le storie

Un pellerossa a Londra

Joseph Brant (Thayendanegea), l’indiano amico degli inglesi

 

Che il personaggio di gran lunga più famoso prodotto dalla Confederazione indiana sia entrato nella cronaca sanguinosa del Nord-Est con il nome assolutamente non indiano, che anzi suona quasi borghese, di “Joseph Brant”, è una delle ironie della storia. Thayendanegea era figlio di un sottocapo dei Mohawk. Dopo la morte di suo padre, la madre, con i figli più giovani Joseph e Mary (Molly), tornò dai Mohawk di Canajoharie Castle. Il suo secondo marito era un indiano a cui era stato dato dai bianchi il soprannome di “Brent” (liscio) che si trasformò poi in Brant e che passò anche al suo figliastro.

Mentore della famiglia era Sir William Johnson, sovrintendente inglese e amico di lunga data degli Irochesi, a cui il capo Hendrick aveva regalato un grande appezzamento di terreno tra il fiume Mohawk e Candy Creek, che lo aveva reso il più ricco possidente terriero della colonia. Alla morte di sua moglie Caroline, prese con sé la sorella di Joseph Brant e la sposò, intensificando così i suoi buoni rapporti con gli indiani.

 

                                      Sir William Johnson

 

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                    William Johnson ospita una conferenza irochese a Johnson Hall

 

Favorì la frequenza di Joseph nel famoso Dortmouth-College a Lebanon, nel Connecticut, la scuola di una Missione in cui il giovane indiano non solo imparò a padroneggiare perfettamente la lingua inglese, scritta e parlata, ma si dovette applicare anche allo studio della storia e della letteratura. Molte lettere del suo insegnante, Dr. Eleazar Wheelock, in cui loda lo zelo e l’intelligenza del suo allievo, sono giunte fino a noi. Anche come guerriero Joseph Brant fu addestrato precocemente e già nel 1755, a soli tredici anni, prese parte, al fianco degli inglesi, alla battaglia di Lake George.

                                       il Lago George

 

Alla fine della sua formazione scolastica, Joseph Brant fu assunto da Sir Johnson come interprete e con questo ruolo dovette partecipare a molti lunghi viaggi presso le tribù dell’Ovest, in cui potè dimostrare anche le sue capacità diplomatiche. Nel 1759 partecipò alla spedizione Niagara di Sir Johnson e nel 1763 combattè, dalla parte inglese, contro i Pontiac. Si convertì alla chiesa anglicana e collaborò alla stesura di un libro di preghiere e alla traduzione della storia degli Apostoli in lingua Mohawk. Nel 1765 sposò la figlia di un capo degli Oneida, che però morì dopo solo sei anni di matrimonio. Per non far crescere i suoi due bambini, un maschio e una femmina, senza madre, Brant si sposò ancora e precisamente con una sorellastra della prima moglie.

Dopo la morte di Sir William Johnson, divenne Agente degli indiani per il governo britannico suo nipote Guy Johnson che assunse Brant come segretario particolare, Brant aveva un rapporto amichevole anche con il figlio di primo letto di Sir William, John Johnson, il che, unitamente alle sue eccellenti capacità di guerriero, lo rese già in giovane età il più influente capo militare non solo della sua tribù ma dell’intera League of Iroquois.

 

                           Thayendanegea e Guy Johnson in Gran Bretagna

Nel 1775 accompagnò Guy Johnson in Inghilterra dove, come Pocahontas un secolo e mezzo prima, suscitò il più grande interesse e fu anche invitato a corte. Da un racconto contemporaneo si desume: Portava i migliori abiti europei. Il suo comportamento irreprensibile e la sua pronuncia inglese priva di inflessioni, gli procurarono la compagnia di signori eleganti e signore ingioiellate, che non riuscivano a credere che quel distinto signore dal tratto squisito fosse davvero un indiano, abituato a guidare la sua schiera di guerrieri urlanti in massacri notturni.
Per desiderio di Earl di Warwick gli fu fatto il ritratto dall’eminente pittore Romney e il Gran maestro dei Massoni, Earl of Moira, si adoperò per far accettare Joseph Brant nella Massoneria.

