la società

Il liberalismo del terzo millennio

 

Le società liberali che all’alba del terzo millennio assistono impotenti all’aumento della povertà e alla crescita dell’insicurezza si interrogano in modo sempre più allarmato sul senso e sul destino della liberaldemocrazia, senza trovare risposte che consentano di guardare con fiducia al futuro.

La liberaldemocrazia è un ibrido a geometria variabile che deriva dalla reciproca contaminazione fra i principi del pensiero liberale e quelli del pensiero democratico, e infine anche di quello socialdemocratico, che ha caratterizzato il pensiero politico del secolo scorso, definendo i parametri e i confini entro i quali noi occidentali abbiamo vissuto fino ad oggi.

Il più lungo periodo di pace, prosperità e sviluppo dell’Europa e dei Paesi anglosassoni è figlio del pensiero e della politica liberaldemocratica, e per molti anni abbiamo pensato che questa fosse la soluzione definitiva, e anche la migliore.

Poi qualcosa è cambiato, e nello spazio di due generazioni scarse siamo passati dalla piena occupazione e dal welfare che ci assisteva dalla culla alla tomba, ad una crisi economica che per ferocia e durata ha come unico precedente nell’era moderna quello della grande depressione, oltre che allo smantellamento di una parte cospicua del sistema di tutele e garanzie nelle quali avevamo sempre vissuto; in questo contesto i due principali fenomeni sociopolitici del nostro tempo, il confronto sanguinoso con l’islam del medio oriente e il flusso verso occidente dei migranti su scala planetaria, hanno agito da moltiplicatori dell’insicurezza, fino a far prevalere sempre più spesso quella percepita su quella reale, che pure non è di piccola misura.

La conseguenza più evidente di questa situazione è che le scelte politiche dei cittadini vengono determinate oggi più di ieri dalla pancia e non dalla testa, dalla paura più che dal raziocinio, e in relazione a ciò le aree nelle quali la liberaldemocrazia continua a prevalere hanno iniziato a restringersi, oltre al fatto che da nessuna parte sta tanto bene.

I movimenti populisti si sono ormai diffusi in tutto l’occidente, e come è successo in passato nei momenti di grande crisi hanno iniziato a conquistare il potere o a condizionare quello degli altri; lo hanno fatto sulla base dei principi democratici naturalmente, ma il processo di smantellamento delle libertà individuali e politiche nei paesi dove hanno vinto, come l’Ungheria, la Polonia e la Turchia, è stato brutale, al punto che da più parti si è cominciato a vagheggiare sul concetto di “democrazia illiberale”, pretesa portatrice di sicurezza ed efficienza.

Considerato che già due dei paesi più grandi e importanti del mondo, la Russia e la Cina, che assieme superano il miliardo e mezzo di abitanti e dispongono di una decisiva potenza militare, sono completamente estranee ai principi liberali e liberaldemocratici, non si sentiva certo il bisogno di questo scivolamento “verso oriente” di importanti pezzi d’occidente.

Nelle ultime settimane le cose sono pure peggiorate, perché il populismo ha iniziato a cambiare la carta politica nel cuore dell’occidente: prima la brexit, imprevedibile e non voluta persino dai suoi promotori, e poi l’incoronazione di Trump a candidato presidenziale negli Stati Uniti a dispetto del partito repubblicano, hanno impresso un’accelerazione evidente alla crisi del liberalismo, che ormai non è più materia di discussione teorica per gli studiosi, ma cronaca concreta per le prime pagine dei giornali.

Se poi ci aggiungiamo il fatto che qualunque sincero liberale pochi giorni fa non poteva che augurarsi il successo del golpe in Turchia, unitamente all’abbattimento dell’aereo di Erdogan, abbiamo una sensazione abbastanza precisa di quanto la misura sia colma, e di quanto sia attuale e importante la domanda sullo stato di salute e sul futuro dello stato liberale che abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo.

Facciamo un passo indietro. Le società liberali hanno costruito, dal New deal in poi, una capacità strutturale di distribuire la ricchezza che per decenni ha creato benessere, identità e coesione sociale; ciò è avvenuto nel contesto di un confronto fra destra e sinistra che ha consentito l’oscillazione del pendolo fra libertà economica e democrazia politica, per privilegiare di volta in volta la creazione della ricchezza e la sua distribuzione.

