la società

L’etica della compassione

Una vita che non c’è più; non sappiamo il nome ne se fosse una ragazza o un ragazzo, ma solo che aveva 17 anni, che soffriva dolori atroci per una malattia per la quale non esiste cura e che ha scelto, con il consenso della famiglia, di porre fine alla sofferenza senza soluzione, se non quella del ricorso all’eutanasia.

Nel silenzio dei media e nel pieno rispetto della privacy, la procedura è stata portata a termine in un Paese, il Belgio, nel quale la scelta di morire è accettata, oltre che dalla legge, dal comune sentire di una società laica moderna che si è posta il problema ed ha deciso che, alla fine, è una scelta personale che ha, come unica alternativa, il suicidio. Naturalmente la cosa ha immediatamente suscitato il solito moto di rivolta nelle comunità cattoliche che da sempre avversano, oltre ogni logica, il fatto che lo Stato sancisca un diritto, quello di morire, che alla fine, ognuno di noi, se proprio vuole, finisce per potersi prendere con la forza della disperazione.  L’etica della compassione

Il dogma che sottende il pensiero cattolico è che la vita è un dono di Dio e solo Dio può decidere di togliercela; questo vale da decenni per l’aborto, introdotto nell’ordinamento italiano nel 1978 con la legge 194 e oggetto di continui reiterati attacchi da parte delle comunità confessionali, e per l’eutanasia la quale, nonostante finisca periodicamente per ritornare alle cronache e nella polemica politica, in Italia non è ancora consentita a causa di una convergenza trasversale in Parlamento che osteggia il rilascio di una legge da molti attesa. Ma mentre per l’aborto esiste almeno il terreno scivoloso di una vita in fase di formazione (non facile è stato determinare il periodo entro il quale esso potesse essere consentito), che rende necessario il ricorso totale alla volontà della madre in assenza di plausibili alternative, nell’eutanasia, salvo il caso del coma irreversibile, si ha la possibilità di conoscere la volontà di chi è soggetto, prima che oggetto della scelta, se continuare a vivere o decidere di morire.   L’etica della

 

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compassione

È ormai assodato il fatto che partire da basi ideologiche per affrontare questo tipo di argomenti, non porta a niente per cui cercare di convincere chi basa sulla fede i propri comportamenti è del tutto inutile, anche se in molti di essi una certa dose di ipocrisia finisce per contaminare la purezza di un’idea proclamata in pubblico ma, spesso, messa da parte nel privato. C’è poi l’aspetto legato al bonus politico incassabile (non solo in Italia) con la strenua difesa di valori “non negoziabili” legati al credo religioso, che induce personaggi, più o meno discutibili, a sfruttare quel sentimento al fine di ottenere consenso, per poi, magari, condurre una vita tutt’altro che ispirata a quei valori.

A noi laici, profondamente convinti che non esiste ragione per cui lo Stato debba regolare comportamenti individuali che hanno riflesso così preponderante sulla sfera personale, se non nel determinare la metodologia migliore per rispettare la volontà dell’individuo, questo tipo di dibattito non interessa perché è il principio che conta; tutt’al più si potrebbe approfondire l’aspetto psicologico e sociale della vicenda: cosa può spingere una persona a fare una scelta irreversibile così dolorosa e come può la società aiutare quella persona in un percorso di possibili alternative e, alla fine, se tutto risulta vano, accompagnare nel modo più indolore una vita che non vuole più andare avanti?

 

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L’argomento è difficile e la casistica troppo vasta perché si possa, in poche righe, condensare concetti onnicomprensivi. Credo anche che, proprio per la particolarità della materia, ogni caso sia unico nella sua drammaticità perché composto da un mix di soggettività (unica per definizione) e oggettività (la malattia, la menomazione, l’evento contingente che riguarda l’individuo). La statistica, sulla quale si basano gli studi dei fenomeni sociali non può dare conto ma solo aiutare per proporre soluzioni applicabili ad una pluralità di casi; poi, quando una persona dice “basta, non ce la faccio più”, esiste solo lei e la responsabilità collettiva di ascoltarla, aiutarla se possibile, ed infine assecondarla.             L’etica della compassione

Il principio in base al quale tutto questo diventa possibile è determinato dall’unico obbligo morale che ognuno di noi dovrebbe sentire di avere nei confronti degli altri: la compassione, cioè quell’attitudine ad essere empatici nei confronti di coloro che soffrono (in senso lato), comprendere le loro ragioni e fare, ognuno ciò che può. La compassione non è vuoto pietismo, ma piena percezione del proprio ruolo all’interno di una comunità di persone; essa è il denaro con il quale dovremmo sentire il dovere di pagare la protezione che la comunità concede a noi ed è alla base del concetto di mutualità che consente (anche se non ce ne rendiamo conto) la sopravvivenza di istituzioni quali il Servizio Sanitario Nazionale e la Previdenza.          L’etica della compassione

Le parole hanno un loro senso ma in una Società dove si è spesso pronti a reclamare diritti, dimentichiamo però i molti doveri: senza compassione non si ha solidarietà e senza solidarietà viene meno il principio sociale e, in ultimo, lo Stato.                 L’etica della compassione

I principi di etica e morale sono indissolubilmente legati tra loro, nel senso che l’una è funzione dell’altra e persino nei Vangeli il sentimento di compassione viene richiamato così tante volte in riferimento all’attitudine del Cristo nei confronti del prossimo, da configurarsi come caposaldo della morale cattolica che poi, però nell’etica religiosa diviene mezzo laddove serve, per poi sparire spesso nella pratica quotidiana.             L’etica della compassione

Per un laico non vi può essere doppiezza.