                            Thayendanegea ritratto da George Romney

 

Joseph Brant era descritto come un uomo imponente che suscitava grande rispetto, tipico capo degli indigeni il cui solo nome suscitava timore tra i feroci guerrieri delle tribù Irochesi. Oltre a ciò era famoso e temuto per il suo straordinario coraggio, la sua intelligenza e la sua prudenza. Prima del suo ritorno, Brant promise di mettere a disposizione della corona inglese tremila guerrieri e mantenne questa promessa dopo il suo arrivo in Canada. Si deve alla sua influenza e a quella di sua sorella Molly se quattro tribù della Confederazione Irochese, prima neutrali, cioè i Mohawk, i Cayuga, i Seneca e gli Onondaga, si schierarono a fianco degli Inglesi.

 

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                         Le Cinque Nazioni della Confederazione Irochese c. 1650

 

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A nord di Montreal, divenuto nel frattempo colonnello dell’esercito britannico, si scontrò – accompagnato da seicento guerrieri – con gli Americani, il cui comandante Bedell, disertò e il suo successore, maggiore Butterfield, si arrese subito dopo. I rinforzi, giunti poco dopo, furono sconfitti dopo dure battaglie. Fu così che il capitano McKinistry cadde nelle mani degli indiani. Quando si trovava già sul patibolo e nessuno avrebbe più scommesso sulla sua vita, fece il segno di richiesta d’aiuto dei Massoni e Joseph Brant dovette usare tutta la sua influenza per salvargli la vita. Da allora un’amicizia durata tutta la vita, legò i due, e McKinistry garantì sempre della veridicità dell’episodio narrato. La medesima cosa accadde al luogotenente americano Boyd, ma in questo caso l’ascendente di Brant non fu sufficiente per salvare la vita al prigioniero.

 

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Nel 1776, Joseph Brant divenne gran capo militare delle Five Nations, che si trasformò nella Confederazione delle Six Nations, quando si unirono anche i Tuscarora. Negli anni seguenti prese parte in modo determinante alla maggior parte delle azioni militari britanniche nelle zone di confine e divenne uno dei più odiati nemici degli Americani. Quando, nel 1777, guidò un esercito contro Cherry Valley, il comandante degli americani era il generale Herkimer. Alle trattative a cui Herkimer invitò i bianchi fedeli al capo indiano, non si arrivò ad alcun accordo e il perfido piano di Herkimer di far assassinare Brant e i suoi tré accompagnatori, fallì, e subito dopo i guerrieri di Brant devastarono i territori di confine e con l’aiuto dei soldati inglesi marciarono verso Fort Stanwix sul fiume Mohawk. In uno scontro durissimo gli americani furono sconfitti ed Herkimer morì poco dopo per le conseguenze di una ferita. Gli Inglesi invitarono Fort Stanwix alla resa, in caso contrario Brant e i suoi Mohawk avrebbero devastato la frontiera. Con uno stratagemma il comandante di Fort Stanwix riuscì ad allontanare, almeno per il momento, il pericolo. Pochi mesi dopo, però, la minaccia si compì e così Joseph Brant e i suoi guerrieri Irochesi divennero “il terrore della frontiera”.

