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Sinistra e PD, game over?

Sinistra e PD, game over?

Lo dico subito e con chiarezza, io credo che il PD e la sinistra italiana, cose non del tutto coincidenti, siano arrivate al game over, e in poco più di tre anni abbiano sprecato un’occasione straordinaria per cambiare la propria storia politica e il futuro del paese, e per questo si stiano avviando ad un drammatico declino; proviamo a vedere perché, partendo dalla fine di questa storia.

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La politica italiana che si era incartata sul risultato del referendum costituzionale, ha iniziato di nuovo a muoversi dopo la decisione della Consulta, che strappando qualche penna all’Italicum lo ha ridotto ad una legge se possibile peggiore di quello che era, o nella migliore delle ipotesi  altrettanto brutta, ma costituzionalmente legittima e immediatamente applicabile.

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Il primo e più importante effetto di questa rinnovata vitalità, forse il solo degno di nota, è stata l’esplosione dei fuochi artificiali all’interno del PD: un segretario sempre più debole, che vuole votare al più presto possibile senza sapere per cosa, oltre che per l’ennesima rivincita, e un partito sempre più schizofrenico, nel quale la minoranza è compatta solo sull’idea di rottamare Renzi e cancellarlo per sempre dalla politica, si divorano a vicenda incuranti di qualunque programma, di qualunque progetto e di qualunque ideale.

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I giornali ci parlano di D’Alema che prepara la scissione, di Bersani che forse non la farà ma forse si, di Emiliano che si candida alla segreteria del partito trattando Renzi alla stregua di un Fassina qualunque, per conto di D’alema oltre che proprio, e di Rossi, che forse è il più intelligente e sensato di tutti, che si posiziona per aspettare che passi la nottata, provando a dare qualche idea ad un partito io credo destinato a perdere le prossime elezioni, e che forse, immagina, un giorno sarà suo; Franceschini nel frattempo si posiziona al centro di tutto, probabilmente anche di sé stesso, nella paradossale condizione di chi è senza amici e senza nemici, trattando sempre  gli uni alla stregua degli altri, e viceversa, come i democristiani di razza sui quali non tramonta mai il sole.

 

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Oggi nel PD si parla essenzialmente di tre cose, della data del voto, imprevedibile come sempre in Italia, della legge elettorale da applicare,  sulla quale regna la massima confusione, anche perché non si sa con chi farla e per che cosa, e del nome del leader e futuro candidato premier, incuranti del fatto che probabilmente saranno due, Renzi e quello che guiderà la scissione, o più probabilmente un suo avente causa: questo dibattito autoreferenziale è con solare evidenza una mera questione di potere, e per questo, credo, sarà la pietra tombale del partito di sinistra che abbiamo conosciuto dal 1989 in poi, accompagnato nel suo ultimo viaggio dal governo forse più balneare e meno autorevole della storia, che peraltro non sfigura in termini di efficacia rispetto a quello precedente.

 

Di fronte a questa rinnovata inerzia della guerra per bande all’interno del PD alcune cose mi sembrano intuitivamente abbastanza chiare, e se anche non pretendo di dimostrarle in modo esaustivo credo che difficilmente qualcuno  abbia il potere di cambiarne la direzione e l’esito.

 

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La prima è che Renzi, al di fuori di un eventuale ritorno alla prima Repubblica e al proporzionale puro, affatto da escludere, è un leader politicamente morto.

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Lo è innanzitutto perché nulla ammazza più delle sconfitte, soprattutto se sei uno sbruffone che non le accetta, e lo è in secondo luogo perché è un generale circondato da servi sciocchi e del tutto privo di ufficiali di valore, ossia di una classe dirigente diversa da quella del regno borbonico al tramonto.

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Le sconfitte sono state numerose e rovinose, ma soprattutto i due referendum, quello costituzionale e quello sulle trivelle, hanno certificato la prevalente e drammatica impopolarità di Renzi, con oltre mezzo paese che ogni volta si scomoda per votare contro di lui, da destra a sinistra, senza se e senza ma, anche a prescindere dal merito, e lui che ogni volta rilancia la sfida e alza la posta come un bambino a cui hanno rubato il pallone. Non puoi perdere 60 a 40 la partita della vita, e far finta che non sia successo nulla, non puoi farti bocciare la legge elettorale che hai fortissimamente voluto, incurante di ogni critica, e ripresentarti come se l’analfabeta non fossi stato tu, non puoi fare l’uomo solo al comando, applaudito dai fedelissimi, quando interi pezzi di partito e di paese ti abbandonano, e non hai nessuno oltre a te che sia capace di conquistare un voto. Quante divisioni controlla il giglio magico? Lotti, Guerini, Poletti, la Boschi o la Madia che consenso ti garantiscono? Nessuno, non c’è un renziano della prima ora o dell’ultimo minuto che abbia il peso specifico sufficiente per non essere massacrato da un Emiliano qualunque, a rubamazzo oltre che in politica: vivono tutti di voti e di luce riflessa, non contano nulla sul territorio, e l’appannamento del capo li oscura e li scredita in modo totale, rimandando su Renzi, che pure ha le spalle larghe, lo stesso speculare effetto. Davvero pensiamo che il Renzi di oggi, ammaccato nell’immagine e nel carisma dalle troppe sconfitte, con l’economia che continua ad andar male, l’occupazione sempre drammatica e la precarietà ancora più estesa possa battere il grillino di turno, con o senza assicurazione? A me pare del tutto impossibile.