Questo meccanismo virtuoso si è incrinato negli anni ’80, con il liberismo sfrenato e antiliberale di Reagan e Thatcher, per saltare definitivamente negli anni ’90, quando la sinistra di Clinton e Blair, stanca di batoste elettorali in società che costruiva ricchezze fittizie attraverso una finanza sfacciatamente creativa, invece che costruirsi una nuova e specifica identità competitiva sul mercato elettorale, ha deciso di assumere un corposo pezzo dell’identità della destra, per sconfiggerla con le sue stesse armi, e ci è persino riuscita.

Solo che non ci è riuscita piegando alla fine la destra alle sue regole, che sono quelle della politica che governa e deve governare l’economia, ma piegandosi essa stessa alle regole della destra più estrema e illiberale, che sono quelle di fare governare la prima dalla seconda, e il risultato finale è stato quello di una omologazione sul centro destra di tutta la politica, nella quale omologazione la sinistra ha perso identità, valori e spessore: certo, Clinton e Blair hanno governato, ma alla fine del loro ciclo la politica e la sinistra erano più deboli, mentre la finanza e la destra erano più forti, e oggi solo uno dei due estremi del pendolo sa bene cosa fare e ha la forza per farlo, a prescindere dalla collocazione del partito che vince le elezioni.

Ma non è neppure questo l’aspetto più importante del problema, quello che si è perso nella trasformazione liberista della liberaldemocrazia è la capacità di creare identità e coesione sociale, perché le gocce di benessere hanno rapidamente smesso di tracimare verso il basso, è scomparsa qualunque rappresentanza credibile del lavoro e della classe media, si è bloccato l’ascensore sociale e sono sparite o si sono ristrette tutele e garanzie: si sono create infine  legioni di nuovi poveri che nel mondo globalizzato, nel quale il denaro segue il profitto e non le persone, veleggiano rabbiosi verso il populismo spinti con forza dal vento della paura degli attentati e dal terrore per l’immigrazione.

Quando ci si chiede perché vince la brexit, persino a dispetto dei suoi sostenitori e con la complicità degli elettori del Labour, o perché Trump, come tanti altri populisti incassi il voto dei nuovi poveri, fra le molte risposte che ci possiamo dare dovremmo avere l’onestà di riconoscere che la sinistra non ha più nessuna identità da offrire a coloro che vivono al margine della società, e nessuna capacità di coesione per convincerli, e soprattutto che non ha più nessun principio di uguaglianza da far valere perchè ha accettato un assoluto principio di libertà, che è quella libertà dei pochi che uccide la democrazia, o quanto meno quel suo segmento che si chiama liberaldemocrazia.

Per la destra, sopratutto quella populista, è diverso, lei l’identità da offrire ce l’ha, è di facciata, vuota e senza contenuti, ma il “noi” contro il “loro”, per chi ha poco o niente da perdere è una formula potente, che crea coesione e identifica il nemico: “loro” sono di volta in volta gli immigrati, gli islamici, i politici, i comunisti, gli ebrei, i banchieri, i lavoratori più garantiti, gli intellettuali e in generale chiunque possa avere una condizione di maggior privilegio, fosse pure strameritato; è una destra da combattimento e non di governo, ma niente cementa e coinvolge di più della solidarietà nel cuore della battaglia politica, dimenticando che ci vuole un minimo di cultura per pensare al momento in cui taceranno le armi, e sopratutto dimenticando che a conclusione del populismo estremo ci sono sempre le guerre, quelle vere.

L’ultimo dei paradossi di questa crisi è che persino la destra ha perso un pezzo della sua identità, fagocitato dal populismo becero e semplificatorio della sua anima estremista, che riesce a fare quello che lei, la destra per bene, come si diceva una volta, non vorrebbe mai fare, travolgere ogni regola politica in nome del liberismo estremo, e lo fa col consenso di una parte cospicua di quegli elettori che una volta erano di sinistra: poiché questa è la crisi del liberalismo occidentale, bisognerà pur dire che il sistema che ieri creava identità e inclusione si è tradotto nel suo contrario, nell’individualismo estremo e nell’esclusione.