 

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Come già nel New England, durante la Guerra di re Filippo, ora i territori intorno al fiume Mohawk tremavano sotto la tempesta di fuoco degli indiani. Correva l’anno 1778. Cherry Valley fu messa a ferro e fuoco. German Flats fu distrutto. Con una spedizione punitiva gli americani distrussero Oquaga e Unadilla, due insediamenti indiani abbandonati, e fecero scempio del raccolto nei campi. Brant però si vendicò: lo stesso anno attaccò nuovamente Cherry Valley; i soldati inglesi agirono con indicibile crudeltà e Brant sottrasse loro un bambino condannato a morte sicura. L’anno successivo, gli Americani, furenti, mandarono cinquemila uomini, al comando del Generale Sullivan, contro gli inglesi e i loro alleati Irochesi, guidati da John e Guy Johnson e Brant. Dopo una lunga, durissima battaglia presso Newton, l’attuale Elmira, gli indiani furono costretti a darsi alla fuga. Gli americani rasero al suolo quaranta accampamenti indiani densamente popolati, distrussero tutti i frutteti e i campi di mais. Secondo racconti contemporanei furono distrutti quindicimila alberi di pesco e centocinquantamila stai di granaglie. Il risultato veniva così descritto:

II paesaggio non presentava più le macchie di colore dei campi di grano dorato, dei frutteti, dei rigogliosi pascoli, delle foreste di vecchi alberi. Ovunque lo sguardo si posasse il paesaggio era sempre quello spaventoso di rovine e ceneri. Il generale americano ne era felice.

Questa azione barbarica non rappresenta certo una pagina gloriosa della storia americana, bensì uno dei molti capitoli che la storia ufficiale per lo più presenta unilateralmente. Come avviene anche oggi in presenza di situazioni critiche, dopo i suddetti avvenimenti, tra gli Irochesi vi erano “falchi” e “colombe”. Il rappresentante dei “falchi” era Joseph Brant, mentre il capo delle “colombe” era il giovane capo dei Seneca, Giacca Rossa, uno splendido oratore che dava la colpa della perdita e della distruzione della valle del Mohawk, una volta fiorente, agli Inglesi, ma il suo rimprovero era indirettamente rivolto a Joseph Brant, fedele all’Inghilterra. Tuttavia si mise in contrapposizione anche con Cornplanter, un altro capo dei Seneca. Brant riuscì, però, a sventare il tentativo di Giacca Rossa di avviare trattative segrete con gli Americani, e da quel momento Giacca Rossa divenne il più acerrimo nemico e il più grande rivale di Brant.

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                          Una (longhouse) "casalunga irochese"

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Nel bel mezzo di queste discordie giunse la notizia che seicento americani al comando del maggiore Brodhead avevano di nuovo distrutto pacifici accampamenti e campi di mais negli Allegani. Questo attacco distruttivo durò quattro settimane. Pieno di rabbia, Brant mise insieme un esercito di mille uomini tra inglesi e indiani che, al comando suo, di Johnson e di Cornplanter, trasformò di nuovo in rovine fumanti gli insediamenti sul fiume Mohawk. Con estrema precisione furono risparmiate le proprietà degli inglesi fedeli al re, il che ebbe come conseguenza che i vicini, fedeli agli Americani, bruciarono le loro cose. Un violento scontro tra la gente di Brant e gli americani, sotto il comando del generale Van Reusseiaer, non ebbe successo perché gli indiani si ritirarono nel buio della notte. Il 24 ottobre 1781, Irochesi e inglesi attaccarono ancora gli americani nei pressi di Johnson Hall ma questa volta subirono una sconfitta.

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Quando infine fu sancita la pace tra USA e Inghilterra, gli Irochesi furono totalmente ignorati. Joseph Brant ne fu profondamente ferito e con la maggior parte dei Mohawk si ritirò in Canada dove ricevette dagli inglesi un territorio sul Grande Fiume. Influenzato dalla politica indiana degli Americani, si convinse che solo un’unione di tutte le tribù avrebbe potuto limitare la pressione espansionistica degli Americani. Cercò quindi di realizzare il vecchio sogno di Re Filippo e di Pontiac di una grande Confederazione di tutte le tribù, ma invano. Le tribù dell’Orno, Chippewa, Potawatomi, Wyandot, Shawnee, Delaware, Miami e Ottawa, a causa delle loro precedenti cattive esperienze con gli Irochesi, non avevano fiducia e da parte loro, strinsero un nuovo patto – la Western Confederation – per poter fronteggiare efficacemente gli Americani, in pace e in guerra.

