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La destra mangiata dalla destra

La destra mangiata dalla destra

               Mappa ideata da Clive Morrison-Bell nel 1930 per
         la sua campagna contro le tariffe d'importazione di allora

La destra mangiata dalla destra

I venti di destra che soffiano in Europa e negli Stati Uniti non sono una novità, spirano da almeno trent’anni, ma il fatto che oggi siano incarnati da personaggi improbabili e persino macchiettistici come Victor Orban, Donald Trump, Marine Le Pen e nel suo piccolo anche Matteo Salvini non è cosa che possa lasciare indifferenti, perché rispetto a tutti questi Ronald Reagan e Margaret Tatcher sarebbero sembrati dei pericolosi estremisti. Di sinistra.

Sembra quasi che la destra nel mondo si sia imbarbarita, perdendo i suoi connotati repubblicani e liberali che in molte occasioni ne avevano fatto, proprio per la sua anima lucidamente conservatrice, uno strenuo difensore della libertà e della democrazia, e sia diventata qualcosa di radicalmente diverso e infinitamente inquietante.

 

Oggi non è più così, e la destra becera e impresentabile, combattuta da conservatori come Churchill e De Gaulle, si propone come possibile forza di governo, laddove il potere non lo ha già preso; su questi temi Ezio Mauro ha scritto su Repubblica dello scorso venerdì un editoriale fra i più brillanti della sua non banale carriera, fotografando con estrema chiarezza questa involuzione, e ci sembra doveroso richiamarne alcuni passaggi.

 

Dice Mauro: “… ovunque, in Europa come in America, una spinta radicale di destra oggi piega i moderati come canne al vento: o li sfida direttamente con candidati estremi o impone l’agenda politica con i suoi temi e le sue ossessioni, o si costituisce in fronda interna autorizzata e organizzata, facendo saltare la cornice comune che per un secolo ha tenuto insieme i vecchi partiti. E in ogni caso, ovunque esercita un’egemonia negli stili e nei linguaggi, rendendo i moderati gregari riluttanti degli estremisti. E creando una nuova creatura ideologica imperniata sull’alleanza tra Dio e il capitale, nazione e reazione, suolo, sangue e frontiera, in un Paese immaginario che parla la neolingua del politicamente scorretto. Una neolingua per una neodestra, appena nata nella culla dell’antipolitica e della crisi economica più lunga del secolo.”

 

Questa neolingua della neodestra non la parlano solo Orban, che è al potere da tempo, e Trump, che il potere sta cercando di conquistarlo, ma viene ormai parlata in tutti i paesi d’Europa, in molte parti dall’opposizione, ma sempre più spesso dal governo, soprattutto nei paesi ex comunisti, e sta lacerando ovunque il tessuto sociale sdoganando il razzismo, l’antisemitismo, i muri alle frontiere e tutto ciò che sostiene le fondamenta dello stato liberale, sempre più considerato come un problema e non come una soluzione: ciò che una volta sarebbe stato rifiutato con sdegno dalla destra liberale, oggi viene accettato con frequenza sempre maggiore, e con sempre maggiore convinzione.  E’ un caso che ciò avvenga proprio quando stanno tramontando, assieme alle generazioni che li hanno vissuti, i drammatici ricordi delle tragedie del ‘900?

 

Forse no, e difatti così prosegue Mauro: “Proprio la fine delle paure del primo Novecento, con i tabù del totalitarismo spiega questa emersione improvvisa. Ritenendo la democrazia una conquista ormai consolidata al punto da essere usurata, oggi ci si prende la libertà di forzarne il confine, la forma e la sostanza, a patto di mantenerne intatta e lucida la superficie, sempre più sottile. Si disprezzano le istituzioni puntando a comandarle più che a guidarle, riducendole così a puro strumento dell’ideologia. Viene meno infatti anche il sentimento costituzionale, il rispetto naturale delle regole fondamentali e dei principi di legittimità democratica a cui si ispiravano, come se fossero fenomeni transitori, legati al ciclo di una o due generazioni, quelle appunto novecentesche. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, con una rincorsa estrema a scavalcare il limite che ogni volta si sposta più avanti, perché c’è sempre qualcuno pronto a non riconoscerlo. Non avere un limite, è infatti il primo comandamento scorretto.

 

Questo disprezzo per le istituzioni, questo rifiuto delle regole, questo populismo  becero e rozzo, che per la destra erano state al massimo delle patologie, oggi stanno diventando un tratto somatico ben definito, quasi una mutazione genetica che rischia di cambiarla in mado drammatico in quasi tutto il mondo occidentale, cambiando con essa i termini del confronto politico e, ove dovesse risultare vincente, anche le regole della democrazia e della convivenza civile.