Torniamo alla domanda, c’è un futuro per il liberalismo occidentale? Credo che nessuno lo sappia con certezza, e io non ho certo più soluzioni di nessuno, però alcune cose mi sembrano abbastanza chiare.

L’eccesso di libertà si traduce nel liberismo economico e nell’estrema libertà dei pochi, che determina il privilegio e scardina qualunque principio di uguaglianza; l’eccesso di democrazia si traduce sempre più spesso nel dispotismo e nella negazione delle libertà fondamentali, annullando l’individuo, questo succede quando si è tutti uguali, e prefigurando lo stato etico, che è sempre e comunque una dittatura.

La crisi del liberalismo ad oggi si è tradotta a “destra” in un sistema di libertà non democratica, e a “sinistra” in un sistema di democrazia illiberale, ed entrambi mi sembrano toppe peggiori del buco.

Alla fine credo che la liberaldemocrazia sia ancora la soluzione migliore, con una destra e una sinistra che facciano il loro mestiere, rispettivamente accumulando e distribuendo la ricchezza; di qui a capire a quanto liberismo sfrenato, a quanto stato sociale incontrollato, a quanta ricchezza evanescente e irreale, e a quanti privilegi immorali dobbiamo rinunciare ce ne corre, ma le soluzioni che abbiamo trovato fino ad oggi mi sembrano tutte sbagliate, e gli effetti li stiamo già pagando.

 

Il liberalismo del terzo millennio

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4 comments

  1. M.Ludi 2 agosto, 2016 at 17:56

    Credo che tu abbia scelto uno degli argomenti più difficili sui quali discutere senza indulgere in banalità o enormi contraddizioni perché così come il concetto di libertà non può avere un valore assoluto (dovendosi rapportare al reciproco confronto degli individui che della libertà vogliono godere dovendo, però, rispettare quella altrui), così il liberismo economico (nato come legittima aspirazione delle classi borghesi a partire dal XVIII° secolo di affrancarsi dall’oppressione economica delle nobiltà del tempo), non può e non deve prevalere sul liberalismo che in se contiene altre legittime aspirazioni delle persone e, quindi, non solo la libertà economica. Il liberismo dovrebbe essere un mezzo per attuare il liberalismo e non il fine che, al contrario, soffoca ogni altra aspirazione umana; ma la politica degli anni ’80 e ’90, in tutto il mondo occidentale, ha fatto si che il potere economico prevalesse sulla politica gettando le basi per nuove e profonde disuguaglianze, non solo tra i diversi strati sociali all’interno di uno Stato, ma anche tra poveri di Stati diversi nella corsa al ribasso del prezzo dell’unico fattore produttivo che abbonda e che, quindi, può essere compresso se non viene posto un limite al degrado della dignità umana.

    • Kokab 5 agosto, 2016 at 22:22

      alla fine il problema che evidenzi ha una sua semplicità, dentro il contenitore del liberalismo ci può stare una quota di liberismo, dentro il contenitore del liberismo, inteso come regolatore principale della società, non ci sta il liberalismo. mai.
      difatti non è un caso che i cinesi non abbiano fatto nessuna fatica a diventare un paese essenzialmente liberista: hanno una forma di governo autoritaria, e sono partiti da condizioni medioevali.

  2. Remo Inzetta 30 luglio, 2016 at 09:11

    Non condivido quasi nulla di questo blog, Clinton e Blair non sono la sinistra appiattita sulla destra, ma sono la sinistra rinnovata e vincente di cui tutti gli estremisti negano l’esistenza.
    Sono quelli come loro che possono battere Trump e Orban, e non i Sanders o i Bersani.
    Non c’è stato un appiattimento della politica sul centro destra, ma un ammodernamento della sinistra e una involuzione autoritaria della destra, e sarà meglio metterselo bene in testa se la vogliamo batterla questa destra.

    • M.Ludi 30 luglio, 2016 at 17:22

      A parte il fatto inconfutabile che la deregulation in campo finanziario ha preso il via proprio quando Clinton e Blair sono arrivati al governo dei rispettivi Paesi, parlare di sinistra in entrambi i casi mi pare eccessivo.

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