le storie

La luna e i falò. L’eremita

C’è un posto che non è molto lontano da dove sto scrivendo, dove il rosmarino cresce contornando le rive sopra le vigne, la pimpinella, il timo,la menta crescono, si riproducono ogni anno con l’avvicendarsi delle stagioni, con il loro misto di aromi selvatici.

Questo posto si trova nel cuore delle Langhe, in discreta altezza, sopra Cossano Belbo: sono questi i posti che Pavese ha reso vivi e perenni e che esplodono qui nella loro bellezza non eclatante, quasi timida, che può cogliere solo chi lo sa vedere.

Dopo Santo Stefano Belbo, si sale e si arriva alla casetta dell’Eremita: un grande mandorlo,cespi di ortensia la precedono.
Sappiamo che l’Eremita era un tal sig. L.C. nato nel 1916 e deceduto nel 1965.

Abitava in questa casetta e scriveva, o meglio annotava, su fogli di carta da pane,le condizioni del tempo, le semine, gli acquisti da fare, il costo delle merci, le fasi lunari riproducendole sotto forma di cerchio con 5 fasi della luna.Un vero diario contadino, che riproduceva giorno per giorno, lo svolgersi della vita.

Sappiamo così che l’11 gennaio 1960, il tempo era “bello, freddissimo” e il 9 febbraio,”al pomeriggio bello con un pò di vento marino”.
Il primo marzo era “bello e ho avuto 4 varietà di peri dai fratelli Sgaravatti”, l’11 marzo, venerdì”nuvolo, la pecora magra ha dato alla luce un berro”,il 23 c’era stata la visita di Balbo Pierino con la sua compagna e aveva speso £.770 per la carne.
Il 9 aprile aveva sentito “cantare l’upupa e assaggiato vino nuovo di altri proprietari”.
Nel mese di agosto riceveva la visita di “Cocito di Santo Stefano con il suo bel cane.Cocito ha portato una capra bianca che dava latte da quattro parti e un cane bianco con la testa nera, collare e catena col nome sopra del padrone”, ma poi, dopo alcuni giorni, un venerdì,con “temporali in giro con poca pioggia e qualche grana di grandine”,Cocito si è ripreso “il cane bello”.
Certo un pò strano questo sig. L.C., descritto da chi lo ricorda come un uomo mite, candido, ingenuo, che si sarebbe spostato per non calpestare una formica.

Un pò temuto, un pò deriso dai bambini, che a volte gli rubavano le angurie. Lui aveva perciò scritto un cartello messo sulle angurie rimaste, “Dio vede e provvede”, ma i ragazzini a loro volta, gli avevano scritto”Dio ha visto ma non ha provveduto”
Indossava sovente una tonaca bianca che pare si fosse fatta fare, annotava sempre sui fogli di carta da pane il periodo degli “azzimi”,un digiuno a cui si sottoponeva……
Probabilmente,il digiuno lo portava ad uno stato di denutrizione, per cui, come lui stesso scriveva, riceveva la visita del dott. Dellapiana, poi, un venerdì,(aprile 1960),”carabinieri e guardie mi hanno portato al manicomio”. L’ospedale era l’ex manicomio di Racconigi (CN), dove trascorreva alcuni mesi,passando molto tempo ai lavori degli orti cui erano dediti molti ricoverati. Pare che esista in archivio storico una sua fotografia, nella cartella clinica: un bell’uomo con una folta barba. Trascorreva lì il suo tempo di ricovero quasi come un debito dovuto, senza infamia nè lode,attendendo il momento di tornare a casa e poter annotare (6 giugno 1960):”Bello uscito dall’ospedale nevrosciatico senza tunica indosso:in pacco capelli corti e bara taliata”.

Tornato quindi in tempo per i lavori di agosto, di reindossare la tunica bianca e scrivere:”mangiato il buoncristiano (la pera William), matura alla fine di questo mese.Siamo in agosto, e così via. Rimangono di lui gli appunti degli anni ’60 e’63, scritti su carta da pane,infilati in un coccio appeso al muro.Chissà quanto avrà scritto ed annotato con maniacale puntualità e poetica capacità osservativa! Si sa di lui che è morto non anziano, forse per una broncopolmonite trascurata, seduto sui gradini di casa, mentre i vicini erano andati a chiamare il dottore al quale troppo tardi si era rivolto, curandosi con le erbe del suo prato.Del periodo dopo la dimissione dall’ospedale psichiatrico,sono ancora le “indicazioni di bene per la nascita delle bestie.Quando nascono non lavorare,lasciare nascere senza toccare,lasciare mangiare tutto dalla mamma prima e seconda parte,lasciare che i piccoli vadano loro a prendersi il latte senza aiuto nostro”……

C’è un racconto di C.Pavese che si intitola “l’Eremita” e che dice, tra l’altro”pare fosse un giovinotto che, stufo di lavorare,s’era stabilito a mezza collina sul fiume,vi aveva scavato una grotta, teneva la capra e si lasciava visitare da gente devota”…”aveva la barba bionda e il mantello esalava il tanfo dei cani bagnati”…
L’eremita di Pavese dice:”ho trovato la casa ma non il letto” “sono le donne che mi han detto eremita, venivano su….cominciavano a segnarsi.Allora l’ho capita e mi segnavo anch’io….Si sta bene da soli”.

Se teniamo conto che Pavese era nato nel 1908 e L.C. nel 1916, chissà che questo personaggio poetico e balzano non sia stato conosciuto dallo scrittore, rimasto impresso nella sua mente tanto da farlo rivivere in un racconto?
Conosciuto o no, L.C. fa parte, col suo ambiente che emerge dal diario quotidiano,di questa splendida terra, con le sue vigne, i falò lontani, i noccioleti,le voci e l’abbaiare dei cani, che rimbalzano da una collina all’altra, con i suoi silenzi e i rumori del vento, magari un pò di “vento marino”, come diceva l’eremita.

Epilogo
Recentemente la proprietaria della casetta (che aveva ereditato dal padre), dopo la morte del marito, ha fatto fare da un parente geometra, una valutazione della casa e del poco terreno coltivato a nocciole, forse la metterà in vendita.Lei dice che è perchè non ce la fa a continuare ad occuparsi della casetta, che tra l’altro aveva lasciato intatta così come l’aveva ricevuta, facendo solo i piccoli lavori di manutenzione,per evitarne il degrado, ma so che il motivo principale è un altro, e la capisco;non ce la fa emotivamente ad affrontare il ricordo dei lavori fatti col marito , della raccolta delle nocciole, delle feste passate lì, alle quali aveva partecipato anche la sottoscritta, del pranzo di ferragosto con gli amici, seguito da secchiate d’acqua che arrivavano da tutte le parti,del pranzo di un’Epifania, accompagnato da un bicchierino di grappa davanti al caminetto, per poi tornare ognuno alle proprie case in un tramonto rosso innevato. Credo che preferisca chiudere lì, e conservare intatti i ricordi.
Comunque i fogli di carta da pane su cui scriveva l’eremita, sono in salvo, così come i suoi occhialini pince-nez.

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