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La lady di latta e il parlamento appeso

 

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La vispa Theresa May, inopinatamente proiettata alla guida del Partito Tory e del Governo britannico dal suicidio politico di David Cameron e dal voto sconsiderato degli elettori inglesi, si è trovata con la Brexit a dover gestire un processo storico di fronte al quale si è rivelata palesemente inadeguata, volendo ammettere, e non è scontato, che qualcuno potesse essere all’altezza.

La Brexit è stata chiaramente un errore, meglio, una stupidaggine, il risultato di una follia collettiva che ha portato il paese, sia pur di misura, ad attribuire la ragione della sua crisi e del suo impoverimento esattamente a chi gli consentiva di fronteggiare la prima e di mitigare il secondo, incurante dell’evidente  paradosso  e degli effetti devastanti che avrebbe avuto l’uscita da quell’Unione Europea nella quale l’Inghilterra ha sempre avuto, dal suo tardivo ingresso del 1973, una sorta di “Statuto speciale” che le riconosceva benefici e privilegi ben superiori a quelli degli altri stati membri: detto più semplicemente, se c’era un paese che non aveva alcun interesse ad uscire dall’Europa era proprio l’Inghilterra, l’unico a godere di una palese e immeritata rendita di posizione.

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     Una banca del cibo aperta (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

Non che l’Unione sia il paese dei balocchi, naturalmente, è anzi gravemente in crisi, sia come istituzione che come progetto politico, e non certo per pura sfortuna, ma a dispetto delle sue colpe e del suo possibile fallimento resta comunque un’idea senza alternative nel mondo globalizzato, dove si può pensare di esistere e competere solo con una dimensione continentale, dimensione che l’ex impero britannico non possiede più da decenni, anche se fatica a riconoscerlo.

La Brexit era in definitiva solo un’idea bislacca venuta ad alcuni politici dai tratti lombrosiani, i capibastone dell’opposizione interna ed esterna ai Tory e a Cameron, usata in modo strumentale per ragioni di bassa macelleria e improvvisamente tramutatasi in realtà solo perché nei periodi di crisi il corpo elettorale  diventa facilmente più  irrazionale di quanto non sia normalmente, e se gli lisci il pelo nel verso del populismo può imprimere alla storia delle svolte imprevedibili;  per l’Europa può essere un semplice incidente di percorso, ma per l’Inghilterra potrà essere solo un dramma o una tragedia, prima di diventare una farsa, e se è stato tutto sommato divertente vedere le facce di Nigel Farage e Boris Johnson assumere dopo il voto referendario l’espressione del cattivo cretino di un qualunque b movie di bassa lega, oltre all’eloquio conseguente, è stato all’opposto sorprendente sentire la non ancora improbabile Theresa dichiarare, con supremo sprezzo del ridicolo, che il Leave sarebbe stata un successo, proprio lei, che aveva sostenuto il Remain…

 

Un successo perché? Come, dove e quando? Qualcuno in Inghilterra pensava di poter fare la politica estera del secolo scorso, senza impero, senza economia industriale e senza potenza militare adeguata? Qualcuno si immaginava che un’Europa obbiettivamente interessata a darle una lezione esemplare, oltre che per questioni di soldi anche per rendere la Brexit un insuccesso ancora più clamoroso di quello che i fatti determineranno comunque, avrebbe rinunciato a chiuderle le dita nel cassetto, non trattandola come una Grecia qualunque? Qualcuno poteva immaginare che il sorriso cattivo di Junker che presenta il conto di 100 miliardi di euro da pagare per lasciare l’Unione avrebbe potuto essere perfino simpatico a chi guarda Albione dalla terra ferma?

La risposta a tutte queste domande è naturalmente contraddittoria, perché nei paradossi non vi sono certezze e coerenza, ma quando Theresa May ha chiesto il voto anticipato, con il triplice intento di legittimare sé stessa, non essere poi costretta a votare poco dopo il primo probabile dispiegamento degli effetti negativi della Brexit , e convincersi con un successo elettorale di poter anche conseguire un successo politico, tutti abbiamo colto il suo cinismo e la sua spregiudicatezza, unitamente ad una arrendevolezza di Corbyn difficilmente spiegabile, visto che avrebbe agevolmente potuto tenerla sulla graticola fino alla scadenza naturale della legislatura.

