le muse

Malattie e creatività. Dalle emicranie di De Chirico alla sinestesia di Kandinskij

 

di Luca Francesco Ticini *

 

 

“Non esiste alcun ingegno, se non mescolato alla pazzia”

(Francesco Petrarca)

 

Di che cosa abbiamo bisogno per produrre, secondo le nostre capacità, un’opera artistica o scientifica d’alto valore estetico e di forte impatto? Supponendo che ognuno di noi possegga moltissime potenzialità, penso che, in generale, la ricetta per predisporci alla fase creativa sia quella di acuire la nostra sensibilità. Coinvolgendo tutti i nostri sensi e le emozioni in un ensemble percettivo, è possibile derivarne l’ispirazione che c’immerge nei turbinosi flussi della produttività. La moderna tecnologia ci aiuta in questa direzione: oggi più di ieri, un artista può dipingere o scolpire mentre ascolta della buona musica, che può fungere da musa ispiratrice. Udito, tatto e vista si fondono così in una percezione complessiva.

 

Il concepimento e la creazione di un lavoro artistico dipendono, ad ogni modo, da moltissimi fattori: si pensi, per esempio, alla predisposizione individuale verso l’arte, la situazione socio-culturale e, non ultimi, i fattori genetici e le possibili anomalie patologiche. Proprio l’influenza delle malattie sull’arte è un argomento affrontato spesso da diversi studiosi. Gli artisti, infatti, traducono nelle loro opere le proprie esperienze sensoriali ed emotive, eventualmente ingigantite dall’ipersensibilità e dal dolore della propria condizione patologica. Le tecniche moderne hanno dimostrato che individui diversi percepiscono il dolore in maniera differente; di conseguenza, le espressioni stilistiche che ne possono derivare sono molto varie. Con ciò, tuttavia, non si vuol sostenere che la malattia sia indice di creatività artistica, ma che quest’ultima, in alcune persone già dotate dalla Natura, possa essere influenzata in modo decisivo da alcune patologie.

 

Secondo una ricerca (raccolta nel volume di Ubaldo Nicola e Klaus Podoll “L’aura di Giorgio de Chirico”, Mimesis editore), Giorgio de Chirico era ammalato di aura emicranica. A causa di questa malattia aveva allucinazioni che vedeva proiettate sulle superfici di oggetti reali. De Chirico è stato però uno dei pochi malati di aura emicranica capace di usare e di rielaborare il dolore. Infatti, non è detto che in ogni persona con problemi si nasconda un genio.

Alcuni artisti si trovano ad avere una percezione estetica ed una creatività influenzata da danni al cervello. L’artista che ha disegnato la frutta – nella figura qui sotto – è diventato incapace di vedere il colore a seguito di un trauma. Egli è perfettamente capace di ritrarre le forme degli oggetti, ma non di riprodurne i colori. La conseguenza del danno cerebrale che ha subito è una visione del mondo in tonalità di grigio, cosicché la sua creatività cromatica è severamente danneggiata: le conseguenze estetiche sono evidenti dal suo disegno. La medesima situazione si può avere con artisti che non riconoscono più i volti o non vedono più il movimento. In conclusione, ogni mutamento che il cervello subisce determina conseguenze nella percezione e influenza tutte le nostre attività. Non bisogna meravigliarsi, quindi, che la cataratta possa avere influenzato le opere di Monet, la sordità quelle di Beethoven, la follia quelle di Van Gogh, che dipinse il suo capolavoro “Autoritratto con l’orecchio tagliato” nel manicomio di Saint-Rémy.

 

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        Disegni di un paziente divenuto acromatopsico in seguito ad un danno cerebrale.
           Un insolito tipo di daltonismo che avviene nella mente, non nell'occhio.
              Il paziente era un artista, e disegni sono stati fatti a memoria.
         I disegni rappresentano (in senso orario): una banana, un pomodoro, un melone
          e delle foglie. È interessante notare che questo è analogo alle pitture
                             di Picasso basate sulla luminanza.