 

 

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    PierLuigi Bersani e Gianni Cuperlo

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La seconda è che il congresso chiarificatore, che quasi tutti invocano a gran voce, Cuperlo ed Emilano per ultimi e in coro, congresso che Renzi potrebbe essere persino tentato di concedere per poterlo vincere, è probabilmente del tutto irrilevante.

 

Non si può fare il congresso di due partiti diversi, privi di una base comune, senza progetti o ideali che non siano gli uni l’antitesi di quelli degli altri, sono differenze sulle quali non c’è principio di maggioranza che tenga. L’Opa di Renzi sul PD era del tutto ostile, e a dispetto del consenso plebiscitario che ha intercettato, era anche un po’ stupida, perché è stata fatta con autorità e senza autorevolezza, rottamando l’identità e l’anima di quel partito, non solo le persone al capolinea, e rinunciando con ciò a quella parte minoritaria dell’elettorato che con la sua marginalità gli poteva consentire la vittoria: in Italia non si vince a sinistra, perché la sinistra non è abbastanza forte, ma non si vince senza la sinistra se non si è sfacciatamente di destra, perché comunque una sinistra forte e radicata esiste, ed è sufficiente a farti perdere, soprattutto nella situazione tripolare di oggi, che non ha senso voler cancellare con il tratto di penna della legge elettorale, senza mettere a rischio la tenuta della società e il funzionamento della democrazia.

 

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 Massimo D'Alema e Michele Emiliano

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In questi giorni Emiliano è uscito allo scoperto, e dopo essersi dichiarato pronto a sostenere Renzi nel caso fosse battuto al congresso, ha bollato la sua politica con parole che non aveva usato neppure Civati: “Noi siamo apparsi come il partito dell’establishment, Renzi non vedeva l’ora di essere il soggetto di riferimento dei  potenti della Terra, era la sua ambizione. È andato a Scampia dopo essersi dimesso da Presidente del Consiglio, se l’avesse fatto anche da premier sarebbe stato meglio, durante il suo mandato non ha mai mostrato interesse per le aree del Paese in difficoltà”. “Noi non possiamo essere il partito della conservazione, non possiamo sostituire Forza Italia – ha aggiunto -, noi siamo da una parte del mondo e lo dobbiamo dire”. Serve tradurre? Facciamolo, “Renzi è un Berlusconi di seconda fila” ci dice il governatore della Puglia, che ha in mano buona parte dei voti del sud, di quale base comune vogliamo parlare?

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Oggi i pozzi sono avvelenati, l’ostilità e l’inimicizia, anche personali, sono assolute, e io credo che la sinistra del PD farà perdere Renzi in ogni caso, non fosse altro che per vendetta, anche se in realtà penso che non ce ne sarebbe neppure bisogno; va detto che dal suo punto di vista ha perfettamente ragione, perché la guida l’istinto di sopravvivenza nella stessa misura in cui Renzi è guidato dall’istinto per il potere.

 

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       Beppe Grillo con Nigel Farage, Donald Trump con Matteo Salvini

 

Il partito a vocazione maggioritaria è finito, perché non ha più lo spazio elettorale, qualsiasi cosa dica Renzi il 40% del referendum costituzionale non rappresenta il suo elettorato di riferimento per poter puntare al premio di maggioranza, più a portata di Grillo, io credo, e oggi non c’è più margine per una sintesi che tenga assieme la sinistra, quali che siano i suoi confini, e il centro, che è Renzi.

 

Disgraziatamente non c’è neppure una leadership che possa guidare la sinistra, fuori dal PD,  ad una decorosa sconfitta che le lasci nell’immediato futuro dei significativi margini di manovra politica: va detto che per questo la colpa non è ovviamente del segretario, ma in massima parte di D’Alema, di Bersani, e del ventennio di errori e occasioni perdute che ha caratterizzato la loro storia politica, che è stata disastrosa per la sinistra e per il paese. Su tutto questo Renzi ha scritto la parola fine, ma lo ha fatto in modo così rozzo che oggi rischia di essere travolto dall’ondata di riflusso.

