la società

“No non è abbastanza” di Naomi Klein – recensione

 

No non è abbastanza NaomiKlein

Il nuovo saggio di Klein sulla “politica degli shock” è un avvertimento sull’enorme potenziale tossico della presidenza di Trump ed una chiamata ad opporvisi. Il rifiuto deve trasformarsi in resistenza.

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di Hari Kunzru
(Traduzione Redazione Modus)

 

Ultimamente il ritmo delle notizie è sembrato così veloce, e il suo volume così schiacciante, che l’idea stessa di un libro-saggio politico sembra pittoresca, una reliquia di quel tempo più dolce e più spensierato che precede il momento in cui tutti siamo stati inchiodati al pavimento dal getto proveniente dalla manichetta antincendio dei social.
Naomi Klein ha scritto, avvicinandosi alla velocità di internet, No Is Not Enough (No non è abbastanza, ed. Feltrinelli, nov. 2017), contemporaneamente un avvertimento sull’enorme potenziale tossico della presidenza di Donald Trump, ed una chiamata ad opporvisi. Come suggerisce il titolo, Klein vuole che i suoi lettori si spostino dal rifiuto alla resistenza, da una posizione di opposizione passiva all’impegno in un programma d’azione. Se le convulsioni dell’ultimo anno ci hanno insegnato qualcosa, è che non possiamo aspettare che la polvere si assesti e che la chiarezza emerga. La turbolenza è, almeno per il prossimo futuro, la nostra nuova condizione di vita, e dobbiamo imparare a muoverci al suo interno. Dobbiamo imparare a stare in piedi su un ponte in movimento.

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Klein è emersa come una stella dei movimenti sociali degli anni novanta che cercavano di mettere a fuoco una politica di opposizione alla globalizzazione capitalista. Il valore dello scambio è l’unico tipo di valore? E che dire delle politiche che andavano a riorganizzare gli schieramenti ambientali, sociali e culturali, in alcuni casi danneggiati o distrutti dalla logica del mercato? Il libro No-Logo di Klein, letto da molti nel 2000, ha confezionato e sintetizzato idee che stavano circolando nei circoli anticapitalistici durante il decennio precedente, aiutando un pubblico generalizzato a comprendere i cambiamenti avvenuti nelle aziende che avevano iniziato ad esternalizzare molte delle loro funzioni e a definirsi principalmente come “marchi” (brands), distributori di proprietà intellettuale che non avevano bisogno, per esempio, di gestire la propria produzione o distribuzione. In No non è abbastanza, la descrive così, “una corsa verso l’assenza di gravità; chi era più leggero, chi possedeva il minimo, chi aveva il minor numero di dipendenti sui libri paga e produceva le immagini più potenti invece che produrre cose, aveva vinto la gara “.

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Klein sottolinea che l’attività di Trump ha seguito quella traiettoria. In qualità di imprenditore di proprietà immobiliari, il futuro presidente era (secondo gli standard di Manhattan) solo moderatamente riuscito ad aver successo, la sua distinzione primaria era un’avidità particolare nel veder se stesso nei media. La sua innovazione, aiutata dalla sua posizione di conduttore del reality The Apprentice, è stata quella di firmare, con il suo marchio, immobili di fascia alta – non solo alberghi e resort, ma torri d’uffici, edifici e campi da golf. Klein svela i valori del marchio “Trump”, rilevando che non rappresenta la qualità o l’innovazione o il gusto, ma la “ricchezza” in sé stessa, associando il consumatore alla ricchezza nella sua forma più diretta e non declinata.

