la società

La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Vi sono ricordi che risalgono alla prima infanzia e che stupiscono per la loro indelebilità nella mente. Quasi un imprinting. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Ricordo

Sullo stesso pianerottolo della casa in cui abitavo un’anziana signora gestiva una pensione. Ospitava per lo più studenti e non solo, come si vedrà. Arrivavo a stento a suonare il campanello, quindi dovevo essere molto piccola. Quel giorno mi venne ad aprire una ragazza bruna che a me parve molto bella, e pensai che da grande avrei voluto essere così, come lei. Mi fece entrare nella sua stanza, salì su una sedia e dall’anta più alta dell’armadio tirò fuori una bambola, che mi regalò. La bambola aveva un vestito rosa. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Seppi poi che era una prostituta. Lavorava in un casino e dopo la chiusura delle case chiuse, a seguito della legge Merlin, era scesa in strada ed affittava una stanza nella pensione. La bambola vestita di rosa e “A dumenega

Un tempo

Nel brano “A dumenega”, Fabrizio De Andrè  parla dell’uscita, alla domenica, di prostitute di una casa chiusa.  Solo in quel giorno si potevano permettere una passeggiata, sempre, però, con la “madama “ in testa. Nella vecchia Genova le prostitute erano relegate in un quartiere della città. Il Comune dava in appalto le case di tolleranza e con i ricavi pare riuscisse a coprire per intero i lavori portuali annuali.  Questo accadde sino alla fine dell’800.

Veniva concessa alle ragazze la passeggiata domenicale, “diritto” ottenuto per le loro prestazioni che portavano denaro nelle casse comunali. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Ma quella che avrebbe dovuto essere una pausa da un lavoro infame diventava, invece, una sorta di via crucis, dove un popolo bigotto, come lo definisce De Andrè, si lasciava andare a commenti osceni, a trivialità, nel condannare queste donne che “di nuovo non hanno neppure il naso”. Mentre coloro che le schernivano già pensavano a quando avrebbero potuto andare nuovamente al casino. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Ed è la parlata genovese, la straordinaria musicalità del brano, la voce di Fabrizio, a rendere il brano un canto, un canto di protesta e di denuncia dell’ipocrisia, del perbenismo che da sempre avvolge il mondo della prostituzione.  “A dumenega” è brano infarcito di termini  gergali molto espliciti, inevitabili per poter rendere al meglio il quadro della situazione. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Immaginiamo di vedere per un momento, una scena de “A dumenega”. Il direttore del porto, vedendo tutta quella “merce” transitare nelle vie della città, si frega le mani di nascosto nel pensare ai guadagni che ne derivano. Ma per non far vedere che gli brillano gli occhi, si unisce anche lui al coro degli insulti che la gente del quartiere riserva e fa presente quale sia la sua opinione verso le signorine che passano sotto i suoi occhi  lucidi ed ipocriti. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

 

Oggi

Un articolo del giornale” Il Post” del dicembre 2015, cita un reportage del Financial Time che dal luglio 2015, in collaborazione con “Stop the traffik”, raccoglie fondi contro il traffico di donne e bambini. In particolare questo articolo si occupa della prostituzione di donne nigeriane nel nostro paese. Riferisce:

“Gli operatori umanitari che hanno familiarità con questo crimine dicono che il profilo delle donne nigeriane destinate alla prostituzione è cambiato nel tempo: sono sempre più giovani e sempre di più reclutate nelle zone rurali del paese, sono poco istruite e molto povere. “L’aumento di minori vittime di tratta è spaventoso: queste adolescenti sono facilmente manipolabili”, spiega Simona Moscarelli, avvocata dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni a Roma. In passato, molte delle donne nigeriane che arrivavano in Europa e in Italia affrontavano un viaggio più semplice: i trafficanti fornivano loro dei falsi documenti e le imbarcavano su un aereo dall’aeroporto di Lagos verso Roma o Londra. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

La guerra civile e la complicata situazione della Libia hanno aperto nuove strade, via terra e via mare, con costi molto più bassi, senza la necessità di passaporti falsi o di costosi biglietti aerei. Tuttavia, si tratta di viaggi molto più pericolosi e molte donne hanno rischiato la loro vita o sono morte. … “Dora, una delle tante giovani donne che hanno seguito questo nuovo percorso (durante il viaggio è quasi morta di fame nel deserto, è stata derubata e ha subìto diversi tentativi di stupro) a Tripoli è stata picchiata con una cintura dall’uomo nigeriano che la teneva in custodia e il gommone con cui è arrivata in Italia ha rischiato di affondare.”

Questo è l’oggi. In questi tempi feroci, dove non c’è  più il grande Faber a parlarne.

