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Il partito del trolley

Il partito del trolley

Lingotto ’17 non è stata una conferenza programmatica, né una assemblea di iscritti di un’area del Pd, e nemmeno la presentazione della mozione del candidato Matteo Renzi alla segreteria del partito, (mozione che infatti è ancora tutta da scrivere, a poco più di un mese dalle primarie). Niente di tutto quanto sopra: Lingotto ’17 era un “workshop”. Un workshop con un trolley per simbolo. Qualsiasi cosa significhi “workshop”, ci resta il dubbio che non esistano un termine o una locuzione in buon italiano che possano esprimere lo stesso concetto in maniera piana e comprensibile, ma forse stiamo dimenticando che questa è la stessa classe politica della spending rewiev, della stepchild adoption, e, soprattutto, del jobs act.

 

Matteo Renzi dunque ha presentato ufficialmente la sua candidatura a segretario con due discorsi dai toni alti ed emotivamente accesi, in cui ha parlato molto di Europa e di futuro e ha rivendicato l’eredità della migliore sinistra, ma evitando accuratamente di dare contenuti alle sue perorazioni. Non solo è mancato un pur minimo accenno a qual è o quale potrebbe essere il programma del Pd ora totalmente suo e depurato dagli avversari interni, ma non si è neppure colto in quale modo e in quale misura il Pd oggi dovrebbe essere “erede” del patrimonio ideale di tutte le componenti storiche che questo partito contibuirono a creare. La prima segreteria Renzi e i suoi 3 anni e mezzo da Presidente del Consiglio lasciano forti dubbi sulla capacità di Matteo, prima ancora che sulla sua volontà, di riempire i contorni del suo disegno politico con dei contenuti programmatici chiari, avendo egli rivolto la sua azione esclusivamente alla sostituzione di una vecchia classe dirigente e a riformare il carattere dello Stato cercando di concentrare nell’esecutivo e nel suo Capo il maggior potere possibile.

Ora che la strada delle “riforme” come le intende Renzi è da un lato interrotta definitivamente dopo la clamorosa sconfitta refendaria, ed è invece conclusa dal lato della rottamazione dei vecchi dirigenti (non c’è dubbio che di questo partito Renzi resta il dominus unico), è ora di incamminarsi sulla strada dei programmi: e al Pd converrebbe sgombrare il campo e svuotare il trolley da messaggi che hanno poco o nulla da spartire con i valori della sinistra democratica, italiana ed europea.

 

Deve ad esempio essere chiaro che fa parte del bagaglio della sinistra la Giustizia intesa solo come giustizia sociale: non ne fa parte il giustizialismo ma tanto meno il garantismo peloso che scatta solo nel momento in cui l’attività della magistratura lambisce gli amici. Sconcertano quindi i sensi di solidarietà espressi da Renzi alla pluriavvisata e politicamente indifendibile Sindaca di Roma, essendo trasparente il riferimento-avvertimento a ben altre inchieste e ad altri personaggi.

Nel riempire il trolley di oggetti ingombranti e inutili al viaggio, c’è anche chi ha fatto molto peggio di Matteo Renzi. Il ministro dell’Interno Minniti al Lingotto ha affermato, con una baldanza pari allo sprezzo del ridicolo, che “la sicurezza è di sinistra“. Di per sé, l’attenzione alla sicurezza nel senso della prevenzione e della repressione della criminalità sta vicina alle idee della sinistra quanto l’orbita di Urano; tanto più si resta confusi quando si coglie la contraddizione tra il suggerimento di rafforzare l’attività di polizia nei confronti della criminalità “comune” e gli atteggiamenti garantisti che scattano solo a difesa dei politici indagati. Se il Pd riesce a tenere insieme nello stesso bagaglio idee così estemporanee e contraddittorie, probabilmente un trolley non è sufficiente e servirà un bel baule per contenere il tutto. Chissà se resterà spazio per qualche vecchio cimelio dell’eredità della sinistra.

 

Il partito del trolley

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