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Nel mondoTrump esistono solo due categorie esistenziali: vincitori e perdenti. Trump rappresenta il vincere, e se ti poni in contrasto, sei un perdente. L’appoggio da parte del suo pubblico è curiosamente immune da scandali e cafonaggini comportamentali che avrebbero affondato altri politici, un fatto curioso che Klein attribuisce alla migrazione del marchio nella politica. Trump ha dimostrato che “non è necessario essere oggettivamente buoni o decenti; devi solo essere vero e coerente con il brand che hai creato“. Il marchio di Trump è che lui è il capo, il boss, e parte integrante dell’essere il capo è che le regole a lui non si applicano. Una strategia per opporglisi è attaccare il marchio. È per questo che, ad esempio, il confine insuperabile per gli intervistatori è sempre stato insinuare il dubbio che la sua fortuna monetaria non sia tanto grande quanto lui afferma.

 

 

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  "La reazione inconsapevole di Trump all'11 settembre è stata di vederlo
              come un'opportunità di marketing ..."    foto: P.Turner

 

La parte più consistente dell’analisi di Klein nasce dall’esperienza personale. I movimenti sociali stavano guadagnando trazione al momento in cui ci fu l’11 settembre. “L’era della cosiddetta Guerra al Terrore ha spazzato via il nostro movimento dalla carta geografica, sia in Nord America che in Europa“, scrive. Intimiditi (o sedotti) dalla retorica dello “scontro delle civiltà” e dal più opprimente limite alla libertà per ragioni di sicurezza, molti partecipanti ritirarono il loro sostegno. “L’antiglobalizzazione sa di vecchio, così démodée“, strillava un titolo nel National Post canadese, pochi giorni dopo gli attacchi. Lo shock dell’11 settembre è stato sfruttato da vari attori per inaugurare una “bolla di sicurezza” in cui sono stati estesi i poteri delle forze dell’ordine, mentre ingenti risorse sono state deviate da altri usi per combattere la guerra al terrorismo. In La dottrina dello shock (2007), Klein ha sostenuto che esiste un manuale per sfruttare gli eventi shock come il 9/11 e la guerra in Iraq. In No non è abbastanza afferma: “Aspetta una crisi (o addirittura, in alcuni casi, come in Cile o in Russia, aiuta a fomentarne una), dichiara che siamo in una situazione “politica straordinaria”, sospendi alcune norme democratiche, o anche tutte – e poi fai approvare il più rapidamente possibile l’elenco dei desiderata delle aziende“.

 

Questa lista dei desideri può includere il sequestro di terre e risorse, una maggiore spesa militare, la privatizzazione dei beni pubblici e la deregolamentazione economica. La “dottrina dello shock” non richiede che le macchine di cospirazione funzionino. Si tratta di una collezione di tecniche politiche e di impulsi, il lato oscuro dell’idea di “distruzione creativa” dell’economista austriaco Joseph Schumpeter, e di quell’idea di “muoversi velocemente e rompere le cose” che viene dalla Silicon Valley. Il risultato è “la decimazione della sfera pubblica e dell’interesse pubblico“, e la tendenza a spostare la ricchezza rapidamente verso l’alto in mano ad una minuscola minoranza.

 

Klein osserva che il gabinetto di governo di Trump è ricco di “maestri del disastro”, uomini la cui carriera è stata basata sullo sfruttamento dello shock. La Exxon, del Segretario di Stato Rex Tillerson, ha guadagnato profumatamente dal picco del prezzo del petrolio dopo l’invasione dell’Iraq del 2003, e ha fatto più o meno tutto quanto in suo potere per assicurare la generalizzata inazione globale sul cambiamento climatico. Il Segretario del Tesoro Steven Mnuchin è conosciuto come “il re del pignoramento”. Il vicepresidente Mike Pence ha svolto un ruolo particolarmente ignobile in seguito all’uragano Katrina quando, come presidente di un gruppo di legislatori conservatori soprannominato il Comitato di Studio Repubblicano, ha promosso una lista di ciò che Klein definisce “le politiche di pseudo-soccorso”,  e cioè “Rendere l’intera zona colpita una zona franca a tasso zero” e (in modo sconcertante) abrogare le normative ambientali lungo la costa del Golfo del Messico, determinando con ciò la riduzione dei normali standard di lavoro e di assistenza e sicurezza sociale.

