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Populismi di lotta e di governo

          Il Movimento5stelle riunito a Piazza San Giovanni nel 2013

 

Mentre cresce l’attesa per la cerimonia di insediamento di Donald Trump a nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America ed i giornali riempiono le loro pagine con le foto delle personalità che saranno presenti all’evento, l’attivismo di Obama nel cercare in tutti i modi di ostacolare il cammino di uno tra i Presidenti più controversi (ad essere benevolo) della storia di quel Paese, appare a molti qualcosa di più dell’estremo tentativo del massimo esponente dei Democratici di rendere quella presidenza assai difficoltosa.

Tutto è nato con sospette attività di spionaggio: prima quella messa in atto ai danni di Hillary Clinton da parte di uno zelante capo dell’FBI, il repubblicano James Comey il quale avrebbe riaperto il caso sulla questione delle mail della Clinton, in assenza delle dovute autorizzazioni, per finire sulla denuncia di ingerenze da parte del Cremlino atte a determinare la sconfitta della Candidata democratica a favore del suo avversario il quale, molti sospettano abbia più di una motivazione ad ottenere un accordo con Putin, al di là delle note questioni di politica estera, e persino degli interessi stessi della nazione.

E qui entrano in campo le famose dichiarazioni dei redditi del crinito Trump, mai mostrate alla stampa ma che sicuramente devono essere ben note a chi quei dati può facilmente averli all’interno dell’Amministrazione Usa e non aspetta che il momento buono per tirarli fuori, non sappiamo ancora se prima della cerimonia di investitura o dopo; in ogni caso Trump rischia di passare alla storia degli ultimi decenni come uno dei migliori Presidenti degli Stati Uniti d’America, se non altro per non aver avuto il tempo materiale di fare danni.

Con una coincidenza temporale assai singolare, in India ha preso il via la più grande e organizzata lotta al denaro circolante che mai si sia vista sulla faccia della terra; infatti il Premier Narendra Modi da alcuni definito “razzista” e da altri “nazionalista”, dai più considerato solo il solito populista d’accatto, ha deciso improvvisamente, i primi di settembre, di ritirare dalla circolazione le banconote da 500 e 1000 rupie (corrispondenti a circa 7 e 14 dollari Usa) con lo scopo dichiarato di combattere la corruzione, l’evasione e la criminalità le quali notoriamente fanno dell’utilizzo del contante la loro arma vincente contro ogni tracciabilità delle transazioni. A prescindere da chi possa essere stato a consigliarlo su questa strada, con un minimo di pacata riflessione, e prima di lanciarsi in un’operazione dagli esiti, per ora disastrosi, Modi avrebbe potuto vedere che cosa sta accadendo in un Paese come la Svezia, nella quale le transazioni in contanti rappresentano circa il 5% del totale, ove si è decisa l’eliminazione totale del contante in un arco temporale di circa 3 anni durante i quali si provvederà, sia ad indurre ulteriormente l’utilizzo della moneta elettronica che alla creazione di una moneta virtuale sostitutiva di quella cartacea (per approfondimento vedere “I misteri della Blockchain”). Se in Svezia, Paese di circa 10 mln. di abitanti, altamente tecnologizzato ed informatizzato, hanno ritenuto necessario graduare l’eliminazione del contante, non si comprende secondo quale ragionamento Modi ha pensato di farlo dalla sera alla mattina in uno dei Paesi più popolosi del mondo, dove l’accesso al mondo bancario è precluso a più dell’80% della popolazione ed il contante è il motore di un’economia diffusa nella quale si trovano, si, evasione e corruzione, ma anche vite al limite della sopravvivenza.

Dopo due mesi di applicazione draconiana di questa misura si contano già a decine i morti d’inedia per non aver potuto più disporre, attraverso la miriade di lavoretti occasionali, o semplicemente con l’elemosina, di quelle poche rupie necessarie a comperare il cibo, mentre l’agricoltura è al collasso, perché i numerosi mercatini rurali restano deserti per mancanza di compratori e si preannuncia già una prossima carestia dovuta all’impossibilità degli agricoltori stessi di acquistare le sementi per i prossimi cicli produttivi. Alla fine, che alla Monsanto ne possa derivare un danno ci pare essere, veramente il minore dei mali.

