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Scontro tra titani (nani)

 

Con il confronto di ieri sera a Las Vegas si chiude la fase calda della campagna elettorale in corso negli Stati Uniti che vede, salvo colpi di scena, Hillary Clinton nettamente favorita sul candidato repubblicano Donald Trump.

Oltre che sul nome della probabile vincitrice di questa competizione giocata senza esclusione di colpi (anche bassi e proibiti), la maggior parte dei commentatori sono concordi nel ritenere che quelli che si sono affrontati siano stati i peggiori candidati che i rispettivi partiti in campo potessero proporre; diversamente peggiori, aggiungo io.

Della Clinton sappiamo ormai quanto c’è da sapere; dopo aver fatto la First Lady durante l’amministrazione condotta dal marito Bill Clinton (per ben 8 anni), ha autonomamente intrapreso la carriera politica da predestinata, prima al Senato e poi come Segretario di Stato (2009-13) durante il primo mandato di Obama.

Nessuno ha mai dubitato che, dato il carattere e le capacità, avrebbe avuto la possibilità di diventare la prima donna a ricoprire il ruolo più importante (almeno fino ad oggi) nello scacchiere politico mondiale; ciò che ha sorpreso, casomai, è stato che nei mesi scorsi abbia faticato ad imporsi, non tanto per merito dei suoi oppositori (prima internamente al partito democratico, nel confronto con Sanders e poi nello scontro con Trump) ma per un progressivo appannamento della sua immagine dovuto prevalentemente a tutta una serie di notizie trapelate in buona parte dalle sue famose mail gestite attraverso un suo server personale e non ufficiale del ministero, che hanno confermato ciò che molti in questi anni avevano temuto e cioè che si trattasse di una donna cinica, crudele, dedita agli intrighi ed incurante dei compagni di viaggio, sia pur temporanei, dei quali si è contorniata in campo internazionale.

L’era di Obama si avvia alla conclusione con qualche luce e molte ombre, specialmente in politica estera dove è sembrata ancora forte l’influenza interventista dell’ex segretario di Stato, che ormai da tempo si sapeva, avrebbe voluto seguire le orme del marito e che forse, anche dietro le quinte e pur impegnata nella propria campagna elettorale, non ha mai cessato di intrattenere le sue relazioni internazionali.

L’amministrazione Obama, specialmente nel suo secondo mandato è sembrata voler iniziare un progressivo disimpegno in campo internazionale, tant’è che alcuni osservatori sembrano, in questo aspetto, vedere maggior coerenza con il programma di Donald Trump che con quello di Hillary Clinton la quale, di contro, può darsi che, sia pur non ricoprendo incarichi ufficiali, abbia continuato a tessere le fila di una maggiore intransigenza verso i tradizionali nemici, preparando il terreno ad una presidenza che appare sempre più probabile.

A dispetto di ciò che molti pensano Trump non è uno sprovveduto; laureatosi  in economia, ha seguito le fortune familiari in campo immobiliare per poi dirigerle con alterne vicende verso il campo dello spettacolo. In qualche modo la sua vita a quella di Silvio Berlusconi, in quanto entrambi devono parte della loro popolarità dall’aver, sia pur con modalità diverse, fatto parte del mondo dello spettacolo, ed è possibile, dato lo svolgimento temporale dei fatti, che le fortune italiane del Cavaliere abbiano in qualche modo fatto da stimolo all’iniziativa di Trump (della serie: “ se ce l’ha fatta lui…”)

Come per Silvio Berlusconi, la vita personale e imprenditoriale di Trump è fatta di luci ed ombre; sempre in odore di scandalo, vuoi per motivi finanziari o, come per il nostro, per una incontenibile pulsione emotiva verso il gentil sesso, Trump è stato ed è il classico esempio vivente dell’aforisma di Oscar Wilde: “non importa che se ne parli bene o male; l’importante è che se ne parli.

Donald Trump è arrivato a contendere a Hillary Clinton lo studio ovale contro tutti i pronostici e soprattutto, contro buona parte dell’establishment repubblicano, ma contro tutto e tutti, è arrivato alla fine della corsa; qui le cose si sono complicate perché i confronti televisivi seguono regole precise che, fino ad oggi, non sono state sconfessate e più di una volta Trump si è trovato in difficoltà a fronteggiare una candidata sicuramente più rodata nel ruolo, sia pur azzoppata dalle troppe rivelazioni sulle sue trame oscure a giro per il mondo.

