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Londra, guida a sinistra

Non contenti di avere perso le elezioni in modo rovinoso solo pochi mesi fa, a causa di un leader e di una piattaforma politica ritenuta troppo di sinistra, almeno secondo i principali commentatori, i laburisti inglesi hanno ora scelto come nuovo capo del partito, con una squillante percentuale del 60% dei voti, Jeremy Corbyn, un attempato signore che non esita a definirsi socialista, ecologista, pacifista e favorevole alla rinazionalizzazione di una parte dei servizi pubblici.
Ciò a dispetto dell’intero stato maggiore del labour dell’era Blair, il quale assieme a Gordon Brown e Paul Mendelson ha sparato ad alzo zero contro Corbyn per tutta la campagna elettorale, paventando il sicuro declino del partito nel caso il rosso Jeremy avesse vinto, e suggerendo a chi votava col cuore di farsi immediatamente un trapianto.
Niente da fare, gli elettori del labour, che non hanno mai perdonato al loro leader più longevo e vincente le guerre di Bush e lo sbilanciamento a destra del partito gli hanno assestato un sonoro ceffone e hanno relegato ad un misero 4% dei voti la blairiana di ferro Liz Kendall; va da sé che se ne sono infischiati anche della maggioranza dei commentatori politici che richiamavano la necessità e l’obbligo di vincere al centro con un capo che stesse da quelle parti, scegliendo dopo il più sinistro dei fratelli Miliband, il leader più di sinistra degli ultimi 50 anni.

 

Impazzimento collettivo? Suicidio politico di massa? Vocazione minoritaria alla sconfitta e alla testimonianza?
E’ possibile, il vento di destra del liberismo domina l’occidente da oltre 30 anni, e ha certamente cambiato la struttura della società in modo consistente, oltre alla natura della sinistra, e forse è una pazzia affrontare David Cameron o Boris Johnson con un uomo che avrà in quel momento 70 anni e non disdegna bandiera rossa; tuttavia, sorvolando sulle peculiarità e su alcuni provincialismi del caso inglese, a me sembra che su questa vicenda ci possano essere alcuni interessanti spunti di riflessione, che prescindono dal problema del tutto teorico di una sinistra che fa la destra, rinunciando in parte alla sua funzione storica.

 

Jeremy Corbyn nel discorso della vittoria ha posto con forza i due temi politici principali del momento, in Inghilterra e in Europa, quello dell’accoglienza dei migranti e quello dell’austerità congiunta al rigore che ha determinato il progressivo impoverimento della classe media e lo sprofondamento nella povertà di quella che una volta era la classe operaia.

 

Il primo è un tema epocale, di portata planetaria, sul quale la destra razzista e xenofoba sta giocando la sua identità e il suo futuro, e sul quale la destra liberale troppo spesso indulge a posizioni di retroguardia; non inganni frau Merkel, che è rappresentativa solo di sé stessa e del paese di destra più socialdemocratico d’Europa, in realtà la destra per bene è ben rappresentata da Cameron, che sul tema dell’immigrazione guarda dalla parte sbagliata, mentre quella cattiva è rappresentata da Orban, Le Pen e Salvini, che sono la parte sbagliata.
Sul tema dei migranti, profughi o no, la sinistra non deve avere ambiguità, non solo per ragioni ideali, ma anche per mere ragioni pratiche, perché la politica dei muri è destinata ad essere travolta dalla pressione demografica, e bene ha fatto Corbyn a dirlo con chiarezza: la parte della sinistra è quella, senza se e senza ma, e vedremo fin dove potrà arrivare la destra.

 

Il secondo è un tema in gran parte europeo, perché il processo di redistribuzione del reddito in atto nel mondo riguarda in primo luogo noi, ma è un tema che mi pare si possa leggere in una chiave diversa da quella che ha prevalso negli ultimi 10/15 anni.
Il liberismo economico e la globalizzazione hanno determinato un arricchimento complessivo della società, come non si era mai visto, e contemporaneamente uno dei più forti squilibri della storia moderna nella distribuzione della ricchezza; l’impoverimento delle fasce inferiori della popolazione ha causato ad oggi due crisi drammatiche in Grecia e Spagna, dalle quali sono scaturiti i successi politici ed elettorali di Syriza e Podemos, e diversi altri paesi, noi e la Francia per primi, non se la passano tanto bene: cominciare a pensare che la ricetta che ci ha condotti fin qui possa essere messa in discussione, prima che produca altri e più grossi squilibri , non mi sembra né una cosa ideologica, né una cosa fuori dal mondo; del resto, visto che nel mondo e nella storia tutto cambia, se non è stato eterno lo stato sociale del ‘900, perché dovrebbe essere eterno il liberismo di Maggie? Non era neppure simpatica.Oggi, per la prima volta, non in Francia o in Italia, ma nella culla del mondo anglosassone, quello in cui è nato il new labour che ha fatto da modello alla modernizzazione della sinistra, che forse è diventata un po’ troppo moderna, si comincia a dire che l’austerità non può provocare la povertà, che a me pare un modo più semplice per dire che i costi del moderno stato sociale, da parametrare all’aumento e all’invecchiamento della popolazione, oltre che alla globalizzazione, non possono essere contabilizzati dopo i profitti del liberismo più sfrenato, ma devono essere contabilizzati prima, che è anche un altro modo per dire che la politica deve governare il denaro, e non viceversa.