Concludo, per chiudere il cerchio, con un’immagine che mi ha ricondotto all’episodio della mia infanzia. A volte, quando passeggio col mio cane , mi capita di incrociare una giovane prostituta in attesa dei clienti. Non ci giurerei che sia maggiorenne. Carina, alta, magra, porta gli auricolari , forse per sentire musica dal cellulare. Più di una volta ha sorriso vedendo il cane e una volta mi sono avvicinata per lasciarglielo accarezzare. Continuava a dire “che carino…”.Il cane ha apprezzato con ampi scodinzolamenti. La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

Questo episodio mi ha riportato indietro nel tempo. Solo che la ragazza non è  bruna, ma bionda e certamente viene da qualche paese dell’Est.

La bambola vestita di rosa e “A dumenega”

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3 comments

  1. Blue 1 aprile, 2016 at 16:50

    Grande Faber.
    Quanta umanità piena di dolce (dis)illusione nelle sue poesie musicali che hanno accompagnato la nostra esistenza.
    Le conosciamo tutti le storie che si celano in “via del Campo” nelle case delle “bocche di rosa”, “graziose con gli occhi grandi color di foglia”.
    “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
    Con buona pace dei “vecchi professori” che giudicano da “buoni borghesi” sentendosi come “Gesù nel Tempio”.
    Grazie Luistella. Bel racconto, dolci ricordi.

  2. Kokab 1 aprile, 2016 at 15:08

    possiamo discutere all’infinito della prostituzione, perchè investe temi che spaziano fra l’assoluta libertà e l’assoluta costrizione, ma non credo si possa mai discutere della doppia morale dei puttanieri che la stigmatizzano, sono persone così miserabili che si nascondono anche quando sono in larga maggioranza.
    bella storia comunque, che ci consente di ricordare che una puttana sarà sempre meglio di un puttaniere.

  3. Canadair 1 aprile, 2016 at 12:18

    Ricordo che, da studente fuori sede a Roma, tutte le domeniche pomeriggio andavo a trovare gli zii. Per stare un po’ insieme ma, ammetto, soprattutto per rifarmi dai pasti consumati durante la settimana alla mensa dello studente. Dopo cena restavo a chiacchierare con I cugini e andavo via sempre tardi, facendo attenzione a non perdere l’ultima corsa dell’ autobus.
    Abitavo nel quartier Monti, una belle piu’ belle zone della citta’, vicino a Santa Maria Maggiore, dall’altra parte della stazione Termini. Nonostante la vicinanza a quello che era, e immagino ancora sia, l’equivalente del porto di Genova, la mia zona era molto tranquilla, con la basilica a fare come una specie di spartiacque. Ad un certo punto, dopo la corsa, tornando a casa, cominciai a vedere una ragazza ferma ad un angolo di strada, vicino ad un chiosco di giornali, ovviamete chiuso data la tarda ora. E tutte le domeniche sera per un periodo me la trovavo sempre davanti, sempre al solito posto. Era raro che non la vedessi. Era sempre li ad aspettare i clienti, forse perche’ ancora presto o, piu probabilmente, perche’ quel posto era lontano dal traffico caotico della stazione. Era una ragazza ne’ bella ne’ brutta, piccola di statura e ben proporzionata. Vestita in una via di mezzo tra come a quei tempi si vestivano le ragazze quando andavano all’universita’ e quando andavano ad una festa. La sua espressione era difficile da decifrare, ne’ triste ne’ allegra, ne’ attenta ne’ vaga. La guardavo agli inizi incuriosito, lei invece lo faceva come si guarda un lampione o una macchina che passa. Non essendo io per lei che una delle tante cose che si vedono per strada o che ti passano di fronte.
    Che fosse una povera disgraziata si capiva benissimo dal posto fuori mano che si era scelta. Lontano dalla stazione che era chiaramente il posto dove si facevano affari. Probabilmente venuta da fuori, senza contatti con quel mondo. Con uno stronzo, ragazzo o marito, a cui non piaceva lavorare, che chiaramente non era del giro. D’altra parte anchio, in un certo senso, ero un povero disgraziato, nel senso che campavo col minimo che potessi campare che poi era anche il massimo che i miei potessero permettersi. E lei lo aveva capito. In ogni cosa i soldi non avevano niente a che fare con questo, entrambi coscienti che lei non stava li per me ed io non passavo da li per lei. Ci guardavamo mentre lei era ferma e io passavo. E il mio non era uno sguardo di desiderio oppure, all’opposto, intriso di volgare moralita’, piuttosto quello di uno che guarda un passante o una fruttivendola a riodinare le cose esposte fuori negozio. Non era moralismo il mio, solamente la consapevolezza del sapere che, se se lo fosse permesso, invece di stare li sarebbe rimasta a casa a vedersi la tivu o uscita a divertirsi. Non ricordo chi fu ad iniziare. Dopo un po, cominciammo a salutarci con un semplice ciao, senza che io mai mi fermassi e senza che lei abbia mai cercato di farlo. Diventammo cosi’ una specie di amici. Passarono dei mesi, poi non la vidi piu’.
    Col tempo me ne sono scordato e solamente oggi, leggendo questi ricordi di Luistella, mi e’ ritornata in mente. Non ho mai saputo niente di lei. Eppure credo di saperne molto di piu’ del suo miglior cliente.

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