 

Ascoltiamolo ancora, nel contesto di un ragionamento ben più articolato: “Noi vediamo chiaramente che tutto questo fa emergere i campioni della neodestra, gladiatori incontrastati di una fase in cui tutto vacilla. Ma non ci accorgiamo che parallelamente si corrode la cornice del pensiero liberaldemocratico, proprio nella fase in cui si è insediato (lo diceva anni fa Galli della Loggia) come l’unica dimensione politica comunemente accettata e condivisa, dopo le tragedie nel Novecento: e infatti il dogma di Orbàn è “il fallimento del liberalismo”, da cui ricava la possibilità di demolire la separazione dei poteri. In realtà la neodestra più che un pensiero ha una superstizione del mondo e un’ideologia di sé, unita ad una feroce volontà di escludere e alla capacità di offrire nel contempo una fruizione politica dei risentimenti e delle paure. È la ricetta semplice e forte del fondamentalismo che negando valore ad ogni teoria divergente o preesistente costruisce quel senso di falsa sicurezza tipico di chi vive murato all’interno delle fortezze… “.

 

Questa neodestra che a noi pare una novità come fenomeno internazionale strutturato e omogeneo, non è in realtà una cosa radicalmente nuova, perché il populismo della destra esisteva anche prima, solo che nella sua natura patologica era meno capillare, e si realizzava o nelle tragiche dittature del secolo breve, o nei movimenti antisistema estremisti e minoritari; oggi sono cambiati i rapporti di forza, stanno cambiando sempre più in fretta, ed è la destra liberale che vede svaporare il suo consenso, ridotta sempre più spesso sulla difensiva o all’irrilevanza.

 

Certo, la crisi morde, ma non è solo la crisi che gonfia le vele della destra populista e antisistema, e la spinge ad aggredire i principi e le strutture dello stato liberale, ciò che rende questa congiuntura veramente drammatica è il modello economico in cui si dispiega, con l’economia finanziaria che ha già sostituito l’economia industriale, la base della piramide sociale gonfiata a dismisura con l’impoverimento della classe media, la precarizzazione del lavoro, che non è neppure la flessibilità, la disgregazione dei modelli di welfare che abbiamo conosciuto negli ultimi 60 anni, in una parola il generale scardinamento del sistema di certezze e di garanzie che avevano costruito il collante della società occidentale.

 

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Da queste paure, da queste incertezze, e infine da questo concreto impoverimento, deriva la mutazione genetica della società, e al suo interno quello della destra: se oggi qualcuno può proporre con successo e su scala planetaria la semplice ricetta della destrutturazione della democrazia e delle sue istituzioni, come se questa fosse la garanzia per il futuro e per il benessere, è perché i meccanismi della coesione sociale si sono già frantumati, e nella terra di nessuno dell’antipolitica trovano la strada per il cuore e la mente degli elettori solo i pensieri semplici e i concetti stupidi, come più in piccolo è già successa diverse volte.

 

Conta poco oggi dire che la trasformazione sociale è stata realizzata dalla destra classica, certamente più liberista che liberale, ma comunque ancora pienamente democratica, e conta altrettanto poco dire che la sinistra ha le sue colpe, non minori di quelle dell’avversario, ma lo spettacolo della destra che mangia sé stessa, come la moneta cattiva che scaccia la moneta buona è, su questa dimensione e scala di valori, un fenomeno assolutamente inedito, per fronteggiare il quale non ci sono precedenti storici o ricette precostituite.

E se questo scenario fa paura, ancor di più inquieta la conclusione di Ezio Mauro, perché se è vero che senza un vero conservatore non ci può essere un vero riformista, forse vuol dire che anche la sinistra faticherà ad essere rilevante …

La destra mangiata dalla destra

I partiti di destra populista in Europa

 

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La destra mangiata dalla destra

