzialmente il premio nobel per la letteratura; di passaggio, non mi viene in mente un esempio migliore di testo divulgativo, per chiarezza espositiva e rigore di pensiero.
    nel ’48, a 76 anni, si è salvato a nuoto da un incidente aereo, nel mare del nord, e ancora nel ’61, nove anni prima di morire quasi centenario, è riuscito a farsi rimettere dentro per il consueto pacifismo radicale; è stato maestro di wittgenstein, mentre benedetto croce, che secondo me non era affatto un genio, lo considerava un perfetto imbecille, ritenendo altresì la logica matematica una pura scemenza.
    alla fine degli anni ’20 l’attività di russel come matematico poteva dirsi conclusa, e il paradosso che porta il suo nome, in realtà più propriamente un’antinomia, era servito per fare a pezzi il lavoro di frege, che oggi viene considerato solo da qualche specialista, ma che è stato un logico del livello di aristotele e leibnitz; russel ammirava frege, che nel frattempo per la disillusione si era dato all’ippica, e avrebbe poi cercato di risolvere al suo posto il problema del fondamento logico della matematica attraverso la teoria dei tipi; la soluzione di russel, che in seguito e per tutta la vita avrebbe fatto finta di niente, sarà smontata nel ’31 da godel: a sua difesa va detto che il paradosso del barbiere è stata la chiave di volta per dimostrare l‘incompletezza della matematica e di qualunque altro sistema formale, anche se lui ci ha provato ugualmente.
    la storia del paradosso del barbiere tiene quindi assieme frege, russel, hilbert e godel, oltre che, in diversa misura, peano, kantor e zermelo, come dire alcune delle menti più brillanti degli ultimi due secoli, e faccio fatica a pensare che sulla logica matematica avesse ragione l’ultimo dei grandi idealisti.
    forse russel non è stato il migliore in nulla, ma la sua capacità di essere eclettico ne fa uno dei grandi del pensiero moderno, e per riuscire a dargli veramente torto una volta, è stato necessario un uomo il cui cognome significa dio in due lingue diverse, un uomo che einstein aveva voluto conoscere perché era veramente curioso di incontrare un genio.

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