 

La reazione inconsapevole di Trump all’11 settembre è stata di vederlo come un’opportunità di marketing, addirittura vantando con un giornalista che ora aveva l’edificio più alto di Manhattan. Intenzionalmente o no, si è dimostrato abile a creare instabilità, anche nel suo nuovo ruolo di Presidente, e la paura, come sottolinea Klein, è che sarà tentato di consegnarci la prossima scossa nella forma di un’altra guerra. A quel punto, forse, sarà in grado di testare la sua opinione sull’Iraq, espressa ben prima di essere candidato, che l’America “avrebbe dovuto prendersi il petrolio“. Vai in guerra, prendi il petrolio. E questa la considera una politica estera!

 

 

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     "La Exxon di Rex Tillerson ha guadagnato profumatamente dal picco
       del prezzo del petrolio dopo l'invasione dell'Iraq del 2003..."

 

Se trascorri le tue giornate incollato al tuo telefono e hai sul tuo browser 30 schede aperte di politica, gran parte del materiale in No non è abbastanza ti sarà familiare. Il valore principale del libro risiede nella sintesi. I trascorsi e le competenze particolari di Klein le consentono di mettere insieme i fili disparati della “politica” di Trump senza cadere in forme ingiustificate di sistemicità, che non esistono, e di controllo, che in realtà non viene esercitato. Interpreterete le sue proposte politiche in base al valore che attribuite a quella che è stata chiamata “la sinistra movimentista”. A mio avviso la Klein insiste nel promuovere una visione sociale alternativa e positiva, nella quale obiettivi apparentemente “utopici” sono un modo per evitare di essere catturati in una politica che è solo reattiva o timidamente riformista. La Klein, che si affaccia poco sul terreno della politica legislativa, ritiene che una versione leggermente verde-slavato dello status quo non ci salverà mai dalle conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico. Ha pochi consigli pratici per le persone impegnate nel lobbismo dei piccoli passi – che mira a cambiar rotta a quella petroliera che è il Congresso degli Stati Uniti: non promuove obiettivi o tattiche particolari per gli organizzatori. Il libro termina con un documento chiamato The Leap Manifesto (Il Manifesto del Salto), elaborato nel 2015 da attivisti canadesi, un “programma senza partito” che è una potente dichiarazione di principi alternativi a cui sembra mancare un filo conduttore per collegarlo alle lotte difensive di oggi.

 

Tralasciando la spinosa questione della sovversione elettorale, è indicativo che la Russia fornisca un possibile modello per l’amministrazione Trump. I suoi governanti sono uomini che hanno approfittato del cataclisma della fine del comunismo, raccogliendo fortune nei violenti e turbolenti anni ’90. L’ordine che hanno imposto ha provocato la quasi totale distruzione della politica come attività pubblica. Questa non è una condizione facilmente reversibile e la sua diffusione negli Stati Uniti sarebbe una catastrofe. La Corte Suprema, nella sua saggezza, ha deciso che le corporazioni sono persone, che il denaro è parola, e la libertà di parola non può essere limitata. In un contesto in cui la quantità di denaro in politica è davvero sorprendente, l’unica garanzia riservata al pubblico è la trasparenza rigorosa. Se il controllo pubblico finisce, Trump e i suoi “maestri del disastro” potrebbero anche essere in grado di porre fine alla capacità della gente comune di plasmare le forze che regolano la loro vita. Il libro di Klein, infine, è ottimista, perché crede che il potere di attuare il cambiamento è nella volontà popolare. Ci invita a riconoscere che questo desiderio avrà nemici e che questi stanno facendo un casino.

 

 

L’edizione della Feltrinelli sarà disponibile verso Nov. 2017, se volete acquistare il libro in versione originale inglese, seguire il link per amazon.it.

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