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4 comments

  1. nemo 2 marzo, 2016 at 08:52

    Eppure vi fu un momento, storico, che definiva i liberali di sinistra! Ma, cerchiamo, almeno, di andare oltre. Le ultime tre righe dell’interessante articolo, a mio avviso danno una prima sintesi. Non c’è nessun movimento o politica progressista se non c’è in contemporanea un movimento di alternativa conservatore. E’ quanto ebbi modo di dire, durante un piacevole pranzo ad un sacredote. Potrà mai esserci un mondo di luce senza che in contemporanea vi sia anche il buio ? No, ebbe la correttezza di rispondere ! Qualcuno, giustamente, ha fatto l’elenco delle nazioni ,anche, perchè no, del sud America raggiunte e, a volte, sfregiate dalla destra populista, che sia chiaro non è una bestemmia ma lo diventa quando su autoalimenta nelle sue forme più demagogighe. O peggio si traveste. Tra il quarto ed il quinto secolo prima di Cristo, le classi plebee di Roma scesero in piazza e si rifugiarono sul Monte Sacro, rifiutandosi di lavorare e facendo precipitare la allora Repubblica nella confusione, Agrippa li convinse a tornare con il famoso discorso. Fu populismo quello ? Forse ma fu molto efficace perchè fece riflettere, cosa che oggi è un atteggiamento più raro da incrociare. La destra, europea continua a dimenticare la sua matrice liberale, se mai l’ha avuta, la sinistra continua a sfornare , anche lei, populisti ed azzeccagarbugli. Diciamocelo, sinceramente, ambedue hanno la responsabiltà di essere humus, fertile, per le fughe anarchiche alle quali assistiamo. Lo so, qualcuno non sarà d’accordo con quanto scrivo, bene così, sarebbe male altrimenti. Se c’è qualcuno che è convinto che la verità non è appannaggio di una sola persona, quello sono io ! lasciamo le certezze ad altri, sono i figli di coloro che ne ebbero dal 68 in poi, sono i figli di coloro che definirono, compagni che sbagliano, i brigatisti rossi, sono i figli di coloro che sono convinti che la democrazia migliore sia quella che non prende mai decisioni perchè bloccata. Ed è questo , forse, il frutto di quella utopia. Una società che non sa pù cosa sia il termine, liberale, neppure cosa sia il termine sinistra, ma, e questo è peggio, cosa sia il termine bene comune!

  2. Por Quemada 1 marzo, 2016 at 23:01

    Io penso che la sinistra si dovrebbe chiedere il perchè delle poche zone rosse che sono rimaste nella cartina dell’Europa.
    A forza di usare in modo dispregiativo la parola populismo, è finita che il popolo si è stufato e ha cominciato a votare per altri, per partiti che non avevano remore a farsi carico dei problemi di chi non arriva alla fine del mese, di chi vede il proprio posto di lavoro e il futuro dei propri figli minacciato da governi incapaci e ladri, da poteri forti che nessuno controlla, da una immigrazione senza controllo e da una delinquenza sempre più sfacciata.
    I sermoni radical chic come questo convincono dempre di più la gente ad abbandonare la sinistra al suo destino e alla sua lingua incomprensibile, e mi sembra un bene.

  3. Remo Inzetta 1 marzo, 2016 at 17:17

    Concordo sull’analisi, molto meno sulle conclusioni, o meglio, sulla mancanza di conclusioni coerenti.
    In un mondo che si è spostato a destra da trent’anni non occorre andare lontano per cercare la risposta della sinistra, sta nelle grandi lezioni di Blair, di Clinton e di Schroeder, che l’hanno sapua riposizionare su una posizione coerente con la storia e con gli elettori.
    Proprio perchè la destra xenofoba e razzista fa paura, è necessario che questa sinistra moderna e rinnovata sappia mantenere la barra dritta, senza cedere a pressioni estremiste e massimaliste, che porterebbero alla sconfitta, e oggi l’Italia mi sembra aver capito che questa è la strada.

  4. Jair 1 marzo, 2016 at 12:47

    Mi sembrano ottime analisi, sia quella di Mauro che quella dell’estensore del pezzo redazionale. Vediamo se riesco ad aggiungere altri spunti di riflessione: mi scuso in anticipo per l’eccessiva sintesi. Prima di tutto, la destra estrema, populista e fascista, è sempre stata uno strumento nelle mani di quegli stessi poteri economici rappresentati dalla destra rispettabile e costituzionale. Questo si verificò col fascismo e col nazismo, e nel dopoguerra, in Grecia, in Spagna e in Sudamerica (anche se quest’ultimo esula dalla nostra discussione). Oggi i movimenti populisti stanno svolgendo lo stesso ruolo in modo più subdolo delle destre apertamente fasciste (le quali ultime non a caso hanno maggiore successo nei paesi non avvezzi a una dialettica democratica matura, come quelli dell’ex blocco comunista). I movimenti anti-politica (anti-casta si direbbe da noi) hanno infatti lo scopo di abbattere, con la scusa della pulizia e del rinnovamento, ogni possibilità di controllo della politica sulle dinamiche economiche. Non a caso il bersaglio principale, se non unico, di questi movimenti sono i partiti della sinistra tradizionale e i sindacati. Il ruolo di questo fascistume, palese o mascherato, si inserisce in un contesto di crisi che per gravità ha confronto solo con la crisi tra le due guerre mondiali. Ma oggi alla solita crisi da sovrapproduzione si aggiungono la crisi da incertezza e labilità finanziaria e, soprattutto, l’enorme e tragica crisi migratoria. Temo che lo sbocco finale sia letale, quello storico delle lunghe crisi economiche di ‘800 e ‘900.

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