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Italicum: tutti vincitori?

 

 

La Corte Costituzionale ha finalmente prodotto, dopo essersi presa un periodo di studio doveroso ma anche tanto lungo da apparire dilatorio , il suo supremo giudizio sui ricorsi in merito alla legittimità della Legge elettorale oggi vigente per la Camera, Legge fortemente voluta dal governo Renzi, e che forse per questa nobile paternità venne soprannominata pomposamente “Italicum”. Ancora una volta i giudici costituzionali sono riusciti a emettere una sentenza che immediatamente appare a tutti mirabile sia per dottrina che per equilibrismo (cosa un po’ diversa dall’equilibrio), proprio come quando riuscirono a riconoscere pienamente legittimo e funzionante il Parlamento eletto sulla base di una Legge incostituzionale.

Stavolta il compito della suprema corte era ancora più difficile, perchè il malloppo dell’Italicum era viziato da un difetto di nascita enorme e non scritto: quello di aver dato per scontata la sostanziale sparizione dei poteri del Senato, sparizione che non è avvenuta per colpa di quel prestigiatore maldestro e burlone che è stato l’elettorato chiamato al referendum di dicembre. Pur in presenza di questo handicap, la Corte è riuscita ad emettere una sentenza che accontenta e piace a tutti, abbattendo un pilastro fondamentale dell’Italicum (il ballottaggio), ma salvandone un altro (il superpremio di maggioranza), con l’effetto paradossale di lasciare in vita una Legge elettorale di impianto proporzionale, ma con un premio di maggioranza assolutamente sproporzionato. Evidentemente i giudici costituzionali hanno ritenuto che il paradosso logico e giuridico sia superato dalla attuale improbabilità che una lista raggiunga il 40% dei voti: il tempo del trionfo del Pd alle elezioni europee del 2014 appare lontanissimo e irripetibile.

 

In ogni caso, era chiaro ai giudici che cassare del tutto i fondamenti dell’Italicum sarebbe equivalso a una bocciatura definitiva di tutta l’esperienza del governo Renzi, di tutto il grande impegno riformista e della credibilità politica personale di Matteo Renzi stesso. Giustamente quindi Renzi vede la sentenza della Consulta come una vittoria: oltre ad aver salvato gran parte dell’impianto della sua Legge, si trova eliminato l’aspetto che avrebbe comportato più problemi (quel ballottaggio che, secondo tutti i sondaggi e secondo la logica delle alleanze , avrebbe visto vincente il movimento 5 Stelle in ogni scenario).

 

Assai meno comprensibili appaiono l’euforia di Beppe Grillo e la sua fretta di andare al voto con questo “mezzo Italicum”. Il comico sembra convinto di poter superare il 40% dei voti, ma prescinde dal fatto che per il Senato (redivivo) vige tutt’altra Legge elettorale, e non è sufficiente arrivare nettamente primo nel conteggio nazionale dei voti: occorre vincere nella maggioranza dei collegi regionali, mentre al massimo i grillini potrebbero vincere nel Lazio, in Sardegna e forse in Piemonte. Anche depurata dai toni propagandistici, la visione di Grillo non coglie alcuni punti fondamentali di questo periodo di coesistenza tra Leggi elettorali diverse e disarmoniche tra Camera e Senato: soprattutto non capisce che il futuro lavoro parlamentare di armonizzazione tra i due sistemi elettorali, ritenuto necessario da molti e già preteso con forza dal Presidente della Repubblica, porterà la Legge per l’elezione della Camera a smussarsi e ad avvicinarsi alla Legge per il Senato, e non viceversa. Quello che Grillo non può ammettere, e che è uno degli aspetti più clamorosi di questi mesi assai confusi della politica italiana, è che il risultato del referendum, di cui il barbuto genovese rivendica il merito principale, ha avuto  l’effetto, con la permanenza in vita del Senato, dell’impossibilità pratica per i pentastellati di vincere le elezioni. E’ la somma che fa il totale, diceva un comico più dotato di Grillo: è la somma dei collegi vinti, e non il totale complessivo dei voti, che fa vincere le le elezioni. Così avviene per il Senato della Repubblica e così avviene nella maggioranza dei sistemi elettorali del mondo libero, e ciò costituisce di per sè anche un temperamento dei sistemi proporzionali più puri.

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