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Le vere conseguenze del voto referendario

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La tecnicalità del voto referendario è di una semplicità estrema: si tratta di scegliere tra Si e No; i percorsi da seguire per arrivare ad una scelta libera e consapevole però non lo sono affatto e si passa dal classico “votare Si per affermare un No” (o viceversa – già successo in passato), al prendere una decisione le cui conseguenze vanno ben oltre il quesito referendario e portano, più frequentemente di quanto non si possa ritenere, a situazione che, se razionalizzate prima del voto, avrebbero forse indotto un comportamento opposto ed opposto risultato.

Il quesito referendario che troveremo sulla scheda apparentemente toglie ogni dubbio sul possibile fraintendimento tra Si e No: si tratta di confermare la legge 240 del 12 ottobre 2019 la quale, come sappiamo riguarda la modifica di tre articoli della Costituzione, quelli che indicano i criteri di rappresentanza numerica nelle due assemblee elettive che compongono il Parlamento. A chiarire ulteriormente i contenuti della legge ci hanno pensato gli opposti schieramenti, entrambi concentrati prevalentemente su aspetti economici e di qualità della rappresentanza del Parlamento post voto. Sui risparmi che questa riforma comporterà soprassiederò: ho già preso il mio caffè mattutino e me li sono già giocati; diverso il discorso sulla qualità della rappresentanza per la quale credo sia necessario un approfondimento, perchè la riduzione di Deputati e Senatori porta come corollario alcune storture spesso segnalate dai più attenti commentatori, che riguardano sia il diverso peso del voto in alcune regioni rispetto ad altre (perchè a parità di elettori, verrà espresso un diverso numero di eletti) sia il progressivo inesorabile allontanamento dei secondi dai primi, a causa dell’inevitabile maggiore estensione dei collegi elettorali che la riforma comporta.
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Tramontati i tempi dei potentati locali dispensatori di prebende in cambio di voti (posti di lavoro, avanzamenti di carriera, trasferimenti di sede) ormai da anni si percepisce una distanza crescente tra i luoghi ove le persone vivono e quelli ove la vita delle persone viene pesantemente condizionata, e sempre più assistiamo alla concentrazione di potere nelle mani delle Segreterie dei partiti che ormai decidono, spesso in modo autonomo, candidati e collegi. Nonostante questo accentramento di potere, figlio anche delle mutate tecniche di comunicazione che tendono ad allontanare fisicamente gli elettori dai candidati, il potere che le varie maggioranze hanno espresso in Parlamento negli ultimi decenni è stato si sufficiente a far passare norme al limite della decenza (non solo istituzionale), ma non sempre adeguato a far approvare modifiche della Costituzione, procedimento per il quale è previsto un percorso particolare che necessita di maggioranze qualificate senza le quali l’ultima parola spetta, come il prossimo 20 settembre, al corpo elettorale.
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Intendiamoci, con questo non voglio dire che il Parlamento nella composizione attuale non sarebbe in grado di modificare la Costituzione senza doversi successivamente confrontare con il Paese: in Italia dal 1947 ad oggi abbiamo avuto decine di modifiche della Carta senza che venisse indetto alcun referendum, ma queste riguardavano prevalentemente le Regioni a Statuto Speciale, e comunque è avvenuto in un contesto nel quale il continuo studio degli atti dell’Assemblea Costituente portava alla ricerca di sponde adeguate a supportare le modifiche che si volevano attuare; contava il modo in cui i Padri costituenti erano arrivati a fare delle scelte per poterle modificare.

Questo approccio è sostanzialmente caduto dopo tangentopoli , che segna un confine così netto tra il “prima” ed il “dopo” da rendere necessari maggiori approfondimenti quando si vuole modificare la Costituzione, specialmente se al posto del bisturi si vuole utilizzare l’ascia.