 

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L'artista/ingegnere/designer lituano Julijonas Urbonas ha ideato un modo per
agevolare l'eutanasia che include al suo dire "fascino, estasi e indolore oblio".
Col progetto "Euthanasia Coaster", Le montagne russe dell'eutanasia, una
volta in caduta il soggetto sperimenta una forza pari a 10·G. Pagina Wiki.
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Il progetto presentato per la prima volta alla mostra "Human +, il futuro della
nostra specie", a Dublino nel 2011, suscitò molte polemiche. L'autore si difese
spiegando che la sua intenzione era anche quella di riaffermare una ritualità
legata al morire; così facendo ovviare ai sistemi di eutanasia che si conoscono,
che lui definisce come sterilizzati, farmacologici, asettici, e freddi.
                    Cliccare immagine per miglior risoluzione

 

 

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Le dimensioni gradualmente minori dei 7 clotoidi d'inversione del tracciato
assicurerebbero che l'individuo venga sottoposto alla forza di 10·G per un minuto
intero. I passeggeri morirebbero attraverso una prolungata ipossia cerebrale. Le
inversioni del tracciato e la conseguente accelerazione di 10·G per 60 secondi
impedirebbe al sangue di andare al cervello, diretto invece verso gli arti, con
sintomi come appannamento progressivo della vista e perdita di coscienza.
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Come verificato in prove con piloti ed astronauti (che in rare occasioni hanno
vissuto una forza tale per pochi secondi) il cervello a corto di sangue
sperimenta uno stato di euforia per  poi perdere coscienza.

 

      Video di Julijonas Urbonas che spiega il progetto "Euthanasia Coaster"

 

 

      Video simulazione 3D soggettiva del progetto "Euthanasia Coaster"

L’etica della compassione

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3 comments

  1. Luistella 21 settembre, 2016 at 12:54

    Penso che se una persona arriva al punto di scegliere l’eutanasia, sia la sua una scelta piena e consapevole e nessuno, ha il diritto di criticarla o invocare principi etici di vario tipo. In questo caso si parlava inizialmente di un bambino ed allora ho pensato a quale tragedia interiore avesse attraversato la mente ed il cuore dei genitori. e che tale decisione dovesse essere rispettata con un atteggiamento compassionevole e che fosse in fin dei conti ,una scelta molto coraggiosa. Poi è emerso che il giovane, se pur ancora minorenne, aveva 17 anni e che quindi la sua poteva già essere considerata una decisione da persona adulta che decideva di porre fine alle sue sofferenze.
    Tutti gli interventi di “condanna” su queste scelte,compreso quello della Chiesa, mi paiono proprio poco caritatevoli ed alquanto ipocriti. Mi avevano molto impressionato le dichiarazioni dei familiari di una persona che inizialmente, fu identificata, tra quelle che ,durante l’attacco alle Torri gemelle, si buttarono dal grattacielo.Ne parlarono i media americani e successivamente si scoprì non essere quella persona che avevano ritenuto tale.I familiari del soggetto si dichiararono più ” sollevati” dall’avere saputo che il loro congiunto non fosse tra quelli che si buttarono , perchè non avrebbero accettato l’ipotesi che il loro parente avesse deciso di lanciarsi nel vuoto ,quindi di suicidarsi. A me parve l’emblema dell’ipocrisia di un certo modello d’etica.

  2. Tigra 20 settembre, 2016 at 01:23

    Non so se è possibile uscire dai riferimenti ideologici per discutere di eutanasia si / eutanasia no, perchè da una parte abbiamo il diritto e la facoltà di morire, e dall’altra l’obbligo e il dovere di vivere.
    Manca qualunque base comune per discutere e comprendere le ragioni dell’altro, ma le due posizioni non hanno uguali diritti, perchè la facoltà è meno invasiva, meno crudele, e più umana della prescrizione, ed è per questo più larga, è la sola che pur non comprendendolo, può contenere il punto di vista dell’altro, mentre il contrario non è mai vero.
    E allora l’assumo io la posizione ideologica: la vita è un bene prezioso, ma come tutti gli altri è un bene disponibile, perchè appartiene solo al suo proprietario, che ha in ogni tempo in ogni luogo il diritto di rinunciarvi, per ragioni che sono alla fine insindacabili.
    Negare ad una persona il diritto di morire è una posizione ignobile, da stato etico, e non può essere accettata, neanche per il volere della maggioranza; è poi nel contempo una posizione ridicola, perche tutti gli stati del mondo, esclusi quei pochissimi che consentono l’eutanasia, dispongono normalmente e liberamente della vita dei propri cittadini, comportamento che si colloca ben oltre i limiti dell’antisportivo, del buon gusto e del buon senso.

  3. Remo Inzetta 18 settembre, 2016 at 19:51

    Il ragionamento sull’eutanasia è interessante e anche condivisibile, per i laici, ma temo che sia puramente accademico, perchè la nostra società non è pronta per affrontarlo.
    Non è solo la società italiana a non essere pronta, per ragioni che sono intuitive, ma tutta la società occidentale: non è un caso che di questa cosa se ne parli in paesi piccoli e marginali, come il Belgio e L’Olanda, e non in Germania o negli Stati Uniti.
    Non dimentichiamo poi che per approvare delle leggi del genere, e noi ne sappiamo qualcosa, servono maggioranze molto larghe.
    Non sono invece d’accordo sull’eutanasia spettacolarizzata, sulle montagne russe e a gruppi di 20 persone: la scelta di morire deve essere riservata e personale.

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