le storie

Le disuguaglianze sociali del XXI secolo

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Nel suo ultimo libro, Le capital au XXIe siècle, Seuil editore, 2014, l’economista francese  Thomas Piketty fa l’analisi di un aspetto importante dell’attuale crisi delle società capitaistico- liberiste occidentali. La tesi dell’autore è che all’inizio del XXI secolo l’eredità non è lontana dal ritrovare l’importanza che aveva nel XIX secolo, accentuando le presenti disuguaglianze sociali. Frantumando il ceto medio in una minoranza che diventa sempre più agiata e una maggioranza che decade a ceto inferiore, rendendo i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

La spiegazione economica dell’autore è la seguente: “poiché il tasso di rendimento del capitale oltrepassa durevolmente il tasso di crescita della produzione e del reddito, situazione che è durata fino alla fine del XIX secolo e che rischia fortemente di tornare ad essere la norma nel XXI secolo, il capitalismo produce meccanicamente delle ineguaglianze insostenibili, arbitrarie, rimettendo radicalmente in causa i valori meritocratici sui quali si fondano le società democratiche (ad economia liberista)”.

Balzac, grande conoscitore delle nobiltà (poche) e delle miserie (molte) umane, nel suo “Le Père Goriot” uscito nel 1835, presenta l’ex galeotto Vautrin che rivela cinicamente allo studente spiantato Eugène de Rastignac i meccanismi sociali del tempo, spiegandogli che era molto più conveniente sposare un’ereditiera che studiare e lavorare. Tesi questa, poi ripetuta da Berlusconi e data in pasto ai suoi numerosissimi sostenitori, allo stesso tempo nel quale definiva spavaldamente gli elettori di sinistra nient’altro che dei coglioni.

Ai tempi di Balzac, Parigi concentrava un quarto dei patrimoni della Francia, nonostante che vi vivesse solamente un ventesimo della popolazione. Poi le due guerre mondiali, le distruzioni materiali, l’inflazione e scelte politiche di marca progressista avvenute con la democrazia, hanno ridotto il peso dei patrimoni, dando più peso al reddito da lavoro. Piketty, basandosi su una considerevole massa di dati statistici, analizza nel suo libro la questione della ripartizione delle ricchezze e, quindi, dell’ineguaglianza elaborando una notevole quantità  di dati.

Storicamente, nei paesi europei industrializzati i salari cominciano a crescere, prima debolmente, a partire dalla fine del XIX secolo e con piu’ consistenza nel XX secolo. Ultimamente, come scrive Piketty “dal momento in cui il tasso di crescita della popolazione e della produttività è relativamente debole, i patrimoni accumulati nel passato assumono naturalmente un’importanza considerevole, potenzialmente smisurata e destabilizzatrice per le società”.

Certo, c’è stata una forte riduzione delle ineguaglianze di reddito tra la prima guerra mondiale e la fine della seconda: negli Usa, per esempio, il 10% degli americani più ricchi concentrava ogni anno il 45-50% del reddito nazionale negli anni ’10. Alla fine degli anni ’40, questa percentuale è caduta al 30-35% (oltre alle guerre e all’inflazione, un ruolo l’ha avuto anche l’imposta progressiva sul reddito, introdotta nel 1913 negli Usa, nel 1909 in Gran Bretagna, nel 1914 in Francia). Ma dagli anni ’70-’80, la tendenza si è invertita. Dal secondo dopoguerra c’è stato il tempo per ricostruire i patrimoni e la svolta di Reagan, con l’abbassamento delle tasse, ha fatto il resto. Le ineguaglianze crescono: negli Usa, spiega Piketty, “la concentrazione dei redditi ha ritrovato negli anni 2000-2010, o addirittura leggermente oltrepassato, il livello record degli anni 1910-1920. Negli anni 2000-2010 nei paesi ricchi è stato ritrovato il livello di capitalizzazione di Borsa (in proporzione alla produzione interna o al reddito nazionale) esistente a Parigi o a Londra negli anni 1900-1910. Oggi, il valore del capitale finanziario, immobiliare – cioè del capitale non umano – nei paesi ricchi è equivalente a sei anni di produzione e di reddito nazionale, un rapporto simile a quello che esisteva nel XIX secolo.”

