la società

La madre è il potere, la puttana è la potenza

 

 

 

SOK 005-01-110

 

La pietra nello stagno

 

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All’interno dei rapporti erotico-sentimentali, sono in molti a confondere il ruolo della madre con quello della partner sessuale. Da parte di alcuni, infatti, si suppone che l’origine del desiderio si racchiuda nel grande archetipo dell’utero di una grande madre da sempre e per sempre inseguito dal desiderio del maschio.

Non è così: in realtà, gli uomini nelle donne cercano la madre ma desiderano la puttana! L’investimento emotivo dell’uomo nei confronti della madre si trova di fronte l’interdetto dell’incesto ed è da questo inibito: con la puttana ciò evidentemente non avviene… Va precisato, tuttavia, onde evitare equivoci, che la figura della puttana può essere magnificamente incarnata dalla moglie o dalla fidanzata e non è necessariamente identificabile con una donna che vende sesso. Va puntualizzato, altresì, che qui si intende per puttana, lungi da qualsiasi accezione moralisticamente colpevolizzante, colei che desidera il piacere per nessun’altra ragione che non sia il mero godimento, al di là ed oltre (e prima) le componenti emozionali non meramente sessuali. La madre inibisce perché è potere sulla vita. La puttana è desiderata perché è il potere della vita; il potere della madre inibisce poiché è potere in atto. Il desiderio della puttana invece eccita perché è mera potenza, ossia possibilità vuota di senso e libera da condizionamenti di pensiero.

Le inibizioni, dunque, bloccano le fantasie incestuose nei confronti della donna/madre e le trasformano in senso di colpa (che cosa, se non il senso di colpa, permette al potere di essere se stesso?), interdicendole, ossia cancellandole in quanto desiderio.
Si potrebbero, tuttavia, evocare le fantasie inconsapevoli che, in quanto tali, sarebbero libere dal controllo. No, è evidente che queste tutto possono essere meno che desiderio indirizzato verso una precisa meta libidica.

Il desiderio per la puttana è desiderio di incontrare colei che detiene la sovranità assoluta sulla vita in quanto nascita. Nulla al mondo è eguagliabile a tale potere, dal punto di vista della forza e dell’intensità. L’unica maniera di incontrare quel potere, però, senza essere vinti dall’inibizione improduttiva, consiste nel detronizzarlo in quanto potere femminile indirizzandolo verso l’altro da sé, e cioè rendendolo in-potente.

È a causa di tutto ciò che il maschio, diversamente da ciò che avviene con la madre, alla puttana non chiede affatto un utero entro cui rifugiarsi, né seni da suggere, bensì una vagina da penetrare. Dal punto di vista meramente sessuale, in definitiva, l’uomo preferisce e preferirà sempre Circe a Penelope.

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Eppure, Penelope rimane. Nessun uomo potrà mai dirsi immune dalla seduzione operata dal simbolo di una donna/utero che offra le garanzie della nascita biologica e, in quanto tale, capace di riportare all’interno della libido maschile l’idea archetipica di un luogo originario protetto e privo di conflitti. In questo senso, Penelope può ben identificarsi come colei che difende lo spazio della casa – con la sua stabilità fisica e metafisica –, costituendo così l’asilo capace di porsi come ultimo rifugio dai marosi della vita. Ecco, dunque, grazie al simbolo di Penelope, perfettamente realizzata la figura della madre. La madre della vita uterina. La madre che dà, nello stesso tempo, nutrimento e vita senza che la vita stessa sia sospesa sul ciglio doloroso della coscienza. Questa donna, che è madre nella sua infinita capacità di accoglienza, rappresenta così l’altro lato della vita individualizzata: essa costituisce la notte aorgica nella quale l’indistinto ignora la propria identità e la vita è soltanto un eterno pulsare cosmico.

