le storie

Piersanti Mattarella, la rimozione di un martirio

Libro-piersanti-mattarella  Recenzione al libro di Giovanni Grasso, Piersanti Mattarella – da solo contro la mafia

 

Forse da parte di taluni c’è stata anche la preoccupazione di non riconoscere il significato politico del dato che la Dc avesse nel proprio interno risorse etiche e politiche capaci di riscattare l’immagine di un partito che si voleva e si descriveva invece “tutt’uno” con il clichè di una Sicilia perduta.

Il libro di Giovanni Grasso (Piersanti Mattarella, da solo contro la mafia, San Paolo ed.) è molto bello e mi permetto consigliarne la lettura ai politici di oggi, soprattutto siciliani ma non solo, oltreché ai giovani che si stanno accostando alla politica. È molto di più di una semplice biografia, è per molti versi un manuale di politica che consente di capire cosa è stato e cosa dovrebbe essere ancora oggi l’impegno politico.

Siamo infatti ormai abituati a ritenere che la lotta alla mafia sia solo prerogativa di una magistratura eroica che ha lasciato sul campo di questa battaglia tantissime vittime verso le quali il debito del paese non sarà mai saldato a sufficienza, e siamo abituati a ritenere che la politica – in particolare quella che ha esercitato nell’isola responsabilità di governo – sia stata quasi sempre , a volte persino inconsapevolmente, collusa. Mattarella è l’emblema invece di una lotta determinata, intelligente, sistematica, con cultura di governo al grande nemico rappresentato dalla mafia e da altri poteri criminali che con la mafia hanno condiviso obiettivi politici.

Nel libro di Grasso sono descritti tutti i segni e le contraddizioni che nel tempo hanno fatto della Sicilia una regione spesso definita non a caso “laboratorio” di tanti conflitti dilemmatici: monarchia/repubblica, separatismo/autonomismo, questione meridionale/questione nazionale, laicità/clericalismo, utopia/concretezza, diritto/giustizia. A quest’ultimo proposito balza alla mente la bella immagine di don Primo Mazzolari (Viaggio in Sicilia, Sellerio editore): «L’astrattismo della sua cultura, il suo magnifico gioco giuridico e filosofico nasce dal fatto penoso ma vero che i siciliani furono quasi sempre obbligati a sognare il diritto invece di godere la giustizia, a comporre le idee invece di comporre uomini e cose». Ecco, Piersanti Mattarella è stato uomo politico che ha pagato con il prezzo della vita il tentativo di capovolgere questa immagine, cercando di «comporre uomini e cose», nella convinzione che uomini e cose potessero, e possono, cambiare.

La sua preoccupazione è stata quella di affrontare di petto («siamo al peggio…ma il peggio va affrontato») la “questione”, cioè la questione della crescente (già allora) divaricazione dello sviluppo fra il nord e il sud del paese.

Scrive a Zaccagnini, il segretario del suo partito, la Dc, esortandolo a superare la cultura antiquata che «considera il Mezzogiorno un problema isolato o da isolare rispetto alle grandi scelte economiche. È invece necessario proporre una politica nazionale…»; polemizza con il presidente della regione Emilia-Romagna Guido Fanti che propone una unione del settentrione padano (una concezione industrialista che sacrifica il sud), respinge l’idea del ponte sullo stretto di Messina («ancora una volta si tende a privilegiare per il sud e la Sicilia un ruolo francamente subalterno ad interessi che non sono nostri e a continuare a farci coltivare solo da mercato, e non da area produttiva, al servizio piuttosto di altre aree produttive»), invita in Sicilia il presidente della Commissione europea, il presidente del Cnr, diversi ministri e industriali  cercati al nord, sino al presidente della repubblica Pertini, perché tutti si rendessero conto della realtà e delle potenzialità della regione.

Ma Mattarella era ben consapevole che le cose sarebbero cominciate a cambiare quando il governo siciliano fosse stato in grado di cambiare la situazione. Comincia così un programma di interventi che colpiscono gli interessi costituiti e il contropotere mafioso: una nuova legge urbanistica che  riduce gli indici di edificabilità che passano da 21 a 7 per le aree urbane e da 0,20 a 0,03 per quelle agricole: una nuova normativa di assoluta trasparenza per gli appalti; la rotazione dei tecnici collaudatori delle opere pubbliche; l’attivazione dei poteri ispettivi della regione e la nomina di commissari ad acta per sopperire alle inadempienze delle amministrazioni comunali, che tra l’altro gli ha consentito di intervenire su un appalto opaco (a dir poco) di scuole del comune di Palermo.

