la società

Sull’amicizia e l’impegno civile

Leone Ginzburg

Il 5 febbraio 2013, a Torino, al liceo classico Massimo D’Azeglio si è svolta una cerimonia in ricordo del 70esimo dalla scomparsa tragica di Leone Ginzburg e della sua amicizia con Norberto Bobbio. Ginzburg arrestato, torturato e ridotto in fin di vita dai nazifascisti nel penitenziario di Regina Coeli. Ginzburg e Bobbio, nati entrambi nel 1909, compagni di classe al D’Azeglio, ragazzi al tempo del delitto Matteotti, della morte di Piero Gobetti, del consolidamento del regime fascista. Tante lettere tra i due amici nel periodo 1925-1928. Due liceali destinati a segnare la cultura democratica e l’impegno civile in questo Paese, dove oggi i sedicenni inneggiano alle mutande di Fabrizio Corona, e gli eroi sono gli inetti del “Grande Fratello”, che diventano comunicatori di MoVimenti improbabilmente innovatori, certamente arroganti. Quando in nome della parola “Libertà” le persone ci lasciavano la vita. In ricordo di quel grande trentacinquenne (la stessa età del Diba…) una sua breve biografia ed una bellissima lettera alla moglie Natalia dal carcere di Regina Coeli, dove morirà stremato dalle torture dei nazifascisti.

Biografia di Leone Ginzburg

Nato il 4 aprile 1909 a Odessa, in Ucraina. Di famiglia ebraica, sposato e padre di 3 figli. Si trasferisce in Italia da bambino e frequenta le scuole elementari a Viareggio (LU). Dopo una breve parentesi a Berlino (due anni), all’inizio degli anni Venti si stabilisce a Torino. Diplomatosi al Liceo “Massimo D’Azeglio”, si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università, ma dopo appena un anno passa a quella di Lettere. Laureatosi nel 1931, ottiene subito la libera docenza di letteratura russa. Nel 1932 si reca a Parigi con una borsa di studio ed ha così modo di conoscere Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini. Rientrato in Italia, nel 1933 è tra i fondatori della Casa editrice Einaudi, assieme allo stesso Giulio Einaudi e ad altri ex-allievi del D’Azeglio, tra cui Massimo Mila, Norberto Bobbio e Cesare Pavese. Nel gennaio del ’34 il suo rifiuto di prestare giuramento al regime fascista gli costa l’esonero forzato dall’insegnamento e l’estromissione dall’Università. Entrato già da qualche tempo a far parte di “Giustizia e Libertà”, dopo questo episodio intensifica la sua attività in seno al movimento, ma nel marzo dello stesso 1934 viene arrestato e condannato dal Tribunale speciale a quattro anni di reclusione, da scontare nel penitenziario di Civitavecchia (RM). Scarcerato nel 1936 grazie ad un’amnistia, per le autorità fasciste rimane comunque un sorvegliato speciale, tanto che gli viene impedita ogni partecipazione a qualsiasi attività pubblicistica. Nonostante questo Ginzburg continua lavorare alla Einaudi, divenendone di fatto, anche se non ufficialmente, il primo direttore editoriale. Nel 1938 si sposa con Natalia Levi. Quello stesso anno, la promulgazione delle leggi razziali gli toglie la cittadinanza italiana. Nel 1940, in concomitanza con l’entrata in guerra dell’Italia, è giudicato un elemento troppo pericoloso per la stabilità del regime e viene perciò confinato a Pizzoli (AQ), come internato civile, assieme alla moglie ed ai figli. Tornato in libertà con la caduta di Mussolini, nell’estate del 1943 Ginzburg si trasferisce a Roma, dove diviene uno degli animatori del Partito d’Azione, nonché uno degli organizzatori delle prime formazioni “Giustizia e Libertà”. Dalla tipografia clandestina di Via Basento si occupa inoltre dell’edizione e della pubblicazione di “Italia Libera”, il giornale del PdA. E ’ proprio qui che, il 19 novembre 1943, la polizia fascista fa irruzione e lo arresta. Sui documenti falsi che egli ha con sé è scritto il nome “Leonida Gianturco”, ed è perciò in questo modo che viene registrato al penitenziario di Regina Coeli. All’inizio di dicembre tuttavia la sua identità viene scoperta: il giorno 9 è trasferito nella sezione del carcere controllata dai tedeschi, in cui sono rinchiusi i prigionieri politici. Nei due mesi successivi viene sottoposto a continui interrogatori, torture e percosse che ne minano irrimediabilmente la salute. Ridotto in fin di vita, si spegne il 5 febbraio 1944 all’interno della sua cella. Sul muro dell’edificio che ospitava la tipografia clandestina in cui fu catturato, in via Basento 55 a Roma, una lapide che lo ricorda così: “Un agguato poliziesco/nella tipografia/de “l’Italia Libera”/strappava alla lotta clandestina/Leone Ginzburg/italiano/per passioni di risorgimento/europeo/di pensiero e d’ideali/era nato ad Odessa il IV.IV.MCMIX/morì a Regina Coeli/vittima del terrore nazista/il V.II.MCMXLIV/viva la sua memoria/nel cuore di chi spera e/combatte/per una giusta libertà”.