Il problema della qualità della nostra democrazia è stato quello che ha determinato, almeno nelle parole di chi avversava quella riforma, la disfatta di Renzi nel 2016, e fa un po’ specie vedere che l’attuale riforma non venga avversata dalle stesse persone con altrettanta veemenza, perché per mia opinione (vorrei dire “di tutta evidenza”) quella che andiamo a votare è una modifica che va ben al di là del semplice taglio lineare di Deputati e Senatori, ed apre la porta a possibili degenerazioni delle quali i sostenitori dell’apriscatole come mezzo di evoluzione del sistema democratico non hanno fatto mistero.
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E qui arriviamo al punto; l’art. 138 della Costituzione prevede che per poter modificare la Costituzione venga seguito un iter parlamentare piuttosto lungo durante il quale le due Camere devono procedere ad una doppia lettura del testo, che dovrà essere approvato con una maggioranza qualificata di 2/3 dei componenti delle due assemblee per poter diventare legge dello Stato; in caso di maggioranza assoluta (o altre relative) è necessario il successivo ricorso a Referendum.

Facciamo un passo indietro; la riduzione del numero dei parlamentari, come abbiamo visto nelle legittime obiezioni di chi sostiene il No, aumenta il distacco tra elettori ed eletti, consentendo un maggior accentramento del potere nelle segreterie dei partiti, e quindi accentuando in modo marcato tutti quei problemi e difetti che da tempo vengono da più parti evidenziati. Ciò renderà ancora più agevole il controllo politico sull’attività dei parlamentari, facendo si che lo Stato democratico tenda a non essere più regolato dal Parlamento, ma da un’oligarchia, sia essa rappresentata da un solo partito che da una coalizione. Ecco che, proprio in virtù dell’articolo 138, le modifiche della Carta Costituzionale, qualora vincesse il Si, diventeranno assai più agevoli, perchè più agevole sarà il controllo sui comportamenti e sul voto di un ridotto numero di parlamentari; e noi sappiamo già quale sarà la prossima modifica in discussione: l’introduzione del vincolo di mandato con la modifica dell’art. 67 che attualmente rende responsabile l’eletto solo ed esclusivamente nei confronti dell’elettore ma che con la suddetta modifica si troverà legato mani e piedi all’organo dirigente del partito di appartenenza.

Ciò a cui probabilmente andremo sempre più incontro saranno continue modifiche delle regole del gioco attuate non solo mediante modifica della legge elettorale (cosa che già attualmente è consentita con legge ordinaria), ma anche con modifiche alla Costituzione, con possibili progressive riduzioni dei margini di democrazia che paradossalmente vedranno un po’ tutti i partiti maggiori concordi; i distinguo nella propaganda odierna non inducano in errore: questa riforma l’hanno votata a larga maggioranza e siamo dovuti arrivare al referendum solo perché un nutrito numero di parlamentari hanno pilatescamente disertato le votazioni impedendo di raggiungere il quorum necessario. Ed evito di addentrarmi in considerazioni tattiche sull’opportunità o meno di sostenere l’attuale governo anche attraverso il voto referendario.
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Con la vittoria del Si il cerchio sarà chiuso e si potrà così realizzare il disegno di Licio Gelli, il quale prevedeva tutta una serie di riforme costituzionali da attuare speditamente attraverso un controllo rafforzato sul parlamento, ottenibile guarda caso con la riduzione lineare del numero dei parlamentari; segno inequivocabile del fatto che il venerabile maestro avesse fatto buon tesoro delle modalità con le quali Mussolini nel 1928 aveva iniziato, proprio con la riduzione del numero dei Parlamentari, il processo di accentramento di potere i cui esiti conosciamo bene.
Peraltro Licio Gelli non parlò mai di un ritorno al fascismo, almeno inteso come realizzazione di un regime del partito unico; il manifesto della Loggia P2 prevedeva l’instaurazione di un sistema bi-partitico nel quale, però gli opposti schieramenti (con anche la sinistra rappresentata), non fossero strumenti di democrazia, ma organi direttivi nei quali il potere decisionale potesse prevalere sulla dialettica interna: un sistema che realizzasse un’alternanza di oligarchie nel quale la possibilità di incidere, da parte del corpo elettorale, fosse assai limitata.

Come tacchini in fila per festeggiare il Natale, i sostenitori del Si si avviano baldanzosamente verso questo appuntamento referendario, schiumanti di rabbia ed al grido: “adesso ve lo facciamo vedere noi”! Facciamo in modo che non siano determinanti, anche per loro.

 

 

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Referendum o referenzum
Abuso di referendum

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