Nel 1785, Joseph Brant visitò per la seconda volta l’Inghilterra. Le sue trattative ebbero un considerevole successo: l’Inghilterra lo risarcì per le perdite di guerra e gli conferì il titolo di maggiore dell’esercito britannico. Ma, nell’ottica delle sue ambizioni di unificazione panindiana, poté però contare su poco entusiasmo. Dopo il suo ritorno si sforzò di far appassionare il suo popolo all’agricoltura. Respinse sdegnosamente l’offerta degli Americani di portare la pace, per loro incarico, tra le tribù dell’Ovest. Visse nella sua bella casa sulla riva ovest del lago Ontario, circondato da numerose persone di servizio, coltivando i suoi interessi sociali e spirituali; ricevette visite e tenne una voluminosa corrispondenza. Ma Giacca Rossa, il suo antico rivale, non riposava certo. Per sua iniziativa Brant fu accusato, mentre era assente, e gli fu tolta la dignità di capo. Brant, grande oratore, convocò il consiglio della tribù, tenne un discorso entusiasmante, trionfò sul suo nemico e riebbe la dignità di capo.

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                            Giacca Rossa arringa i Mohawk

 

Nel 1807 morì e fu sepolto a Grand River, accanto alla chiesa che aveva fatto costruire egli stesso. Con lui se ne andava una delle personalità indiane più affascinanti, che, se fosse nata in un altro panorama politico, avrebbe avuto la capacità di tradurre in realtà ciò che non era riuscito a re Filippo e Pontiac e dopo di lui anche a Tecumseh: la creazione di uno Stato indiano indipendente. Infine, quindi, tutti i progetti di questo tipo fallirono a causa della divisione tra le tribù indiane e dei loro capi, che il brutale nemico che li fronteggiava seppe sfruttare senza scrupoli e senza tenere in alcun conto gli interessi indiani.

 

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7 comments

  1. M.Ludi 4 ottobre, 2015 at 14:12

    La storia qui raccontata si riferisce ad una parte meno nota dell’epopea dei nativi americani, risalente al 18° secolo, ed in una parte di continente oggetto di dispute territoriali in quel secolo nel quale Francia e Inghilterra si contendevano i territori del nord est con la prospettiva della nascente Dichiarazione di Indipendenza che porterà alla nascita degli Stati Uniti d’America. Gli interessi che si contrapponevano in quei luoghi, portarono i nativi a parteggiare per l’una o l’altra potenza occupante, evidenziando, già allora (e l’articolo lo spiega bene) quelle divisioni che saranno il tratto distintivo della storia dei nativi nella contrapposizione con gli invasori bianchi e che saranno decisive nella conquista dell’ovest da parte dei coloni americani. La fierezza con la quale molti capi delle varie tribù si sono strenuamente opposti (sino ai nostri giorni) alla cultura occidentale imperante ha determinato nel tempo, il permanere di una ostilità esasperata al punto tale da portare all’annientamento delle culture native che oggi permangono in poche riserve ai margini della civilizzazione, al solo uso e consumo dei turisti. Se altri, oltre a Thayendanegea, avesso compreso l’importanza di una integrazione, forse le cose sarebbero andate in modo diverso e quella cultura sarebbe sopravvissuta ad un livello probabilmente maggiore rispetto a quello del fenomeno da baraccone attuale.

    • Kokab 4 ottobre, 2015 at 14:56

      ragionamento del tutto condivisibile, aggiungerei una sola notazione a latere, l’impero britannico, pura fra mille episodi cruenti, non ha mai applicato la politica del genocidio sistematico che si è invece verificata in quelli che sarebbero diventati gli stati uniti, magari in quel caso, differenza di quel che si è sempre pensato, non hanno vinto i buoni…

    • Bondi James Bondi 5 ottobre, 2015 at 13:36

      Difficile cercare di integrarsi con chi ha l’unico intento di sterminarti, sia sparandoti addosso che togliendoti ogni fonte di sostentamento (vedi le ecatombi di bisonti fatte da soldati e pionieri al solo scopo di togliere cibo agli indiani, che invece sapevano gestire oculatamente anche quella risorsa). Credo che i bianchi apparissero a quasi tutti gli indiani come dei barbari pazzi e feroci, e non certo come portatori di una civiltà con la quale avere buoni rapporti.