Oggigiorno l’imprenditore lascia un’eredità cospicua, così come il grande dirigente d’azienda. Queste eredità è ricchezza che cresce più velocemente di ogni altra, dato che il tasso di rendimento dei capitali è maggiore di quello generato da attività produttive. Quindi, mentre precedentemente si generava per lo più una ricchezza generata dal “capitale” – nonostante tutto proficua alla società in quanto derivata da una attività produttiva di cui tutti beneficiavano (da chi partecipa a produrla a chi la consuma) – ora vengono generate maggiormente ricchezze prodotte da eredità. Di cui beneficiano quasi esclusivamente i possessori, in quanto non direttamente e non sempre legate ad attività economiche che aumentano la ricchezza generale della società. La concentrazione della ricchezza, quindi, travalica dal concetto liberista di giusto compenso per chi investe, rischia e produce, per divenire semplice “tassa” sulla società, pagata sotto la forma di affitto di beni immobili e interessi su capitale preso a prestito. Cosa fare a questo proposito? Una delle vie preferite della conservazione è deregolarizzare e ridurre la pressione fiscale. Il principio dietro queste iniziative è che, con più disponibilità di danaro, ne se ne mette più in circolazione e, quindi, ne beneficia l’intera collettività. La realtà è ben altra. I “risparmi” sull’esenzione fiscale rimangono per lo più a far parte del capitale accumulato e vengono per la maggior parte usati per gli stessi scopi.

La sinistra radicale e tutti i movimenti marxisti del passato hanno sempre proposto la confisca e a la ridistribuzione di questi beni alle classi meno agiate. Ma oggigiorno la cosa è improponibile. Sia dal punto di vista prettamente politico – dato che imposizioni forzose sono possibili solamente da governi autoritari slegati da quelle espressioni di democrazia che sono un punto fermo della nostra civiltà -, sia dal punto di vista economico. In quanto un trasferimento di beni immobili e di capitali in altre mani, pure se fatto con nobili intenti, se non accompagnato da manovre economiche attualmente ancora da formulare, rischierebbe di lasciare tutto in una situazione di stallo con ricchezze ridistribuite ma, nonostante questo, ancora ininfluenti o addirittura dannose al processo economico e al progresso della società tutta. Infatti, la confisca e l’assegnazione di queste ricchezze allo stato è già stata sperimentata dai paesi cosiddetti socialisti, con pessimi risultati.

La progressiva concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi, trasferendosi poi in maniera ereditaria, sta mettendo inoltre in crisi il modello stesso di vita economico-sociale nordamericano. Basato sull’idea di una società dove le classi non contano, essendo fluttuanti. Dove il presupposto è di dare ad ognuno, a seconda dei meriti e delle capacità, la stessa possibilità di salire o scendere nella scala sociale. Ora sta venendo meno la “legittimità” di questo modello. Legittimità che ha fatto da cemento alla coesione sociale nordamericana ed ha evitato tutte quelle fratture, strappi e sovvertimenti avvenuti nei paesi europei. Come far accettare le disuguaglianze sociali che sono alla base del sistema liberista ad una popolazione che comincia a rendersi conto che la mobilità sociale è stata sostituita da titoli ereditari? Titoli, che ieri erano nobiliari e oggi di borsa?

Per cercare di evitare questa deriva, Piketty invoca scelte politiche, poiché “non esiste nessun processo naturale e spontaneo che permetta di evitare che le tendenze destabilizzatrici e che portano all’ineguaglianza con l’abbiano vinta durevolmente”. A questo proposito l’economista suggerisce di aggiungere un’imposta mondiale progressiva sui redditi da capitale, perché l’uguaglianza formale dei diritti di fronte alla forza del mercato non è sufficiente per garantire una società più giusta. Ma la vicenda della Tassa sulle transazioni finanziarie, che avrebbe dovuto essere introdotta in nove paesi della Ue e che progressivamente è stata svuotata di ogni contenuto e di fatto abbandonata, ci dice che questa strada non è di facile implementazione.

Cosa fare allora?

Credo che la soluzione proposata da Piketty, in ogni caso, non basterà e che si dovranno presto trovare altre soluzioni più radicali. I correttivi al capitalismo hanno funzionato in precedenza per via del fatto che le economie liberiste avevano ancora davanti a loro un notevole potenziale di espansione. Ora siamo al capolinea. Non c’è espansione su cui contare. O, se esiste, è totalmente insostenibile, in un pianeta dove tutto quello che è esauribile si stà esaurendo. Per esempio è diritto legittimo, nell’ambito della societa capital-liberista, che tutti abbiano la possibilità di possedere un’automobile. Questo, nel contesto economico attuale  sarebbe auspicabile, in quanto creerebbe un aumento di consumi e quindi di produzione. Ne beneficiano i destinatari, come i produttori di auto, i gestori di benzina, quelli delle autostrade, eccetera. Ma dove si trova la benzina per far circolare diversi miliardi di autovetture che i produttori si ostinano ancor oggi a produrre col motore a scoppio inventato più di cento anni fa? E, cosi facendo, che aria si respirerà?

La realtà è che il modello capitalista è al capolinea. Superato, non rispondente ai bisogni attuali dell’umanità. Inadeguato, questo modello lo è sempre stato per coloro che si sono trovati dalla parte sbagliata, gli sfruttati, gli appartenenti ai ceti inferiori. Categorie alle quali si deve oggi aggiungere quelle dei licenziati senza nuovo impiego e la enorme massa di giovani totalmente emarginati e senza speranza di poter entrare in maniera proficua, per loro e per la società, nella sistema produttivo.

Che fare allora?

 

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