 

 

Sinestesia

I profumi, i colori e i suoni si rispondono come echi

Charles Baudelaire, “Corrispondenze”, da “I fiori del male

Fin dalla tenera età, impariamo a distinguere i colori caldi da quelli freddi. Ma quando vediamo un colore percepiamo realmente caldo o freddo? Per la maggior parte degli uomini, non è così. Normalmente, per mezzo di associazioni, siamo in grado di richiamare alla memoria le esperienze di caldo e freddo, senza tuttavia percepirle realmente. Infatti, le informazioni dei diversi sensi rimangono separate. Vi sono però delle persone, fra le quali alcuni artisti, che soffrono di una condizione chiamata “sinestesia” (dal greco “percezione assieme”). Per loro le percezioni provenienti da due o più sensi si mescolano invece di rimanere distinte: è il caso di Mozart, che vedeva il colore delle note, assieme al loro suono. Kandinskij sentì il bisogno, per mezzo dei suoi dipinti, di insegnarci ad ascoltare la forma per avere “la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi”, in un’esplorazione completa che vuole tradurre i colori e le forme in rappresentazione musicale.

La sinestesia è una patologia ereditaria che permette di fare esperienza del mondo in modo straordinario, forse addirittura esteticamente più avvincente. Senza dubbio, se ben sfruttata, la sinestesia può influenzare la creatività di un artista, perché agli oggetti realmente presenti nell’ambiente si sovrappone la percezione viva di colori, suoni o gusti. Vedere i colori di una sinfonia, o sentire il gusto di una forma accresce sicuramente il valore estetico di un’opera. Le percezioni del sinesteta sono il risultato di un incrocio particolare fra le fibre nervose nel cervello che dipende forse dalla prossimità fra alcuni centri nervosi. La vicinanza del centro dell’udito con alcune aree coinvolte nella percezione del colore, per esempio, potrebbe spiegare la sinestesia suono-colore.

 

Immaginazione e allucinazioni

Il cervello ci permette di richiamare alla memoria le immagini di situazioni vissute e di associarle liberamente, con la notevole possibilità di creare nuove combinazioni. Questa facoltà della mente, che noi chiamiamo immaginazione, non richiede che i sensi registrino realmente la presenza di oggetti o di suoni. Per questo, almeno fin dai tempi di Platone, l’immaginazione ha affascinato l’uomo per la sua soggettività e misteriosità. Esistono alcune patologie che, causando allucinazioni spontanee, pongono l’individuo in una dimensione intermedia fra immaginazione e realtà. Durante l’allucinazione, come nel caso di de Chirico, il cervello si attiva in modo imprevedibile generando percezioni che posseggono la qualità nitida della visione normale e sono localizzate nello spazio esterno piuttosto che all’interno della testa (come avviene invece nel caso dell’immaginazione). Di solito quando guardiamo un volto, si attiva l’area del cervello che elabora i volti e che ci permette di prenderne coscienza. Se, durante un’allucinazione, quest’area si attiva autonomamente, si genera in ogni modo un’esperienza sensoriale, cosicché si ha la percezione di un volto anche quando esso non è presente davanti ai nostri occhi. Questo tipo di situazione può evidentemente influenzare l’artista nel ritrarre ciò che la mente gli fa vedere, poiché per l’artista si tratta di un’esperienza reale e incontrollabile.

 

* L’autore, Luca Francesco Ticini, è stato vicepresidente fondatore del Comitato per la promozione delle neuroscienze di Trieste, membro dell’Institute of Neuroesthetics di Londra e Berkeley e della Società italiana di neuroscienze.

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1 comment

  1. Berto Al 24 ottobre, 2015 at 18:37

    Articolo molto interessante che dimostra quanto l’affinamento di certe caratteristiche sensoriali derivi comunque da altre carenze che inducono l’artista a iper-specializzare i sensi attivi quasi a colmare una lacuna; sicuramente ci da una chiave di lettura di opere spesso difficili da capire.

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