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 Vignetta di Sergei Tunin     (cliccare immagine per miglior risoluzione)

 

Dall’altra parte del mondo, nell’Italia del malcontento e della protesta, mentre a Roma non sembra ancora sortire conseguenze positive il primo grande esperimento di governo da parte del Movimento 5 Stelle, è accaduto che dai vertici, con le solite modalità del voto on line, si è proposto ad una base sempre eccessivamente esigua perché si possa parlare di democrazia diretta vera, di uscire dal gruppo EFDD per entrare in quello dell’ALDE, all’interno dell’europarlamento; all’apparenza sembra un banale spostamento tattico ma per il movimento si tratta di una rinuncia incondizionata a buona parte dei principi che avevano portato al sodalizio con Farage e non si comprende bene come un simile cambio di linea politica (da euroscettici ad euroentusiasti) possa essere avvenuto semplicemente avendo raccolto il consenso della maggioranza di una platea di poche decine di migliaia di iscritti ad un blog, per un movimento che rappresenta circa 9.000.000 di elettori. La spiegazione (che non spiega ma inquieta) è che dopo la decisione del Regno Unito di uscire dall’Europa e la conseguente futura fuoriuscita dell’Ukip dal gruppo EFDD, i 5 stelle si sarebbero trovati soli e incapaci di incidere sulle scelte a Strasburgo mentre con il loro ingresso l’ALDE di Guy Verhofstadt sarebbe divenuta probabilmente fondamentale nei difficili equilibri tra socialdemocratici e popolari. Anche sottacendo sul fatto che l’ALDE rappresenti  l’antitesi rispetto agli ideali sempre sbandierati dal M5S (dalla democrazia diretta al referendum sull’euro, per non parlare del TTIP), resta la grave constatazione che nonostante l’accordo tra Grillo e Verhofstadt fosse già stato raggiunto da alcuni giorni, si sia fatto di tutto per farlo passare come una decisione del Movimento senza che, su una cosa di questa importanza, fosse stato attivato prima un minimo di dibattito pubblico. Alla fine ha prevalso il buon senso da parte della maggioranza dei rappresentanti in seno alla formazione liberale con Verhofstadt che ha dovuto prendere atto di essere rimasto solo a volere Grillo nel Gruppo e quest’ultimo che, in perfetto stile populista si è vantato di aver portato lo scompiglio all’interno dell’istituzione europea quando, in fondo, si è trattato solo dell’ennesima figura barbina rimediata ma di cui i suoi seguaci sembrano non accorgersi mentre Grillo si consola al “tintinnio” dei click rimediati con la votazione/farsa per la perdita dei sostanziosi contributi europei ai quali non sembra più poter attingere.

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Ma la cosa ancora più grave di tutte, quella che getta nello sconforto più profondo è l’assenza totale di tutte le opposizioni le quali paiono inermi di fronte ai disastri che i nuovi populismi stanno facendo ovunque; e se preoccupa Obama il fatto di dover, probabilmente fare da futuro alfiere nel fronte democratico allo sbando, anziché godersi, come i suoi predecessori, la confortevole condizione di conferenziere e scrittore di successo a giro per il mondo, altrettanto preoccupante è l’assenza di una valida opposizione in India, e ancor di più in Italia dove, dopo i festeggiamenti post referendari, tutti i buoni propositi di un veloce ritorno alle urne sembrano essere stati accantonati forse nell’attesa che Grillo ed i suoi “ragazzi meravigliosi” ne combinino talmente tante da andare incontro ad una Caporetto elettorale la quale, al momento, sembra solo una chimera.

E ad aprile ci saranno le elezioni in Francia con la Le Pen agguerrita e pronta a dire la sua; come se non ne avessimo già abbastanza.

Populismi di lotta e di governo

 

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Damnatio memoriae
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