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Macron ha vinto, viva Macron

 

 

Adesso che Macron ha vinto, e che i francesi hanno evitato per la seconda volta in 15 anni la vergogna e il ridicolo di essere governati da un componente della famiglia Le Pen, credo che sia giusto non soffermarsi troppo a festeggiare lo scampato pericolo, ma all’opposto mi pare indispensabile fermarsi un po’, sicuramente un po’ più a lungo, a riflettere sui rischi del domani, che sono poi gli stessi di ieri.

Anche sorvolando sul consolidamento ormai strutturale dell’estrema destra, che riflette analoghe dinamiche già viste in altri paesi occidentali, e con disastrosi effetti, non possiamo a mio parere ignorare, almeno per chiederci il perché, i due dati fondamentali di questo confronto elettorale, che sono da una parte la polverizzazione dei partiti tradizionali e dei precedenti confini fra la destra repubblicana e la sinistra riformista, e dall’altra l’astensione al ballottaggio di una parte molto consistente della sinistra tradizionale, che in Francia aveva ottenuto con Mélenchon un risultato per molti versi clamoroso.

Io credo che la risposta ad entrambe le questioni stia in un unico fatto, nella natura iperliberista del capitalismo occidentale, che ha svuotato di significato la politica, ormai incapace di incidere in modo significativo sulle scelte economiche e sulla distribuzione del reddito, condannando i poveri ad essere sempre più poveri, e soprattutto i paesi in crisi ad avvitarsi sempre di più nella loro crisi.

Naturalmente questo è il nostro punto di vista, e come tutti i punti di vista è molto relativo: sicuramente dai paesi emergenti dell’Asia o dell’Africa la prospettiva sarà diversa, ma noi occidentali non votiamo a Seul, a Pretoria o a New Delhi, e tanto meno in una monarchia del Golfo Persico, dove peraltro non si vota, ma votiamo prevalentemente in Europa, considerando le politiche dell’Unione e i loro effetti sulla nostra vita, che ormai sono percepiti come un peso insopportabile, con qualche fondato motivo, da un numero sempre più alto di cittadini.

Qui sta la radice dei populismi che stanno divorando l’occidente, qui le destre estreme pescano i loro voti, nei periodi di crisi la semplificazione paga sempre, mentre le destre liberali perdono ruolo e identità, divorate ai fianchi dai diversi radicalismi, e sempre qui le sinistre smarriscono il loro consenso e la loro visione del mondo, tanto la sinistra riformista, sempre meno politica e sempre più tecnocratica, quanto quella radicale, sempre più incapace di passare dalla protesta alla proposta, condannandosi con ciò all’irrilevanza.

Certo, Macron si è rivelato un candidato vincente, ed astuta è stata l’operazione che ha creato la sua candidatura, “né di destra, né di sinistra”, come se fosse una cosa possibile, invece che una straordinaria sciocchezza, ma non ha vinto con la facilità di Chirac nel 2002, e se anche Mélenchon ha avuto torto a non votarlo, perché Le Pen è certamente peggio del nuovo Presidente, come i fascisti erano peggio di qualunque altra cosa negli anni ’20 e ’30, ha tuttavia ragione nel dire che le vele del populismo sono gonfiate da quell’Europa tecnocratica a matrice tedesca, e da quel capitalismo liberista ormai fuori controllo, che uomini come Macron, uomo ombra dello screditato Hollande, incarnano e rappresentano, sospesi fra la necessità logica dell’Europa, e l’impossibilità materiale della sua realizzazione, nel mondo ormai globalizzato che sposta uomini e denaro, in qualunque quantità, ad una velocità mai vista prima.

Macron ha vinto, e penso sia stato un bene, perché precipitare nel cupio dissolvi che porta poi alla catarsi ha sempre dei costi che si misurano col sangue, ha vinto prendendosi il centro della scena, svuotando il Partito Socialista e saccheggiando l’elettorato Gollista al primo turno, per poi incassare il saldo al secondo, ma se è intelligente come il suo cursus honorum sembra suggerire, deve sapere che Mélenchon ha una parte di ragione, almeno nell’analisi, e che non possono pensare di resistere all’infinito, lui e l’Europa che rappresenta, all’assalto dei barbari, senza farsi carico di quel pezzo di società e di idee che sono incarnate dalla sinistra.

Se l’Europa tecnocratica non riesce a diventare un’Europa riformista, se non riesce ad affrontare nei fatti, e non solo a parole, la vulgata populista, se non riesce a creare uno sviluppo che in qualche modo si coniughi all’equità, ci sarà prima o poi una prossima volta che porterà una Le Pen qualunque al potere, è già successo altrove, non deve essere una sorpresa se succederà ancora.

La prossima volta, se nulla cambierà, sarà ancora più difficile, i populisti corrono il rischio di fallire solo quando arrivano al potere, ma finche si crogiolano al sole dell’opposizione si irrobustiscono come atleti pieni di steroidi, e chi non lo capisce, come fino ad oggi non l’ha capito l’Europa e chi la governa, finisce col nutrire la propria nemesi.

C’è però un altro aspetto che conviene non sottovalutare: nella partita diseguale fra politica ed economia, nella quale il potere reale è diverso dal potere formale, un’Europa sovranista, nazionalista e populista, un’Europa disarticolata e impoverita, resa strategicamente periferica e culturalmente marginale, potrebbe non essere per molti una brutta notizia; per quanto stanca, usurata e bistrattata, l’Europa rappresenta ancora, nel bene e nel male, il cuore pulsante della democrazia, dei principi liberali e dello stato di diritto, mentre fuori dai suoi confini queste regole valgono sempre meno, e in molti luoghi non sono neppure mai esistite.

Oggi Macron ha potuto contare su un vasto sostegno dell’opinione pubblica internazionale, su una quota ancora consistente di borghesia benestante, e sulla paura del lupo, perché anche questo è ancora per molti, e molto giustamente, Marine Le Pen, ma se il nuovo Presidente e la sua futura maggioranza parlamentare, quale che sia, e oggi non è affatto chiaro, non capiscono che anche da una posizione di oggettiva debolezza sullo scacchiere internazionale, per la quale la loro Europa ha molte responsabilità, devono fare una politica diversa e più aggressiva nei confronti del potere sempre più irresponsabili del denaro, se non capiscono che devono essere i cani da guardia dell’Europa, e non i cani da pagliaio, finiranno col diventare le pecore.

Perché da Pechino, da Mosca, da qualche altro luogo in cui esiste un vero e strutturato potere, forse persino da Londra, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che in fondo il lupo non è così brutto, e l’elettorato volatile e impaurito che ormai caratterizza l’occidente li potrebbe facilmente seguire: in fondo anche questo è già successo.

 

Macron ha vinto, viva Macron

Macron

 

 

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