la società

Noi non ci Sa(n)remo

BLO 150212-662

 

“Ah, but I was so much older then / I’m younger than that now”.

Correva l’anno 1964 e il grande Bob nei sui versi ci partecipava dei sentimenti della gioventù americana tesa verso nuovi ideali.
Stones, Beatles, Who, Jimi Hendrix e molti altri iniziavano a farci sognare.
In quello stesso anno la Democrazia Cristiana, partito del 38%, eleggeva Mariano Rumor suo nuovo segretario. Era l’Italia del boom economico, dell’ Autostrada del Sole, della Seicento e di tanti altri sogni che per molti dei nostri padri, usciti stremati dalla guerra, prendevano corpo. La rinascita di una generazione cui la Storia dava un’altra possibilità.
Quella generazione che, incollata agli schermi in bianco e nero di un televisore comperato a rate, assisteva nel febbraio di quell’anno al successo di Gigliola Cinquetti che a Sanremo “non aveva l’età…” con l’inossidabile Mike che introduceva sul palco i suoi connazionali Frankie Laine, Gene Pitney e Paul Anka, massima trasgressione esterofila.
Con una “lacrima sul viso” le ragazzine sognavano in Bobby Solo il loro Elvis.
Tutti o quasi guardavano il Festival ma, come con il voto alla DC, nessuno era disposto ad ammetterlo.
Per gli editori di musica, in un mondo allora dominato dagli ascolti radiofonici, quello era l’appuntamento che determinava il mercato e conseguentemente il fatturato delle loro aziende.
Per gli italiani il Sanremo televisivo era il momento di ritrovo delle famiglie nell’epica nazional-popolare della tradizione musicale italiana.
La maggior parte degli italiani ascoltava la radio e la conoscenza della musica disponibile passava da quel mezzo. Casalinghe, artigiani, negozianti durante la loro giornata di lavoro si deliziavano con Luciano Tajoli, Claudio Villa, Sergio Bruni. Inevitabile pertanto che Sanremo rappresentasse il riferimento per il loro orizzonte musicale.
La cosiddetta “musica d’autore” fece solo successivamente la sua comparsa al Festival con gli esiti che sappiamo (basti pensare a Luigi Tenco), manifestando tutta la sua inadeguatezza rappresentativa rispetto alla qualità di molti artisti. Alcuni, opportunamente, mai approdati a quel palco. La minoranza musicalmente colta ed i giovani se ne tenevano alla larga, rifuggendo quella kermesse del nulla artistico.
Ma, almeno in quelle stagioni, le proposte di Sanremo si limitavano alle canzoni. Modeste qualitativamente – tranne pochi casi – di facile ascolto, tema dominante l’amore, cardine esistenziale, vissuto sempre nelle sue forme più semplicistiche e banali. Un presentatore, due vallette, una orchestra e via, senza altre pretese.
Successivamente e fino ai giorni nostri, in un crescendo di gusto discutibile spesso esondante nel kitsch, la manifestazione sanremese ha assunto la fisionomia di una saga in cui la “canzone italiana” fa da contorno a passerelle per personaggi di una totale e assoluta inconsistenza umana ed artistica.
Risultato netto: un dispendio di energie economiche pubbliche per una proposta culturale insulsa, una rappresentazione di un mondo che di musicale ha solo la parvenza ma sotto il quale dominano professionalità dubbie, rivelatrici di gestioni incapaci di offrire un prodotto degno di attenzione, in una discesa inarrestabile verso la spettacolarizzazione del nulla.
Come con la “vecchia” DC: non convinceva nessuno completamente ma, turandosi il naso (in questo caso le orecchie…) ci si può fare un salto, l’importante è non pensare.
Squalificante.