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Certo, nella scelta di Theresa May ha sicuramente pesato la sua risicata maggioranza di 330 parlamentari  su 650, oltre al fatto che molti dei Tory che siedono in parlamento sono tutt’altro che entusiasti della Brexit: per questo ha seguito i sondaggi del momento che le pronosticavano una maggioranza di 100 seggi, ed è andata alla guerra elettorale senza riflettere sul fatto che oggi i sondaggi sono al minimo storico di credibilità, e spesso tradiscono in modo perfido chi li segue con troppo entusiasmo.

 

 

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Jeremy Corbyn, candidato Labour e Presidente del Partito Laburista 
            (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

 

Le cose non sono andate come tutti pensavano, e la campagna elettorale non è stata un piacere per i Tories e per Theresa May, sia perché la Signora Primo Ministro si è rivelata particolarmente inadatta alla contesa politica e al confronto con giornalisti ed elettori, sempre altezzosa, spesso impacciata e contradittoria, poco empatica e scarsamente comunicativa, sia perché la sua agenda è apparsa ai più inadeguata ai problemi che deve risolvere, il rilancio dell’economia e il negoziato con l’Europa, legando il primo al successo del secondo.

Sul primo punto, come è capitato a molti governi conservatori, risulta difficile dimostrare in che modo  garantire il benessere generale quando si tagliano tasse e servizi, e contemporaneamente non cresce l’economia, come ormai sempre più spesso capita,  sul secondo appare del tutto impossibile dimostrare come si possa procedere con la cosiddetta hard brexit (uscire senza pagare e mantenere privilegi commerciali), in realtà l’unica opzione sul tavolo dei Tories, in presenza di un’Europa ancora viva e vegeta,  senza fare un bagno di sangue.

 

      Numero di pacchi da 3 giorni di cibo "d'emergenza"  donati dalla 
    Trussell Trust 2016-2017 (cliccare immagine per miglior risoluzione)

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Forse una parte della classe dirigente inglese ha sempre considerato l’Europa un incidente della storia al quale bisognava porre fine per tornare ad avere un ruolo dominante, o forse gli epigoni di Farage speravano semplicemente in un esito diverso dei processi politici in atto, soprattutto quello delle elezioni francesi, in risultati che potessero cioè scardinare da subito la costruzione europea e consentire alla Gran Bretagna di definire accordi commerciali separati con i singoli stati di una ex unione avviata al declino, ma questo non è successo qui ed ora, non c’è stata nessuna accelerazione distruttiva, e al contrario Macron si è affrettato a spiegare che Junker aveva ragione quando diceva che “pacta sunt servanda”, ossia l’unica cosa che gli hard brexiter non si possono permettere, se non vogliono esser inseguiti coi forconi.

Corbyn al contrario ha fatto un figurone, Corbyn il rosso, antieuropeista tiepido e ambiguo, considerato con qualche fondata ragione un leader vetero comunista, ritenuto da tutti incapace di essere competitivo in una elezione politica generale, ha rimontato gran parte dei punti di svantaggio, ha sbertucciato a più riprese la vispa Theresa, grazie anche ad una capacità comunicativa che lei se la sogna di notte, ha proposto un programma elettorale particolarmente di sinistra, cosa in genere perdente,  e soprattutto ha negato che lo slogan dei Tory, “no deal better than a bad deal”, meglio nessun accordo che un brutto accordo, sia una cosa che può stare in piedi, perché quello che i brexiter definiscono “brutto accordo” è il minimo sindacale per un’Europa che ha palesemente il coltello dalla parte del manico, in particolare nel caso che non si arrivasse a nessun accordo.