      • M.Ludi 5 ottobre, 2015 at 14:06

        Forse il nostro irochese qualche idea se l’era fatta; forse una maggiore unità tra le varie nazioni indiane le avrebbe portate ad essere un interlocutore credibile prima che la dichiarazione di indipendenza portasse alla cesura del cordone ombelicale con l’Inghilterra; forse ……

  2. Tigra 3 ottobre, 2015 at 13:22

    Avevo letto la vicenda di Thayendanegea su Manituana dei Wu Ming, e avevo trovato sorprendente la differenza con quella che sarebbe stata dopo la storia degli indiani d’America.
    La curiosità mi aveva spinto a fare qualche ricerca, e scoprire che la Costituzione americana si ispira al modello della Confederazione irochese è poco meno che una dissonanza cognitiva.
    E poi, un capo guerriero vittorioso in molte battaglie che alla fine del ‘700 usa tazze di porcellana per il the, traduce in lingua Mohawk i testi sacri cristiani e va a trattare con il re d’Inghilterra esprimendosi con un accento oxfordiano e con le maniere di un lord inglese, lascia intuire quale tragico errore possa essere stato il genocidio e l’abbruttimento dei nativi americani.

    • Gennaro Olivieri 3 ottobre, 2015 at 13:44

      Domanda non retorica… è una richiesta di informazioni… nei territori rimasti sotto la Corona inglese dopo l’indipendenza degli USA, cioè in Canada, i nativi sono stati trattati in maniera più umana e rispettosa?

      • Tigra 3 ottobre, 2015 at 23:01

        Ti ringrazio della fiducia esagerata, e provo a rispondere per quello che posso e che ho capito.
        Nella fase iniziale certamente si, Joseph Brant ha continuato ad avere un ruolo sociale e politico, ha cercato di federare le nazioni che lo avevano seguito in Canada e, pur fallendo nell’impresa, è riuscito a garantire loro una condizione migliore rispetto a quelle che erano rimaste nei nascenti Stati Uniti.
        E’ tornato una seconda volta in Inghilterra per incontrare il re, ed ha incontrato anche Washington; si è ricostruito una grande casa nella sua nuova proprietà, dove è vissuto fino alla morte, con numerosi servitori e, mi spiace dirlo, anche schiavi.
        Da quello che capisco, oltre ad essere stato un temuto capo militare, si è dimostrato un fine politico ed un grande diplomatico, che da una posizione di netta inferiorità negoziava con i grandi della terra, venendo riconosciuto e considerato in un modo che non siamo neppure abituai a considerare per quelli della sua razza, anche perchè penso sia stato un caso unico; del resto immagino che sia anche l’unico nativo americano che sia mai stato affiliato alla massoneria.
        Come sia poi realmente andata per gli indiani in Canada nel corso dei due secoli successivi non saprei dirlo, ma certamente Brant è ricordato e commemorato come da noi si usa coi padri della patria, ci sono contee, città e luoghi pubblici col suo nome, e sua sorella Molly è finita su un francobollo canadese alla fine del secolo scorso.
        Aggiungo due curiosità, una tragica e una seria: Joseph Brant ha avuto la ventura di uccidere uno dei suoi figli, per legittima difesa, mentre sua sorella era una delle più influenti matrone di una società che aveva molti aspetti matriarcali, al punto che le donne come lei avevano spesso un peso politico superiore a quello dei capi guerrireri.
        Probabilmente sono molte le cose che non sappiamo di questa storia.

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