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Il vero piano B del Ministro Paolo Savona

Il vero piano “B” del Professor Savona

Ha fatto molto scalpore, specialmente per quelli che come me si oppongono al governo “del cambiamento” la notizia dalla quale si è appreso che il professor Paolo Savona avrebbe dichiarato la disponibilità di depositi ed investimenti all’estero, conformemente a quanto richiede la legge italiana a tutti coloro che assumono cariche pubbliche. Si è scoperto così che il Ministro Savona avrebbe investito circa 1.300.000 euro in Svizzera. Contemporaneamente si è appreso anche che lo stesso Savona avrebbe ancora un incarico dirigenziale in un Hedge Fund con sede a Londra, e al momento ignoro se, come dicono le agenzie, si sia già frettolosamente dimesso e se i suoi soldi siano investiti proprio nel fondo per il quale ha assunto incarichi; francamente poco mi importa di sapere altro, in quanto già conosciamo abbastanza della vicenda per poter fare alcune considerazioni.

 

Oramai da molti anni è decaduto in Italia il divieto di detenere depositi all’estero e/o valute estere, per cui ognuno di noi, volendo (e naturalmente potendo) è libero di aprirsi un conto persino in un cosiddetto paradiso fiscale, a condizione che vengano assolte sostanzialmente tre condizioni:

  • Che il trasferimento di denaro dall’Italia avvenga mediante un intermediario abilitato, in modo tale da lasciare traccia in caso di controlli;
  • Che il deposito venga annualmente evidenziato nella dichiarazione dei redditi;
  • Che gli interessi o utili derivanti annualmente dal deposito vengano dichiarati ai fini della tassazione separata, conformemente alle regole del fisco italiano.

 

Chiunque detenga soldi in paesi esteri, ma l’investimento sia stato collocato da intermediario (Banca o SIM) italiano, è esonerato da qualsiasi incombenza in quanto è l’intermediario ad assolvere, per conto del depositante, a tutti gli obblighi relativi alle normative antiriciclaggio (tracciabilità) e fiscali (imposta sui redditi da Capitale).

Sottolineato quanto sopra occorre chiarire che il ministro Savona non pare aver fatto niente di illegale, e che quindi sia del tutto lecito che lui con i suoi soldi possa fare esattamente ciò che vuole; e ciò che vuole evidentemente è tenere i suoi risparmi ben al sicuro da possibili tempeste finanziarie.

Quando la Svizzera, come la maggior parte dei Paesi europei che nel tempo si erano distinti nella custodia di capitali di provenienza illecita quale l’evasione fiscale, a seguito delle enormi pressioni fatte inizialmente dagli Usa e a ruota dal resto della Comunità Economica Europea, decisero di acconsentire allo scambio di informazioni relative ai depositanti esteri, nelle banche elvetiche vi fu un panico iniziale, che ben presto scomparve a seguito della banale considerazione che la piccola Confederazione da sempre era stata tenuta indenne e protetta dall’intera comunità internazionale, anche quando vicende come le guerre mondiali stavano devastando il continente. Il motivo lo si scoprì facilmente alla fine dell’ultima guerra, quando si seppe che sia i nazisti che gli ebrei avevano provveduto a riempire le casse elvetiche, nella speranza, passata la tempesta, di poter nuovamente godere delle proprie ricchezze, ed è noto che purtroppo i caveau contengono ancora oro, gioielli ed opere d’arte che nessuno potrà mai più reclamare, e che da sempre stimolano gli appetiti delle banche e del governo elvetico.

Una volta compreso ciò che doveva essere fatto per rispettare gli accordi, tutto è tornato come prima, anzi si dice che siano molti quelli che, così come ha fatto il ministro Savona, hanno portato i propri depositi in Svizzera nel rispetto delle leggi dei paesi di residenza; così mentre la Svizzera continua a beneficiare delle enormi ricchezze provenienti dai paesi limitrofi (e non solo), l’Italia più degli altri deve fare i conti con questa emorragia di capitali che continua imperterrita da sempre, e che limita le possibilità di utilizzarli in investimenti produttivi in patria, per consentire un maggiore sviluppo e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Fatto salvo chi continua ad evadere, e chi non potrebbe comunque portare alla luce i frutti di attività criminali, chi possiede denaro in grandi quantità ha sicuramente pensato di trasferirlo, tutto o in parte, in un luogo più sicuro di quanto lo possano essere ormai da un decennio le banche italiane. La misura della sfiducia ancora esistente nel nostro paese è data dai continui scudi fiscali consentiti negli anni, sino ad arrivare alla “voluntary disclosure”, la solita legge all’italiana con la quale si è sostanzialmente detto che i soldi potevano rientrare, ma parte degli illeciti commessi per accumularli restavano perseguibili, con la conseguenza che i risultati sono stati modesti, anche se hanno portato ossigeno alle perennemente esauste casse dello Stato.

 

Paolo Savona ha fatto esattamente quello che hanno fatto decine (forse anche centinaia) di migliaia di nostri connazionali che, più o meno nel rispetto delle leggi, hanno messo al riparo il proprio denaro in tempi oggettivamente difficili; quindi dove starebbe lo scandalo? In effetti non esiste, e Savona dei suoi soldi è libero di fare ciò che vuole: è una persona professionalmente di successo che ha lavorato per molti anni ricoprendo incarichi prestigiosi, e dobbiamo finirla di puntare il dito contro la ricchezza altrui quando essa è frutto di lavoro molto ben retribuito, come nel suo caso. Dobbiamo proprio smetterla di criticare chi detiene ricchezza (sempre che sia frutto di attività lecite), e preoccuparci un po’ di più del fatto che questa ricchezza venga reimpiegata nel nostro paese per fare investimenti ed alimentare un circuito virtuoso che si fa fatica a leggere nelle pieghe del DEF, che con l’apporto di Paolo Savona il Governo pensa di dare all’Italia come linea guida del futuro economico per i prossimi tre anni.

Molta meno fatica la si fa a comprendere quale sia il vero piano B del nostro navigato ministro.

 

 

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