Effettivamente, un obiettivo pulsionale di questo tipo somiglia tanto ad un desiderio di morte, poiché in nessun altro modo si può intendere una vita libera dal conflitto che la caratterizza essenzialmente. Essa è morte poiché la vita è imprevedibilità e conflitto nella sua essenza. Proprio per questo, come abbiamo visto, gli uomini pur desiderando la madre, identificano la forza pulsionale erotica più grande, non tanto nell’utero, quanto nella vagina. Essi, cioè, sono ben consapevoli che l’”utero di Penelope”, la grande tessitrice (l’idea della tessitura costituisce una delle immagini del potere di ogni tempo), colei che detiene il potere assoluto sulla casa, non attraverso l’uso della forza, ma con le arti sottili e irresistibili della propria femminilità, colei che inganna e combatte i proci senza mai utilizzare energia materiale, dispone di un potere tale da inglobare qualsiasi resistenza dentro di sé, metabolizzandola. Il suo potere è immenso tanto quanto la sua promessa: la deresponsabilizzazione rispetto a se stessi in un ricongiungimento ad una vita prenatale libera dalla tensione drammatica della coscienza. Non riusciranno mai, gli uomini, a sottrarsi a questo richiamo metafisico. Soltanto in maniera apparente e provvisoria essi potranno rinunciare a questa pulsione antica  e sempre nuova.
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In contraltare metafisico necessario rispetto all’investimento pulsionale nell’utero, e qui ritorniamo al punto di partenza, si pone giustappunto l’immagine della vagina. E qui ritorna prepotente il mito di Circe e della sua magia. La sessualità orientata verso la vagina esplode, infatti, in tutta la sua sconvolgente intensità, in maniera tale che il pittore Cournot, a buon diritto, poteva ben identificarla con “L’origine del mondo”. Di fronte al potere da tessitrice/manipolatrice di Penelope, dunque, si pone un’altra forma di potere, quello costituito dall’attrazione estrema della vagina.

Ed è esattamente questa pulsione che si attiva quando si risveglia il desiderio del corpo di una donna: è evidente che, come il potere esercitato dal richiamo dell’utero, anche quello emanato dalla vagina presenta un forte contatto con dimensioni di morte. Gli uomini sbarcano sull’isola di Circe inconsapevoli di penetrare all’interno di un pericolo mortale. Del resto, non è affatto un caso che il significato etimologico del nome della maga sia incerto: anche l’incertezza si pone come una privazione di qualsiasi ancoraggio ad una forma identitaria. Se etimologia c’è, essa va ricondotta all’idea del cerchio – ciò che costituisce appunto un vortice emozionale, un ciclone in grado di inglobarti all’interno di sé fino alla completa e perfetta dissoluzione. E d’altra parte, che cos’è se non la morte ciò che taglia il respiro quando, davanti allo sguardo dell’uomo, emerge l'”oscuro oggetto del desiderio”. Nella vagina, gli uomini cercano appunto una cavità da occupare: in essa, la sessualità maschile invoca quel vuoto assoluto (senza alcuna ironia) che non è altro che un’emozione di  morte!
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Gli uomini dunque, all’interno di questo orizzonte, si trovano confitti fra due opposte e complementari forme di potere: il potere governamentale di Penelope e quello sovrano, “potenziale”, vuoto di identità e di scopi, direi perfino sabatico, esercitato da Circe.

È chiaro che gli uomini medesimi, dal loro canto, lungi dall’essere degli oggetti meramente passivi del potere femminile, costituiscono essi stessi la polarità opposta e complementare di quest’ultimo: tutto ciò che è umano e che è vivo non può essere, infatti, che potere. Analizzare lo specifico del potere maschile non è obiettivo di questo saggio.

In conclusione, però, posso soltanto sottolineare con forza che trovare un equilibrio fra le forme di potere esercitate dalle donne sugli uomini (Penelope e Circe) e fra il potere delle donne e quello degli uomini costituisce l’unica maniera davvero umana di vivere degnamente gli anni che siamo destinati a consumare su questa terra.

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N.d.R. Questo scritto era precedentemente apparso su interferenza.info

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