Autore della presentazione: Igor Pizzirusso

Lettera di Leone Ginzburg (Leonida Gianturco) alla moglie dal Carcere di Regina Coeli, Roma

Natalia cara, amore mio ogni volta spero che non sia l’ultima lettera che ti scrivo, prima della partenza o in genere; e così è anche oggi. Continua in me, dopo quasi un’intera giornata trascorsa, il lieto eccitamento suscitatomi dalle tue notizie e dalla prova tangibile che mi vuoi così bene. Questo eccitamento non ha potuto essere cancellato neppure dall’opinato incontro che abbiamo fatto oggi. Gli auspici, dunque, non sono lieti; ma pazienza. Comunque, se mi facessero partire non venirmi dietro in nessun caso. Sei molto più necessaria ai bambini, e sopra tutto alla piccola. E io non avrei un’ora di pace se ti sapessi esposta chissà per quanto tempo a dei pericoli, che dovrebbero presto cessare per te, e non accrescersi a dismisura. So di quale conforto mi privo a questo modo; ma sarebbe un conforto avvelenato dal timore per te e dal rimorso verso i bambini.

Del resto, bisogna continuare a sperare che finiremo col rivederci, e tante emozioni si comporranno e si smorzeranno nel ricordo, formando di sé un tutto diventato sopportabile e coerente. Ma parliamo d’altro. Una delle cose che più mi addolora è la felicità di cui le persone intorno a me (e qualche volta io stesso), perdono il gusto dei problemi generali dinanzi al pericolo personale. Cercherò di conseguenza, di non parlarti di me, ma di te. La mia aspirazione è che tu normalizzi, appena ti sia possibile la tua esistenza; che tu lavori e scriva e sia utile agli altri. Questi consigli ti saranno facili e irritanti; invece sono il miglior frutto della mia tenerezza e del mio senso di responsabilità. Attraverso la creazione artistica ti libererai delle troppe lacrime che ti fanno groppo dentro; attraverso l’attività sociale, qualunque essa sia, rimarrai vicina al mondo delle altre persone, per il quale io ti ero così spesso l’unico ponte di passaggio.

A ogni modo, avere i bambini significherà per te avere una grande riserva di forza a tua disposizione. Vorrei che anche Andrea si ricordasse di me, se non dovesse più rivedermi. Io li penso di continuo, non cerco di non attardarmi mai sul pensiero di loro, per non infiacchirmi nella malinconia. Il pensiero di te invece non lo scaccio, e ha quasi sempre un effetto corroborante su di me. Rivedere facce amiche, in questi giorni, mi ha grandemente eccitato in principio, come puoi immaginare. Adesso l’esistenza si viene di nuovo normalizzando, in attesa che muti più radicalmente. Devo smettere perché mi sono messi a scrivere troppo tardi fidando nella luce della mia lampadina, la quale invece stasera è particolarmente fioca, oltre ad essere altissima. Ciò continuerò a scrivere alla cieca, senza la speranza di rileggere. Con tutto il tommaseo che ho tra le mani, sorge spontaneo il raffronto con la pagina di diario di lui che diventa cieco. Io, per fortuna, sono cieco solo fino a domattina.

Ciao, amore mio, tenerezza mia. Fra pochi giorni sarà il sesto anniversario del nostro matrimonio. Come e dove mi troverò quel giorno ? Di che umore sarai tu allora ? Ho ripensato, in questi ultimi tempi, alla nostra vita comune. L’unico nostro nemico (ho concluso) era la mia paura. Le volte che io, per qualche ragione, ero assalito dalla paura, concentravo talmente tutte le mie facoltà a vincerla e a non venir meno al mio dovere, che non rimaneva nessun’altra forma di vitalità in me. Non è così ? Se e quando ci ritroveremo, io sarò liberato dalla paura, e neppure queste zone opache esisteranno più nella nostra vita comune.

Come ti voglio bene, cara. Se ti perdessi, morirei volentieri. (Anche questa è una conclusione alla quale sono giunto negli ultimi tempi). Ma non voglio perderti, e non voglio che tu ti perda nemmeno se, per qualche caso, mi perderò io.

Saluta e ringrazia tutti coloro che sono buoni e affettuosi con te: debbono essere molti. Chiedi scusa a tua madre, e in genere ai tuoi, di tutto il fastidio che arreca questa nostra troppo numerosa famiglia.

Bacia i bambini. Vi benedico tutti e quattro, e vi ringrazio di essere al mondo. Ti amo, ti bacio, amore mio. Ti amo con tutte le fibre dell’essere mio.

Non ti preoccupare troppo per me. Immagina che io sia un prigioniero di guerra; ce ne sono tanti, sopra tutto in questa guerra; e nella stragrande maggioranza ritorneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero, Natalia ? Ti bacio ancora e ancora e ancora.

Sii coraggiosa.

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3 comments

  1. Kokab 15 novembre, 2014 at 02:17

    personaggio assolutamente inattuale, credo del tutto incomprensibile per la nostra epoca, come del resto quasi tutti quelli che hanno gravitato nell’orbita di giustizia e libertà e del partito d’azione.
    sono stato allievo di suo figlio, che aveva, con assoluta evidenza, molte marce in più di quasi tutti gli altri professori; aveva anche una grande autoironia che, non so perchè, ho sempre pensato dovesse derivare dal padre, e oggi leggendo questa lettera, cosa che mi ha dato un grande piacere, mi è sembrato di intravederne qualche traccia.

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