 

Il rosso e buffo Corbyn, che gira senza cravatta e a volte in braghe corte non parte certo favorito, ma a me sta simpatico più di Tsipras ed Iglesias, e mi piace pensare che sia un buon segno il fatto che i giovani abbiano votato in massa per lui.

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5 comments

  1. Por Quemada 14 settembre, 2015 at 22:28

    A me sembra una follia, è come se in Italia le primarie per la segreteria del PD le vincesse Fassina contro Renzi, e poi il PD pretendesse di vincere le elezioni.
    Ci si stupisce che i media sfottano Corbyn? E cosa dovrebbero fare, un uomo fuori dalla storia che continua ad immaginare lo stato sociale, l’immigrazione incontrollate e fra un po’ il socialismo in un solo paese, in Europa queste ricette non funzionano più, e i conservatori hanno ragione a festeggiare, si mangeranno i laburisti in un sol boccone.
    Aggiungo che immaginare somiglianze tra Corbyn e Tsipras o Iglesias è completamente fuori luogo, l’Inghilterra non è un paese sottosviluppato come la Grecia, o in crisi pesante come la Spagna, ma è uno dei paesi più ricchi del mondo, ma sembra che qui la sinistra, dopo aver imparato la lezione, si sia bevuta il cervello.
    La vocazione alla sconfitta è proprio nel DNA, è un’ideologia che ha fatto il suo tempo, e non parla più alla gente, non ha futuro.

    • Bondi James Bondi 15 settembre, 2015 at 07:27

      Sarà un perdente, ma merita rispetto. Una persona con degli ideali di solito ha un progetto, e per il bene di una comunità è meglio che si confrontino progetti chiari e diversi. Da noi c’è qualcuno che abbia uno straccio di progetto, un minimo di direzione da dare alle sue scelte? Anche i tuoi amici della setta si fermano all’aprire scatolette di tonno.

  2. Gennaro Olivieri 14 settembre, 2015 at 20:40

    Si può facilmente constatare come tutta la stampa europea sia unanime nel delineare il ritratto dell’eccentrico Corbyn: antieuropeista, repubblicano, socialista o forse addirittura comunista, propugnatore della nazionalizzazione di poste e ferrovie, sostenitore della causa palestinese e troppo amico dell’IRA. Per giunta è vegetariano e praticamente astemio, la quale ultima cosa in Gran Bretagna potrebbe non pagare elettoralmente. Per completare il quadro, Corbyn ha quell’aspetto terribilmente anziano e quasi macilento, che contribuisce a farlo sembrare un disadattato in un mondo in cui l’immagine di un uomo pubblico deve essere obbligatorialmente giovanile e vigorosa. Insomma, un sognatore estremista fragile e innocuo, sotto la cui guida il Partito Laburista rischierebbe addirittura l’estinzione.
    I commentatori italiani paragonano la scelta di Corbyn da parte della base labour, al successo di cui oggi godono da noi Grillo e Salvini. Una generazione (pare che soprattutto i giovani abbiano scelto il vecchio Corbyn) che odia la politica e teme per il suo futuro: una vittoria delle spinte populiste e irrazionali che vogliono spingere il Regno Unito a rinchiudersi nel suo isolamento, rifiutando il confronto con l’Europa messa sotto scacco da una crisi economica, sociale, umanitaria.
    Gli autorevoli sberleffi che coprono Corbyn e i nefasti presagi sulla sorte del Labour che vengono dai moderati e dagli “statisti” (in primis Tony Blair) dimostrano che le classi dirigenti, vecchie e nuove, dei partiti progressisti europei, hanno ormai preso a considerare “populismo” quasiasi istanza e qualsiasi posizione che stia appena alla loro sinistra. Forse è ora invece di ammettere che un trentennio di rincorsa al centro ha avuto come solo risultato qualche sporadica e temporanea vittoria elettorale, ma senza alcuna conseguenza sul progresso sociale e senza più possibilità di redistribuzione di reddito e di opportunità. E non è una soluzione, il semplice chiamare “populismo” la disaffezione delle classi subalterne per un laburismo che non ha ottenuto risultati.

  3. Berto Al 14 settembre, 2015 at 19:17

    Essere dichiaratamente comunista in uno dei Paesi più liberisti del mondo non è certo una passeggiata e la sua rettitudine nel rappresentare coerentemente gli ideali di una vita a dispetto di una cultura imperante del tutto ostile gli fa onore. Quanto il voto giovanile possa determinarne le sorti immediate non è dato sapere e si, fa simpatia ma no, non credo che abbia opportunità di vincere; attivare il dibattito su certe tematiche, sarà già un successo.

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