 

                             Banche del cibo

 

 

Tuttavia, se anche queste elezioni  sono state indette sulla Brexit, sono pur sempre state elezioni politiche, e in un contesto di radicalizzazione dello scontro, in un paese che ha visto nascere “banche del cibo” (dell’organizzazione non-profit Trussell Trust)  per distribuire derrate alimentari destinate ai nuovi poveri, di nuovo come una Grecia qualunque, proporre più tasse e più spesa pubblica per finanziare nazionalizzazioni, crescita, istruzione gratuita e ospedali più efficienti , ossia ricette che avevano portato al tramonto del Labour alla fine degli anni ’70 e che nessuno si azzarda più a proporre, poteva avere una venatura massimalista e populista, ma in un mondo dove il populismo è ormai diventato la regola e nel quale gli imbecilli arrivano al potere sedotti da Nigel Farage, poteva anche essere un modo per  toccare le corde della classe popolare e della classe media che impoverite e spaventate dalla crisi avevano scelto la Brexit, in ogni caso una stupidaggine ben superiore, ammesso e non concesso che Keynes fosse uno stupido.

 

 

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  Exit poll, ore 23: Cons. - 314 | Labour - 266 | SNP - 34 | LibDem - 14
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All’apertura delle urne i primi risultati sembrano dar torto a Theresa May, che come i conservatori temevano e i laburisti auspicavano pare essersi trasformata da Lady di ferro in Lady di latta: i Tory dovrebbero aver perso seggi, il Labour sembra averne guadagnati una trentina, non pare che ci sia una maggioranza, e anche considerando l’inaffidabilità di sondaggi ed exit poll, il sogno di 100 seggi in più per la Brexit dura e pura è sicuramente tramontato.

 

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La lady di latta (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

 

Con lui tramonta il sogno di Theresa May di cambiare l’espressione grifagna da strega cattiva e supponente nello sguardo autorevole della statista che deve guidare il paese nella tempesta più difficile che l’ha colpita dopo la fine della guerra, e indipendentemente dal conteggio dei seggi e dalle possibili maggioranze di governo, cose in questo momento assolutamente imprevedibili perchè alcune decine di collegi sono in bilico, il dato evidente è quello della sconfitta politica dei Tory, aggravato dalla beffa di trovarsi con la Brexit appesa al nulla, esattamente come sembra essere appeso il Parlamento.

Oggi è presto per dire se questo voto potrà incidere sulla Brexit, troppo delicato il tema, e troppo dolorosa la ferita sulla pelle di un paese drammaticamente spaccato in due, chiunque sia da domani chiamato a governarlo; conta anche il fatto che il risultato di Corbyn, che secondo le previsioni iniziali avrebbe dovuto essere rovinoso, appare comunque migliore di quello precedente, cosa che avrà il suo peso nella futura agenda politica del paese.

Se in Inghilterra ci fosse una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe immediatamente scusarsi per essersi cacciata in questo cul de sac, e se volesse in qualche modo uscirne decentemente dovrebbe dire una cosa semplicissima ai suoi cittadini: è stato un incubo, facciamo finta di avere scherzato, da domani la ricreazione è finita e si comincia a ragionare sulle prospettive possibili del prossimo secolo, dimenticando i rimpianti di un passato che non tornerà.

 

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I risultati ufficiali   (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

La mattina del 9 giugno conferma in modo evidente che la sconfitta di Theresa May è stata rovinosa, i Tory hanno solo due punti percentuali in più del Labour e hanno perso la maggioranza assoluta, potranno arrivare forse a 319 seggi, e per governare avranno bisogno del soccorso del Partito Unionista Irlandese e dei suoi 10 deputati, disposti ad entrare in un debolissimo governo di coalizione: il Parlamento è effettivamente appeso, come in molti avevano temuto prima delle elezioni, perchè si è determinata la peggiore delle situazioni possibili dal punto di vista della governabilità, e nessuno può dire cosa succederà domani.

Corbyn è il vero vincitore, gode a questo punto di una cospicua rendita di posizione, forte di uno dei migliori risultati del Labour degli ultimi decenni, e ha già chiesto le dimissioni della May, cosa che potrebbero fare anche i Tory, da sempre spietati con i leader perdenti; che siano poi effettivamente in grado di sostituirla con qualcuno dotato del ben dell’intelletto appare sommamente improbabile.

 

 

N.d.R Questo blog è stato pubblicato la notte del 9 giugno, due ore dopo l’uscita degli exit poll, e aggiornato la mattina alle 8,30, a risultati acquisiti.

La visp

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a Theresa (seconda parte)

                La rincorsa del formaggio a Gloucester

 

 

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Toteninsel

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