 

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La terza è che nessuno sta veramente parlando di politica, ma solo di potere.

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Renzi è convinto che le ricette di Clinton e Blair siano ancora attuali, e che la terza via sia stata e sia ancora una buona idea; ammesso che sia stato vero, e personalmente non lo credo, come sempre siamo in ritardo sulla storia, e per questo ci stiamo facendo sfilare dalle urne il più tradizionale elettorato della sinistra, quello delle classi popolari, come si diceva una volta. I poveri non sono spariti, ci sono ancora, le loro file si sono ingrossate, nutrite da quello che una volta era il ceto medio in ascesa, ridotto oggi ad una classe marginalizzata nell’insicurezza. L’ubriacatura liberista ci ha convinto che tutti si potessero arricchire, che il lavoro sarebbe stato infinito, che la finanza avrebbe dato denaro a tutti, e che ci potevamo persino permettere qualche lusso e addirittura dei privilegi.

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L’economia, anche quella liberista, è fatta di cicli, e nel riflusso che si è determinato all’apice della globalizzazione, stiamo vedendo che i ricchi sono sempre di meno e sempre più ricchi, i poveri sono sempre di più, sono sempre più poveri, e votano per Trump, per la Brexit e per ogni possibile populista che si presenta sul mercato delle vacche del consenso elettorale, fossero pure Grillo e Salvini, rispetto ai quali il Renzi centrista e altrettanto populista non sarà mai vincente.

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La sinistra, non solo quella del PD ha forse alcune idee, in realtà non so quanto definite e diffuse, ma oltre agli uomini le mancano anche le parole per raccontarle, e la forza politica per imporle al dibattito; del resto non lo ha fatto neanche quando poteva, come potrebbe farlo oggi in modo credibile? In America Sanders ha fatto tremare la Clinton, e oggi sappiamo che non è stato un bene che si sia fermato prima della meta; in altri paesi europei la terza via tramonta, scacciata da una sinistra che sarà probabilmente sconfitta alle elezioni, a volte persino un po’ stupida, come quella di Corbyn, ma capace di far uscire la politica dal tecnicismo e dall’economicismo, per costruire dei meccanismi identitari ancorati ad un’ispirazione ideale e una visione del mondo, che non sarà tanto, ma è meglio di niente.

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Ci siamo riempiti la bocca per almeno trent’anni con il tramonto dell’ideologia, specialmente della nostra, e non abbiamo mai fatto una riflessione sulla radicalità con cui la destra stava alimentando la sua, cedendoci un pezzo di centro ma divorandoci a sinistra. Vorrà dire qualcosa? C’è qualche relazione fra il nostro “perbenismo istituzionale”, Bersani che sostiene il Governo Monti, il nostro “politicamente corretto”, la battaglia di Renzi contro il sindacato e l’art. 18, e le continue sconfitte che ci hanno tramortito? Si, è vero, ci sono state le europee del clamoroso 41%, l’unico vero scalpo elettorale nella cintura di Renzi, ma una volta le europee le aveva vinte anche il Partito Comunista, e sappiamo come è finita.

 

Forse la politica centrista funziona nei periodi di prosperità, quando il benessere marginalizza le polarizzazioni, ma quando povertà, disoccupazione e insicurezza destabilizzano la società, le idee e le identità ridiventano degli strumenti potenti e decisivi per costruire il consenso, quanto e più degli uomini che le raccontano.

 

Certo, servono gli uomini e le idee, ma Renzi è un estremista di centro con alcune idee sbagliate che la società comunque respinge, D’Alema e Bersani sono improponibili per il loro passato, non hanno idee diverse dalla rottamazione di Renzi, e se anche le avessero e fossero buone non sarebbero creduti da nessuno, quelli dell’ultima generazione, Rossi, Emiliano o Zingaretti sono più spendibili, anche se non tutti ugualmente simpatici, ma nessuno di loro ha mai spiegato come redistribuire il reddito nella società globalizzata in un modo diverso da quello inventato dalla destra, e cioè con la precarizzazione del lavoro, cosa che, va detto con chiarezza, non è un’idea vincente per la sinistra, e ormai abbiamo prove ad abundantiam.

 

Alla fine, se vogliamo essere onesti, dobbiamo ammettere che non abbiamo gli uomini e non abbiamo le idee, l’economia va male, arrivano i migranti e la società è incarognita, difficile che questo giro possa essere nostro e che la sinistra non debba radicalmente ripensare a sé stessa dal mezzo di un deserto, ammesso che ne sia capace; poi non è detto che gli altri se la cavino, in fondo anche Hollande è diventato Presidente della Repubblica, ma questo è un altro problema…

 

 

 

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