Dopo la chiusura dell’ultimo incontro/scontro di ieri sera, molti concordano nel riconoscere che le poche chance che ancora venivano attribuite a Trump sono state malamente giocate e che, probabilmente per la consapevolezza che non ce l’avrebbe fatta, proprio nella serata cruciale il candidato repubblicano si è lasciato andare a tutto quel repertorio di smorfie e grugniti che hanno caratterizzato la sua campagna elettorale ma che non sembrano essere l’arma più efficace per contrastare le unghie affilate della, probabile, prossima presidentessa degli Stati Uniti d’America.

Non tutto è andato, però, secondo copione, ed ancora una volta è stato Trump a gettare un po’ di scompiglio dichiarando, in completa rottura con la tradizione statunitense, che si sarebbe riservato di accettare o meno il responso delle votazioni, palesando non tanto velatamente, non solo di essere arrivato all’ultima spiaggia, alla carta della disperazione, ma anche, forse ipotizzando che nuove rivelazioni sull’attività della ex Segretario di Stato, potrebbero determinare uno spostamento dell’elettorato a suo favore.

L’ipotesi di brogli elettorali aleggiò anche sulle elezioni presidenziali del 2000 durante le quali molti rilevarono che in Florida (uno stato chiave nel quale si giocava la contesa) si erano avuti episodi che avrebbero avuto bisogno di essere chiariti riguardo al come interpretare schede o difettose o mal compilate. Ma mentre si stava preparando un ennesimo ricorso presso la Corte Suprema che sembrava avrebbe evidenziato la fondatezza delle accuse, ad un certo punto Al Gore decise di abbandonare ed accettò la sconfitta, probabilmente per non portare il Paese sull’orlo di una crisi. Non sembra che Trump voglia seguirne l’esempio (per di più lanciando accuse prima ancora che inizino le votazioni; cosa alquanto singolare).

Come sempre accade, le elezioni americane suscitano grande interesse anche in Europa, e non solo per la tradizionale vicinanza della stessa agli Stati Uniti (indebolita, invero, dalla Brexit), ma anche perché in Europa si gioca una partita complicata con la Russia ad est che soffre enormemente l’adesione delle repubbliche ex Urss alla Nato, e con le guerre dall’altra parte del Mediterraneo che destabilizzano politicamente ed economicamente quel che resta della UE.

Sotto questo aspetto si rileva da più parti che mentre la Clinton tenderà a rafforzare le tensioni esistenti (essendo già in prima linea come Segretario di Stato a determinarle), Trump, se riuscisse veramente, ed io ne dubito, a mantenere una forte connotazione di indipendenza dal proprio stesso partito e realizzasse ciò che ha proposto, tenderebbe a far abdicare parzialmente gli Usa dal loro ruolo per concentrarsi sulla politica interna, sia in temi economici che in relazione al problema dell’immigrazione. Resta da capire come potrebbe Trump, una volta eletto, non solo fronteggiare un Congresso tradizionalmente eletto in modo da controbilanciare il potere presidenziale, ma anche il suo stesso partito nel quale la volontà di pacificazione non è mai stato un tratto distintivo.

Alla fine resta la sensazione che l’influenza degli Stati Uniti sull’Europa continuerà ad essere importante, almeno fin quando le risorse economiche lo consentiranno per cui sembra probabile che, per noi, la situazione non dipenderà tanto da ciò che accadrà alla Casa Bianca, quanto dagli sviluppi mondiali dei rapporti di forza tra le potenze economiche che si contendono i mercati; ma questa è un’altra storia.

Curioso infine il fatto che sia la Clinton che Trump, abbiano fatto percorsi politici inversi, nemici in campo avverso, ma non sempre saldamente stabili nelle loro scelte; questo a determinare come negli Stati Uniti, più che altrove, un vero confronto tra una democrazia progressista ed un conservatorismo di destra, siano ormai un vago ricordo che riaffiora solamente nella fase iniziale delle contese elettorali per poi disperdersi nella più classica delle notti nelle quali tutti i gatti sono grigi.

Scontro tra titani (nani)

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