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9 comments

  1. Franz 13 febbraio, 2015 at 23:05

    L’ultimo Sanremo che ho seguito é stato quello del 1968: ancora oggi riascolto con piacere Endrigo e R. Carlos che cantano “Canzone per te”, ho un bel ricordo di M. Sannia, sentii per la prima volta W. Pickett e sorrido pensando che L. Armstrong si qualificò penultimo.
    Perché fu proprio quello l’ultimo? Da pochi mesi ricevevamo , nel Nord Sardegna, una nuova radio, radio Montecarlo, che trasmetteva (finalmente!) altra musica (rock, blues, R&B, i cantautori francesi e italiani…). Le sue trasmissioni ebbero un’enorme influenza sui gusti musicali dei giovani. Tra i primi DJ che ricordo c’era Herbert Pagani (“Se il tuo transistor non prende Montecarlo, c’è dentro un tarlo!”), ci furono le prime trasmissioni di canzoni a richiesta.
    Da allora in poi non ebbe piú senso ascoltare il festival di Sanremo: la musica era cambiata.

  2. Kokab 13 febbraio, 2015 at 16:49

    qualcuni di voi è mai stato all’ariston di sanremo?
    quello che in televisione sembra un lussuoso teatro è in realtà (o almeno era, negli anni ’80) una banale sala cinematografica, un po’ squallida e con le poltroncine antiche e sciupate, che al di fuori del periodo del festival ospitava una programmazione assolutamente dozzinale, perfettamente in linea con quella dedicata una volta all’anno alla canzone nazionalpopolare, che magari non era una brutta cosa per la generazione nata negli anni ’20/30, ma che in assoluto rappresenta il più orribile genere musicale della storia, credo in ogni tempo e in ogni luogo.
    falsa la sala, falso il festival, col vincitore designato qualche mese prima dall’industria discografica, e veri gli italiani che lo seguivano; che oggi sanremo rappresenti ancora qualcosa è un segnale inquietante sullo stato di salute della nostra società; fortunatamente non c’entra niente con la musica.

  3. Luistella 13 febbraio, 2015 at 15:34

    Ho visto il festival l’anno scorso perchè i due conduttori (Fazio Litizzetto) e gli ospiti allora invitati, sono persone che sanno fare un “Sanremo diverso” .Dalla notte dei tempi non lo guardavo più.Quando poi ho sentito che lo share d’ascolto in questa edizione, è stato elevatissimo, che ha avuto il suo picco con la presenza di Al bano e Romina, mi sono cadute letteralmente le braccia. I giornalisti al di là del parlare dei vestiti e delle acconciature , non hanno granchè da dire. Ci manca solo “la farfalla di Belem” Del resto non si può neppur dire che l’alto ascolto sia dovuto al bisogno (giusto) degli spettatori, di leggerezza ed evasione, perchè qui mi pare ci siano solo banalità e gossip.

  4. Giuvà 13 febbraio, 2015 at 13:16

    A noi del ’47 o giù di li’, il festival piaceva. C’erano canzoni che ci facevano sognare. Da Bobby Solo, a Caterina Caselli, a Donaggio , ad Anna Identici, don Backy, etc……… . Alla mi’ mamma piacevano Claudio Villa, Modugno, Dorelli, Rascel,….. che erano senz’altro meglio di questi cantanti qua! UN giorno trovai un tipo strano, compagno di lavoro, con la barba e la chitarra e quelle canzoni la’ ce le cantavamo tutte. Anche per la strada! Sanremo,al quel tempo, era ancora Sanremo. Poi venne De Andrè……….

  5. M.Ludi 13 febbraio, 2015 at 12:15

    Il festival di Sanremo nasce come mezzo per rilanciare la canzone melodica italiana dopo la fine dei tormenti bellici e, fin dall’inizio, ha avuto nel nascente potere delle case discografiche, il suo motore. Quel filone melodico, però, apparteneva ormai ad un passato sopravvisuto solo nell’annuale manifestazione sanremese, giacchè dei suoi fasti, finita la festa, gabbato lo Santo: chi vince regna per una notte e dal giorno dopo (o quasi) nessuno si ricorda più di lui. Dobbiamo però onestamente ammettere che c’è una parte (consistente) del Paese che davanti allo schermo televisivo, cerca solo questo tipo di programmi fatti dai soliti noti, con le stesse battute e con in più solo quel pizzico di volgarità gratuita (basta vedere i giornali di questi giorni) determinata da abbigliamenti volutamente studiati per far parlare e dissettare sull’annoso problema: ma la biancheria intima, ce l’aveva o no? Sarebbe facile la battuta sul fatto che, in assenza (della biancheria), si vedeva anche l’ugola.

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