Sapeva benissimo che in questo modo si realizzava un salto di qualità: non più solo un governo non condizionato dalla mafia, ma in conflitto aperto con i suoi interessi. Per la mafia è troppo! Ma forse non solo per la mafia. Altri interessi e poteri nascosti nella società e persino nel suo partito tornato sotto il controllo di Ciancimino reagiscono.

Nasce in questo clima il delitto del presidente Mattarella. Molte lettere minatorie trovate nei suoi cassetti, messaggi trasversali provenienti da vari ambienti, persino inquietanti scritte sui muri vicino alla sua abitazione, lo rendono consapevole del rischio che stava prendendo corpo.

Nel 1979 Zaccagnini gli aveva inutilmente proposto di candidarsi alle elezioni politiche nazionali avendo identificato, insieme a molti altri dirigenti della Dc, in lui il successore di Aldo Moro (Mattarella era a Roma il 9 maggio del 1978 e fu tra i primi a accorrere in via Caetani) di cui era stato devoto discepolo, ma lui ritenne che in quel momento il suo dovere fosse quello di stare in Sicilia a continuare il lavoro intrapreso.

Come Moro, assassinato il giorno in cui la camera stava per votare la fiducia al governo di solidarietà nazionale, dirà Pio La Torre (anche lui vittima designata dalla mafia) ricordandolo nell’aula parlamentare, anche Mattarella era impegnato «a dare uno sbocco unitario e positivo alla direzione politica della Regione».

Si è trattato sicuramente di un assassinio politico e non solo di carattere mafioso.

La magistratura ha ondeggiato fra le due ipotesi pervenendo da ultimo – dopo un lucido convincimento sulla prima pista di Falcone ( di lì a poco pure lui assassinato ), sulla base della coraggiosa e straziante testimonianza della vedova signora Irma Chiazzese Mattarella sicura di aver riconosciuto il killer nell’estremista di destra Giusva Fioravanti, oltreché di quella del fratello Cristiano Fioravanti – all’altra ipotesi, quella della pista mafiosa, con un verdetto lacunoso e assai discutibile.

Resta il fatto che tutti pronunciamenti della magistratura concordano sul movente: sono state le scelte di Mattarella come presidente della regione ad aver armato la mano del suo assassino.

Alla fine del libro Giovanni Grasso si chiede quali siano state le ragioni della insopportabile rimozione politica del significato di questo assassinio. Troppi silenzi, troppe parole di circostanza, troppa assuefazione all’idea che in Sicilia gli assassinii non debbono stupire più di tanto. Forse da parte di taluni c’è stata anche la preoccupazione di non riconoscere il significato politico del dato che la Dc avesse nel proprio interno risorse etiche e politiche capaci di riscattare l’immagine di un partito che si voleva e si descriveva invece “tutt’uno” con il clichè di una Sicilia perduta: un politico cattolico, con la schiena dritta, con l’intelligenza politica di una strategia antimafiosa efficace, disturbava e persino contraddiceva l’idea di una Dc «molliccia e compromessa».

Grasso lamenta anche il fatto che persino la Chiesa si sia dimenticata della testimonianza di questo “martire politico” profondamente cristiano. «Una dimenticanza di cui si è avuto sentore anche durante la recente beatificazione di don Puglisi: accanto alla figura del prete martire di Brancaccio sono stati citati, tra gli applausi, Falcone, Borsellino e Livatino. Ma non Piersanti Mattarella. Perché?» si chiede.

Le risposte possono essere tante.

È purtroppo il destino di tanti credenti che vivono con profonda e sofferta coerenza la loro fede in politica, di non vedersi riconosciuto alcun merito «per non fare torto agli altri» (credenti). Ma in questo caso, perdipiù di fronte a un vero martirio, una tale rimozione è semplicemente e oggettivamente inspiegabile e molto grave.

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